Formazione alla complessità
La civiltà dell’empatia nel pensiero di Jeremy Rifkin
CIDIS Centro di Informazione e Documentazione per l’Innovazione Scolastica
Attività formative
Seminario di autoformazione. Il pensiero della complessità attraversa sempre più l’analisi dei problemi che connotano il nostro tempo, caratterizzato da un lato dalla crisi di equilibri consolidati, dall’altro dalla difficoltà di trovare soluzioni alle emergenze del mondo globale.
Stiamo infatti vivendo cambiamenti epocali: il clima, l’aumento demografico la crisi economica e il dramma dell’ingiustizia sociale. Essi richiedono con urgenza alla formazione di promuovere nuovi modi di pensare e di agire per affrontare responsabilmente un futuro che non è mai stato così a rischio.
In questo spazio inizia la pubblicazione di riflessioni a più voci su entropia e empatia secondo la linea di pensiero di J. Rifkin: un uso equilibrato e sostenibile delle risorse della Terra richiede, infatti, un salto empatico che rimetta in gioco le nostre risorse biologiche e culturali. Il percorso inizia con le leggi della Termodinamica al cui centro è l'entropia.
La centralità del riferimento alle leggi fisiche nel tracciare la storia dell’uomo di Mimma Liber La civiltà dell’empatia di Anna Cerati
La centralità del riferimento alle leggi fisiche nel tracciare la storia dell’uomo
Mimma Liber
Una teoria è tanto più emozionante quanto più semplici sono le sue premesse, più diverse sono le categorie di fenomeni cui si riferisce, più vasto il suo campo di applicabilità. Ecco perché mi ha fatto una profonda impressione la termodinamica classica, l’unica teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che, nel campo di applicabilità dei suoi concetti basilari, non verrà mai superata.
Così si è espresso Einstein meditando su quale delle leggi della scienza avrebbe potuto essere classificata come legge suprema. Difficile dargli torto, soprattutto se si riconosce il criterio base della scienza sul quale il grande E. si basa per la sua valutazione, e cioè l’ampiezza delle aree dei fenomeni abbracciati da una teoria e quindi la sua centralità e la sua forza di principio fondante della natura.
La termodinamica regola, infatti, le trasformazioni di energia e di materia, che sono alla base sia dell’Universo nella sua evoluzione, sia della storia degli esseri viventi, in quanto essi vanno man mano conquistando e sfruttando nicchie ecologiche per assicurarsi la sopravvivenza. Con l’utilizzo dell’energia nelle sue diverse forme siamo quindi alle origini dei processi naturali che consentono il susseguirsi e l’articolarsi in mille modi diversi delle aggregazioni delle diverse specie viventi, e la conoscenza dei vincoli e delle opportunità offerti dall’ambiente fisico che le ospita è determinante per capire quale potrà essere la loro scena futura.
Nella visione di J. Rifkin - anche e proprio nella storia dell’uomo- il rapporto fra energia ed ambiente è alla base dell’organizzazione sociale, a partire dalla quale si sviluppano poi forme diverse di comunicazione che, a loro volta, alimentano i processi culturali, fino a far emergere e far crescere sempre più la coscienza empatica, che è alla base della convivenza civile. Una stretta e continua interazione, dunque, fra processi naturali e processi culturali in senso ampio, in tutte le loro articolazioni di problemi tecnico-scientifici ed etico-sociali, formano la “rete che connette” di questo grande affresco sulla storia dell’uomo e costituisce il fascino di una visione finalmente trasversale alle “due culture”.
Che cosa dice la termodinamica
Non conoscere la seconda legge della termodinamica è come non aver mai letto un’opera di Shakespeare.
La citazione di Snow avvalora il giudizio di Einstein, e rinforza l’idea che le conoscenze scientifiche hanno un peso culturale almeno pari alle produzioni letterarie, artistiche o filosofiche. Peccato che, invece, esse non siano altrettanto accessibili alla maggioranza delle persone e, forse per questo, non siano ritenute un bagaglio culturale indispensabile per una “testa ben fatta”.
Eppure proverò ad andare contro corrente e tenterò un approccio approfondito al tema: non utilizzerò un linguaggio matematico formalizzato, ma cercherò di comunicare correttamente i contenuti scientifici che interessano la nostra ricerca, almeno per quanto riguarda il loro senso profondo. Sono convinta infatti che la ricerca scientifica non delinei solo le leggi di natura utili per controllarla e dominarla, almeno in parte; non abbiano cioè solo una valenza tecnica, per quanto preziosissima, ma contribuiscano a dare una visione del mondo, o almeno a definire i contorni all’interno dei quali è lecito e corretto costruire modelli culturali anche più ampi.
