Mummie e muffa
Solo pochi giorni di ferie nella calura agostana. Niente di esotico, per carità: destinazione appena un paio di centinaia di chilometri da casa. Regione Marche, provincia di Pesaro-Urbino, valle del Metauro. Rispetto alla Toscana, cambiano radicalmente il paesaggio, la cucina, il modo di parlare della gente... Però, anche in quest'area del Bel Paese (e questa per me è la sua vera Grande Bellezza) ti puoi imbattere in strani grumi di storia bizzarra capaci di rompere la crosta d'indifferenza anche del turista medio che più medio non si può. È quello che accade a Urbania, 273 metri slm, poco più di 7000 abitanti, posizionata in una stretta ansa del fiume al centro dell'alta valle del Metauro: l'antica Castel Durante che cambiò nome nel 1636, in omaggio a papa Urbano VIII Barberini che la elevò a civitas e a diocesi.
Qui in una strada larga e silenziosa, a pochi passi dal fiume cantato dal Tasso, in un'area a vocazione francescana - un antico convento e una chiesa sono dedicati al patrono d'Italia - superato un bel portale gotico entri nella Chiesetta dei Morti. Se l'interno con tele di autori tardo-cinquecenteschi di seconda fila appare piuttosto convenzionale, sconvolgente, invece, quanto si trova dietro l'altare: in un ambiente poco illuminato e carico di macabri reperti, ottimamente conservate, sono esposte, in altrettante teche di vetro e legno, diciotto mummie. Sul pianale che in alto chiude i loculi, ammucchiati, i lugubri decori rappresentati da decine e decine di teschi che, riempendo lo spazio già angusto, a uno spontaneo sentimento di orrore aggiungono un irrefrenabile senso di claustrofobia.
All'origine di tale mostra c'è la Confraternita della Buona Morte i cui membri, sotto la protezione di san Giovanni Decollato, operarono fin dal 1567 per dare decorosa e cristiana sepoltura ai morti che nessuno voleva: i poverissimi, i condannati a morte, i portatori di handicap... I confratelli durante le cerimonie funebri indossavano una cappa nera su veste bianca. Ed è con tale abito che si presenta ai nostri occhi il personaggio al centro della teatralissima scena, il priore Vincenzo Piccini, ideatore della necropoli, quando nel 1813 il terreno circostante alla chiesa e al convento, nel corso di una riesumazione, restituì non ossa ma cadaveri perfettamente integri nella struttura scheletrica, nella pelle e negli organi. Un miracolo? No, solo il risultato, secondo molti studiosi, dell'azione di una muffa idrovora e antibiotica presente nella zona, la Hipha bombicina pers.
Ma il visitatore non addentro alle questioni fisico-chimiche rimane invece toccato e commosso dalle storie di vita quotidiana che ognuno di questi corpi è ancora in grado di comunicarci: c'è il condannato a morte per impiccagione; il gobbo; la donna morta per parto cesareo, una pratica che allora veniva effettuata esclusivamente per salvare la vita del bambino; un giovane ucciso da un terribile fendente al cuore - conservato anch'esso - nel corso di una festa da ballo; un probabile sepolto vivo; un diabetico, due donne che soffrivano di artrite...
Un mondo minore, ma non per questo migliore. Intriso di violenza e, almeno agli occhi di un osservatore contemporaneo, più rispettoso della morte che della vita.
Si consiglia la lettura, anche per l'importante informazione finale, di: 15 mummie e una muffa che non c'è