Premure genitoriali
Valentina Vitali
Quantità o qualità? Su cosa è meglio investire? Domande su cui sicuramente ogni imprenditore, più o meno importante, si è quotidianamente interrogato ma che molti altri prima di lui si sono già posti e proprio come accade in ambito economico ognuno ha scelto la propria strategia. C’è chi ha considerato vincente puntare su numeri elevati e si annovera tra gli R-strategisti, cioè tra le specie che producono una prole numerosissima deponendo ad esempio centinaia o migliaia di uova contemporaneamente, sicure così di garantirsi almeno un piccolo numero di individui che sopravviveranno e che diffonderanno i propri geni. Ovviamente non rimarranno ai genitori energie da investire nella cura dei figli, che dovranno far ricorso alle proprie abilità fin dalla nascita. Al contrario i K-strategisti hanno una prole molto ridotta a cui però dedicano cure parentali più o meno prolungate con l’obiettivo di aumentare le possibilità di sopravvivenza a lungo termine dei propri discendenti. È chiaro che questa strategia è stata adottata da mammiferi (l’uomo ne rappresenta un caso estremo), uccelli e alcuni rettili mentre pesci e anfibi hanno fatto propria l’altra tattica eppure non è così semplice. Tra tutte le specie di anfibi infatti molti hanno deciso di andare controcorrente e di farsi carico dello sviluppo dei propri figli attraverso strategie non meno impegnative e talvolta anche più fantasiose rispetto ai placentati. Le ovature deposte dentro stagni, laghi o raccolte d’acqua più o meno temporanee sono in effetti esposte a molti rischi di predazione diretta o dovuti alla possibilità di essiccamento e non sempre è sufficiente sorvegliarle per garantire una maggiore probabilità di sopravvivenza nelle prime fasi di sviluppo, quindi alcuni taxa hanno brevettato soluzioni bizzarre e alternative. Il rospo ostetrico (Alytes obstetricans) ad esempio attira la propria femmina con un canto particolare, simile ad un segnale radio o al suono di un campanello se più voci si uniscono, ma l’accoppiamento avviene sulla terra e non in acqua come di consueto. I cordoni di uova, prodotti dalla partner e subito fecondati, vengono raccolti in uno spazio, quasi un contenitore, formato dalle zampe posteriori dei due adulti per poi essere avvolti attorno al tarso del maschio che passa più volte le proprie zampe in mezzo alla preziosa matassa gelatinosa. Il papà deve occuparsi da solo delle uova, facendole maturare in un posto caldo, proteggendole dai predatori e bagnandole per mantenerle umide e solo 3-6 settimane dopo potrà riportarle in acqua per farle schiudere. Il compito può già sembrare gravoso ma ci sono maschi, come nel caso della rana di Darwin (Rhinoderma darwinii), che addirittura tengono in bocca le uova: dopo la deposizione il padre prima le sorveglia e poi delicatamente le posiziona nella propria sacca vocale, dove i girini nasceranno e compiranno tutte le metamorfosi e da cui usciranno totalmente formati dopo 6 settimane. Le mamme di altre specie non sono però da meno: le raganelle marsupiali (Gastrotecha marsupiata) hanno sviluppato una tasca cutanea (una sorta di convergenza evolutiva con i marsupiali?) sul dorso in cui tenere le uova in incubazione fino alla schiusa, quando con le zampe posteriori la femmina rompe il marsupio e lascia fuoriuscire i girini. Ancora più strano è il rospo del Suriname (Pipa pipa), anche solo per l’aspetto poiché è piatto, senza lingua, con delle appendici a stella nelle zampe anteriori palmate e di un colore marrone che lo fa assomigliare ad una foglia secca; inoltre il maschio richiama la partner per accoppiarsi con un suono prodotto dallo scatto dell’osso ioide, che si trova nella gola, e non con la sacca vocale. La vera originalità rimane comunque nella protezione delle uova che il maschio feconda e poi inserisce con abili movimenti dentro a delle pliche di pelle sul dorso della femmina, che subito si gonfiano formando uno strato spugnoso che ricopre totalmente le ovature; alla schiusa ogni girino rimane nella propria tasca personale fino a completare la metamorfosi e poi avviene un particolarissimo parto cutaneo in cui tutti i piccoli contemporaneamente bucano lo strato spugnoso di pelle. Strato di cui la femmina, terminata la fuoriuscita, si disfa. Tra gli anfibi però non ci sono solo rane e rospi ma pure degli animali più simili ai serpenti, le cecilie. Alcune sono addirittura ovovivipare e le loro uova si schiudono direttamente nell’utero materno dove i piccoli si nutrono del sacco vitellino e successivamente del latte uterino, una secrezione prodotta dalle pareti stesse dell’utero. È evidente come tutte queste forme di cure parentali siano molto dispendiose e infatti una ricerca della Queen’s University Belfast ha dimostrato che per questi taxa le uova sono più grandi e in numero inferiore rispetto a quelle dei propri parenti privi di attenzioni verso la prole. Di certo non si può negare che anche tra gli anfibi ci siano mamme e papà estremamente premurosi.