Difficile è definire l’energia, ma i fisici sanno descrivere molto bene le sue varie forme, sanno come agisce e come si può manipolare. É una proprietà della materia e dello spazio, una sorta di carburante, capace di muovere o di trasformare le cose. I filosofi dell’antica Grecia pensavano che fosse una specie di forza o di essenza che dava vita agli oggetti, e questa idea ancora è presente nella nostra mente, come una intuizione primitiva, basata sulla percezione del nostro corpo quando è carico di voglia di fare. In realtà l’energia si manifesta solo quando si “trasforma”; essa si associa a ogni corpo in movimento, ed allora è energia cinetica; è legata alla posizione di un oggetto rispetto al suolo, alla sua quota, ed allora si chiama energia potenziale gravitazionale; può essere immagazzinata in una molla compressa, per poi essere rilasciata quando serve, ed è energia elastica. L’energia legata al movimento degli atomi, che comunemente chiamiamocalore fa vibrare gli atomi e le molecole all’interno dei corpi, ed esse oscillano tanto più rapidamente quanto maggiore è la temperatura, e in questo caso il moto delle particelle atomiche è sempre più caotico e disordinato; l’energia radiantesi trasmette anche sotto forma di onde elettriche e magnetiche, come la luce, o viene rilasciata attraverso i processi chimici, come nel nostro corpo. Einstein ha scoperto che ad ogni massa è associata un’energia, che si libera quando la materia viene distrutta: è una energia enorme perché dipende dal quadrato della velocità della luce (300 milioni di metri al secondo): è l’energia prodotta per es. da una esplosione nucleare o dalle reazioni di fusione che alimentano il sole.
Nella nostra vita quotidiana l’energia trova mille impieghi sia a livello domestico che industriale; essa ci viene per lo più fornita dalle centrali elettriche che trasformano l’energia chimica del carbone e del gas, o l’energia cinetica delle cascate d’acqua, oppure l’energia atomica in energia elettrica, capace poi di essere riutilizzata una volta trasformata in luce, calore e movimento. In ultima analisi la fonte principale di energia è il Sole e la quantità di energia che ci fornisce è enorme, basta riuscire a sfruttarla.
Una cosa va detta, però, ed è importante: alcune fonti di energia sono rinnovabili (il vento, la luce del sole, i cibi o il legname forniti dalle coltivazioni ...), cioè ci vengono rifornite nell’arco della vita umana; altre sono non rinnovabili, cioè le scorte man mano tendono ad esaurirsi ed i processi che le rigenerano non ne permettono il riutilizzo se non in tempi lunghissimi: tali sono per es. il petrolio, il carbone, i gas naturali o i materiali radioattivi necessari per le centrali atomiche. Questo significa che una gestione oculata delle fonti di energia dovrebbe far preferire quelle rinnovabili, anche per non compromettere l’equilibrio energetico delle generazioni future.
Il primo principio della termodinamica: i contorni della stabilità
Esso può essere riassunto in una idea-chiave: l’energia è indistruttibile. Di più, non si distrugge, ma nemmeno si crea: la quantità di energia presente nell’universo è costante! L’esperienza immediata quotidiana sembra suggerire il contrario: una pallina messa in movimento presto rallenta fino a fermarsi. Dov’è finita, dunque, la sua energia cinetica? O ancora: perché dobbiamo continuamente bruciare benzina nel motore dell’automobile, impiegando così energia chimica, perché il mezzo continui il suo moto? Ad una analisi più approfondita risulta che, anche in queste comuni esperienze, sono coinvolte più forme di energia: il calore che si sviluppa per attrito con il suolo “consuma” l’energia cinetica (di movimento) che deve essere rifornita così dall’energia di tipo chimico. É dunque un processo di trasformazione dell’energia quello che avviene quando la si usa, ma – dice il primo principio della termodinamica - la somma delle varie forme coinvolte nei diversi processi rimane costante. Ho messo fra virgolette il verbo “consuma” perché, alla luce di quanto si è detto, esso è improprio, per quanto sia usato comunemente. Come si può consumare l’energia, se essa è indistruttibile?
Ma, prima di entrare dentro a questo problema, che sarà -per così dire- risolto dal secondo principio della termodinamica, vorrei riprendere brevemente il primo principio per sottolinearne la portata. Un principio di conservazione, nelle leggi di natura, non è soltanto una legge, ma costituisce molto di più: ha un ruolo fondamentale e predittivo nella ricerca. Ad esso si fa riferimento quando si esplorano nuovi fenomeni per orientarsi nella loro spiegazione: ad esso la scienza fa assoluto affidamento come ad una bussola per arrivare alla conoscenza. Così, il principio di conservazione dell’energia non solo non è mai stato smentito, ma ha validità in tutti gli ambiti della fisica classica, tanto da costituire un vincolo per gli eventi possibili nell’universo.
