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Modelli di altruismo

 

Modelli di altruismo

Modelli di altruismo

 

Valentina Vitali

 

Dopo aver volato per un’ora o più per riuscire ad assicurarsi il difficile pasto che gli consente di sopravvivere un altro giorno, un pipistrello vampiro torna al proprio rifugio e vedendo uno dei compagni che non è riuscito ad alimentarsi ormai privo di forze, invece di passare oltre indifferente, compie un gesto di grande impatto: rigurgita un po' del sangue ingerito e lo dona all’altro, salvandogli la vita. Compassione? Solidarietà? Amicizia? Di certo i comportamenti altruisti, comuni a molti animali e soprattutto agli insetti, sono difficili da spiegare all’interno del processo di selezione naturale, tanto che lo stesso Darwin si era accorto dell’apparente contraddizione con la propria teoria e li aveva giustificanti pensando che portassero vantaggio almeno alla specie se non al singolo individuo di buon cuore. I numerosi studi che si sono concentrati su questo curioso tema hanno individuato varie motivazioni dietro a queste forme di altruismo e nel caso specifico dei vampiri alla base c’è un classico principio di do ut des. Il particolare metabolismo di questi piccoli animali infatti li obbliga a continui pasti: subito dopo aver mangiato, il pipistrello inizia a perdere peso in modo direttamente proporzionale al passare delle ore e se entro 24 ore non riesce a nutrirsi va incontro a morte certa. Un esemplare che rigurgita del sangue per aiutarne un altro in difficoltà e dona una risorsa preziosissima accorciando il proprio tempo di autonomia prima del nuovo pasto è spinto dalla speranza che, quando sarà lui a non aver trovato una preda, verrà mantenuto in vita dai compagni che in precedenza aveva aiutato. La regola della reciprocità funziona molto bene in sistemi coloniali come quelli dei vampiri, dove ci si incontra frequentemente, poiché ogni individuo ricorda quali compagni non hanno restituito il favore smettendo di mostrarsi generoso con loro; in caso di pentimento però gli egoisti possono sperare in un magnanimo perdono ed essere reimmessi nella catena dell’aiuto reciproco. Per evitare di donare sangue a chi non lo merita comunque questi animali hanno messo a punto una strategia molto efficace, dimostrata da uno studio pubblicato sul Current Biology (di G. Carter); si è scoperto infatti che inizialmente l’aiuto reciproco riguarda solo la toeletta e il grooming, azioni con un costo energetico minore, e dopo aver consolidato il legame di fiducia si passa alla condivisione del cibo, l’investimento più importante. Tra i vampiri l’egoismo si paga letteralmente con la vita. Per quanto per un pipistrello privarsi di parte del proprio pasto sia una grande rinuncia, ci sono forme di altruismo in altre specie che richiedono un sacrificio ancora maggiore cioè di non riprodursi. Garantirsi una fitness e trasmettere i propri geni è l’imperativo più importante per le specie animali e vegetali eppure in alcuni uccelli come le ghiandaie della Florida (Aphelocoma coerulescens) ci sono dei giovani che preferiscono rimanere con i genitori per aiutarli a curare i pulli nati nelle successive covate piuttosto che allevare dei propri piccoli. La spiegazione risiede in questo caso nelle esigenze ecologiche della specie: ogni coppia deve riuscire a conquistare un territorio di circa 5-10 ettari prima di metter su famiglia e questo per gli individui inesperti non è affatto facile. Risulta così più conveniente difendere l’area del proprio gruppo famigliare che, alla morte dei genitori, verrà legittimamente ereditata. Esistono però altri animali in cui la rinuncia a riprodursi non è solo temporanea ma estesa a tutta la vita; è il caso degli Imenotteri (api, vespe e formiche), degli Isotteri (termiti), di alcuni afidi e persino di qualche mammifero comela talpa nuda, che mostrano una forma estrema di altruismo definita eusocialità. Una specie può essere considerata eusociale se nello stesso nucleo sono presenti più generazioni contemporaneamente, se esiste una collaborazione tra più individui nella cura della prole e se si opera una rigorosa suddivisione del lavoro in base alla quale solo alcuni organismi si riproducono mentre altri devono occuparsi del foraggiamento, della difesa e di ulteriori compiti. Quale vantaggio si può trarre se non ci si riproduce mai? Ma soprattutto se ad avere figli sono solo gli egoisti mentre i generosi non hanno fitness com’è possibile che il carattere dell’altruismo sia trasmesso tra le generazioni? Eppure una spiegazione deve esistere considerando che negli imenotteri l’eusocialità si è evoluta in modo indipendente (almeno) 12 volte! La teoria più completa, che ha incluso pure alcune idee di precedenti naturalisti, è la kin selection di Smith. Per ogni individuo si considera sempre la sua fitness diretta, cioè i figli effettivamente generati, ma ci si dimentica quella indiretta, che consiste nei parenti più o meno lontani come nipoti e pronipoti; è evidente che se una perdita di fitness diretta dovesse essere compensata da un guadagno di quella indiretta, la fitness complessiva non sarebbe danneggiata. Concentrandosi sul caso specifico degli insetti eusociali poi bisogna considerare che due sorelle condividono almeno metà del proprio corredo genetico (la parte derivante dal padre, che è aploide quindi produce cromosomi sempre identici) e hanno un 50% di possibilità di avere ereditato pure gli stessi cromosomi da parte della madre-regina (che è diploide, 2n, quindi depone metà uova con un corredo genetico, n 1, e metà con l’altro, n 2); in definitiva due operaie sono uguali per circa il 75% dei loro geni. Ciò significa che un’ape e una formica hanno una fitness complessiva più alta crescendo una sorella piuttosto che una figlia, con cui condividerebbero solo il 50% dei propri cromosomi. Questa stranezza riproduttiva è il cardine su cui si fondano le organizzatissime società degli insetti coloniali, in cui decine di migliaia di individui riescono a collaborare e a coordinarsi in modo perfetto formando così una sorta di superorganismo con potenzialità inimmaginabili per il singolo, dimostrando che l’unione fa la forza o, come direbbe un fisico, il tutto è maggiore della somma delle singole parti.