A tavola con gli insetti
di Luciano Luciani
Ex Argentorato semper aliquid novi: da Strasburgo ci arriva sempre qualcosa di nuovo... e questa volta si tratta di una novità di qualche importanza. Alla fine d’ottobre, infatti, il Parlamento europeo ha autorizzato nuovi criteri per facilitare le procedure necessarie ad autorizzare l’uso del cosiddetto novel food per l’alimentazione umana. Ovvero, insetti, alghe, semi e proteine di colza, cibi prodotti in laboratorio e nanomateriali, cioè realizzati manipolando ingredienti alimentari a livello molecolare... Insomma, nuovo cibo, nuovi commestibili che fino al 1997 non erano destinati al consumo umano nei Paesi dell’Unione europea e che ora potrebbero, a buon diritto, entrare nei menù dei ristoranti, apparire sugli scaffali dei supermercati, fare bella mostra di sé nelle vetrine dei negozi di “delicatessen”.
Certo, l’idea di un menù a base d’insetti ci impressiona non poco: ci respinge e ci attrae, invita e repelle. Curiosità e schifo, ribrezzo e ricerca della novità si mescolano... L’ultima volta in cui gli europei si sono nutriti di insetti è stato nel corso delle guerre napoleoniche nell’area dei Paesi Bassi: ridotti alla fame dalle conseguenze delle devastazioni belliche, gli abitanti di Amsterdam e di Gand non si fecero particolari scrupoli nel cibarsi di grilli e cavallette. Questo appena ieri: oggi, pur non apparendo come una pratica largamente diffusa, non suscita però particolare scandalo trovare proprio in alcuni negozi di questa area d’Europa insetti pronti per la frittura in padella o per essere caramellati come dolci. Considerate alla stregua di ghiottonerie si possono acquistare in confezioni da 50 grammi, ribattezzate bugs organic food. Ricchi di vitamine e proteine, sembra che, risultino davvero eccellenti al palato, soprattutto se accompagnati da un buon bicchiere di vino bianco. Inoltre, il loro allevamento non è inquinante, i costi di produzione sono assai più bassi di quelli di mucche e maiali e, secondo uno studio dell’Università di Gand, alimentarsi di insetti, nel caso specifico di locuste, risulterebbe essere il toccasana contro l’ipertensione. Con queste premesse non fa quindi meraviglia se sono già una decina in Olanda i ristoranti specializzati nello “a tavola con gli insetti”: qui, accanto a polpettine di larve e ravioli ripieni di insetti potete assaggiare anche involtini primavera con cavallette e locuste glassate al cioccolato. “È questo il futuro della nostra alimentazione” affermano senza particolari perplessità i ricercatori della facoltà di entomologia dell’Università di Wageningen, un istituto, pare, all’avanguardia nel settore delle scienze nutrizionali. “Se arriveremo a 9 miliardi di persone nel mondo” afferma Michele Carruba, direttore del Centro studi sull’obesità dell’Università di Milano “è chiaro che l’attuale produzione di cibo non reggerà. In questo senso alghe, larve, insetti vari possono essere un ottimo sostituto: le proteine sono proteine, che vengano dal manzo o dagli insetti. L’importante è che l’alimentazione sia varia”. E tra gli insetti, particolarmenti vocati da sempre all’alimentazione umana sembrano essere gli Ortotteri, ovvero le locuste.
Buone, le locuste!
“Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico.” Nel Vangelo di Marco (1, 6) leggiamo della particolarissima dieta del Battista. Un’abitudine alimentare che conferma le immagini presenti in certi bassorilievi mesopotamici e in alcune pitture parietali egizie: ovvero, mense imbandite con schidionate di cavallette. E di tali insetti come cibo si legge anche nell’Antico Testamento, nel Levitico, il libro di carattere quasi esclusivamente legislativo. Nelle sue pagine, il Signore detta a Mosè e ad Aronne le regole relative al puro e all’impuro in materia di alimentazione e quindi agli animali più o meno edibili: “Sarà per voi in abominio anche ogni insetto alato, che cammina su quattro piedi. Però fra tutti gli insetti alati che camminano su quattro piedi, potrete mangiare quelli che hanno due zampe sopra i piedi, per saltare sulla terra. Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acrìdi e ogni specie di grillo. Ogni altro insetto alato che ha quattro piedi lo terrete in abominio”, Levitico, 20, 23. Di locuste si nutrì senz’altro Sant’Antonio Abate, anacoreta egiziano vissuto tra il III e il IV secolo. Quell’alimento, ricco di proteine e povero di grassi, giovò sia alla sua salute spirituale e alla conquista della santità, sia a quella fisica se dobbiamo dare credito a un suo biografo che lo vuole vivo e operoso sino alla ragguardevole età di 105 anni. Le popolazioni dell’intero continente africano, poi, da millenni alle prese con la calamità delle invasioni di locuste, le mangiano da sempre. Anzi, le ritengono un cibo assai appetibile e le preparano in vari modi, fritte, bollite, allo spiedo e facendone una specie di pâtè. Lo racconta Filippo Pananti (1766–1837), letterato toscano di qualche fama ai suoi tempi e disperso nel Maghreb, il “luogo del tramonto”: “I Mauri… tiran vantaggio dalla loro disgrazia e vanno a battere gli alberi su cui le locuste si sono posate; le fanno cadere, ne riempiono i sacchi; le cuociono nell’acqua bollente, le fan seccare sui tetti, e per due o tre mesi ne fanno il loro sostentamento” (Avventure e osservazioni sopra le coste di Barberia). E come si presenta al gusto la locusta? Sempre il Pananti: “Io ne ho assaggiate fritte nella padella, e cotte sulla gratella; non sono cattive; s’assomigliano un poco alle sardelle, e anche un poco al granchio: sono piuttosto malsane, ma uno ci si assuefà”.