Come altri principi di conservazione, quello dell’energia riflette una regolarità nella struttura stessa dell’universo. Esso deriva dalla forma del tempo: che l’energia si conservi deriva dal fatto che il tempo si estende uniformemente dal passato al futuro, senza gibbosità, né compressioni. Collegando l’uniformità del tempo all’uniformità dello spazio, che a sua volta è associabile alla conservazione del momento angolare, (grandezza fisica che ha a che fare con i moti rotatori) spieghiamo l’estensione del principio di conservazione dell’energia anche alla meccanica quantistica e alla teoria della relatività, dove le due grandezze fisiche di spazio e di tempo vengono a fondersi nello spazio – tempo. Ma qui si fanno già i salti mortali nell’arditezza dei modelli astratti.
Eppure, di tempo, legato all’energia in modo non banale, si deve ancora parlare quando si riprende la domanda: che cosa si “consuma” quando si usa l’energia?
Il secondo principio della termodinamica: la molla del mutamento
“Ogni mutamento è una conseguenza del collasso senza scopo di energia e materia verso il disordine”: così Peter Atkins sintetizza il significato ultimo del secondo principio della termodinamica, al di là dei molti aspetti tecnici che lo caratterizzano. É una formulazione che capovolge, con un voluto tono drammatico, l’immagine rassicurante del primo principio, che sancisce l’indistruttibilità dell’energia.
Non è difficile immaginare perchè, nella cultura della metà dell’Ottocento - che si connota del crescente entusiasmo per la scienza e che sfocerà nel positivismo - l’idea che l’Universo potesse contare su una dotazione inesauribile di energia abbia alimentato l’idea di un progresso lineare, che l’uso della tecnica avrebbe assicurato alle società più sviluppate. Inoltre Thomson e i suoi contemporanei, ferventi credenti, fondavano questa speranza anche nella loro fede in un Dio, che avrebbe dato all’Universo un immenso dono a riprova della sua generosità creatrice.
E proprio sull’onda dello sviluppo della tecnica si incontra, in quel periodo, attorno agli studi sulla macchina a vapore, il problema per eccellenza legato all’uso e al trasferimento dell’energia: in quali condizioni l’energia può essere trasformata?
Chiariamo subito che due sono, sostanzialmente, le manifestazioni dell’energia: il lavoro e il calore. Quando facciamo muovere un’automobile o innalziamo un carico, trasferiamo energia dal combustibile all’auto o dai nostri muscoli all’oggetto sollevato mediante un lavoro, e trasferiamo così energia da un posto all’altro, mentre ne cambiamo la tipologia (l’energia chimica del combustibile diventa cinetica o di movimento; l’energia chimica dei muscoli diventa di posizione, o gravitazionale per il carico). Nella macchina a vapore, che trova i suoi primi impieghi già alla fine del Settecento nelle miniere di carbone, e che darà luogo alla rivoluzione industriale, è coinvolta, oltre all’energia meccanica, anche quella termica: la combustione del carbone genera calore che mette in movimento un sistema meccanico in grado di sollevare pesi: compie cioè un lavoro che sostituisce lo sforzo muscolare dell’uomo o dell’animale (si ricordi che il cavallo-vapore è una misura di quanto lavoro-macchina equivalga al lavoro di un cavallo!). Dunque anche il calore è un modo per trasferire energia: questa equivalenza fra calore e lavoro meccanico, enunciata da Joule, introduce per la prima volta nella storia il calore nel bilancio energetico dell’universo.
Ma qui emerge anche una distinzione fondamentale, che verrà chiarita quando le energie in gioco verranno analizzate su scala molecolare. Il moto macroscopico degli oggetti (una macchina che si muove, un proiettile lanciato, una turbina di un motore, un pendolo che oscilla, per fare solo alcuni esempi), se fosse analizzato a livello atomico, apparirebbe come il risultato complessivo di altrettanti moti atomici che seguono tutti la stessa direzione, e che, proprio grazie all’ordine che li caratterizza, danno, anche a livello macroscopico, il risultato prima descritto. Se invece analizzassimo alla scala microscopica, il movimento degli atomi di un corpo protagonista di uno scambio di energia in cui è coinvolto il calore, vedremmo un moto caotico e disordinato, senza una direzione precisa di tutte le particelle che lo compongono, delle quali nessuna prevale sull’altra. Non è indifferente anche il fatto che il numero di atomi e di molecole coinvolto anche in una piccola quantità di materia è straordinariamente elevato (il numero di Avogadro è 10 elevato alla 23), ed è perciò statisticamente molto improbabile, e di fatto impossibile, che esse per caso si muovano contemporaneamente nella stessa direzione! Dove finisce dunque l’energia di movimento di queste particelle impazzite? Questa volta l’effetto complessivo –diciamo a livello macroscopico- è nella variazione di temperatura! C’è un fenomeno molto semplice e da tutti conosciuto che ci aiuta a prendere atto di questo effetto. Quando ci sfreghiamo le mani, esse si riscaldano; in effetti l’energia di movimento ordinata che imprimiamo alle mani diventa disordinata per l’effetto dell’attrito, che mette in agitazione le molecole in modo casuale, e si manifesta, a livello macroscopico, di nuovo, con l’aumento di temperatura. Ecco dunque che emerge un concetto-chiave: il calore è coinvolto nel processo di passaggio dall’ordine al disordine! Ma facciamo appello ancora ad un’altra esperienza comune: non capita mai che l’energia disordinata, non persa, ma sicuramente di-spersa sotto forma di aumento termico, possa essere interamente e spontaneamente recuperata per rimettere in moto le mani, che, a loro volta hanno diminuito la loro energia di movimento in questo passaggio. Ecco dunque il secondo problema: se una energia meccanica (in questo caso il movimento delle mani) – con il contributo dell’attrito sempre inevitabilmente presente in natura - può spontaneamente essere trasformata in energia termica, è anche vero il contrario? A prima vista sembrerebbe di sì, dato che l’energia non si distrugge: ma allora potremmo usare una macchina a vapore che ritrasforma l’energia termica in movimento, garantiti comunque dalla parità del bilancio generale dell’energia sancito dal primo principio della termodinamica. Pensate: una piccola macchina a vapore, da portarci dietro, miniaturizzata, nel nostro corpo, potrebbe trasformare il calore prodotto mediante l’attrito che produciamo nel movimento e convertirlo di nuovo in energia meccanica. In questo modo le automobili non avrebbero bisogno di benzina di rifornimento e il ciclo dell’energia si chiuderebbe virtuosamente … senza costi! Fu proprio questa, a suo tempo, l’illusione del moto perpetuo. Illusione che proprio il secondo principio della termodinamica si incaricò di spazzare via dall’orizzonte della fisica (anche dall’immaginario comune?).
Possiamo già anticipare il perché: i fenomeni legati al trasferimento di energia termica sono, in natura, irreversibili, avvengono cioè in una direzione, ma non in quella opposta. Mentre è possibile convertire l’energia ordinata (quella meccanica) in energia termica disordinata, non è possibile fare il contrario, se non pagando un prezzo! La macchina a vapore, infatti, si è detto, lo fa, ma quale prezzo paga? Il secondo principio della termodinamica definisce il “prezzo” del passaggio dal disordine all’ordine, e purtroppo è un costo del quale la natura non verrà mai a capo e che si può riassumere così, senza per ora giustificarlo a livello tecnico: quando il disordine diventa -localmente- ordine, in qualche altra parte dell’universo il disordine aumenta. Questo disordine, in termine tecnico, si misura e si chiama entropia. Potremmo quindi sintetizzare il secondo principio con l’espressione “l’entropia del mondo tende ad un massimo”.
Ma perché questa asimmetria così pesante nei processi lavoro-calore e calore-lavoro? Torniamo per un momento alla macchina a vapore. Essa funziona solo se ha a disposizione due sorgenti a temperatura diversa: una caldaia, che trasforma l’acqua in vapore, e un refrigerante che lo ricondensa perché il ciclo possa ricominciare. Quando il fluido passa da una sorgente all’altra una parte di energia si trasforma mediante un lavoro utile, mentre una parte deve necessariamente essere dispersa a temperatura pari a quella della sorgente a temperatura minore.
Ecco le condizioni vincolanti che stanno emergendo:
1- Senza questa differenza di temperature la macchina termica non potrebbe proprio funzionare.
2- L’energia che si disperde a temperatura inferiore non può essere riconvertita a sua volta se non usando una nuova sorgente più fredda, ma le temperature hanno un limite inferiore a 273 gradi centigradi sotto lo zero, quindi c’è un limite invalicabile all’abbassamento delle temperature.
3- Inoltre ci imbattiamo in un altro ostacolo: l’energia termica fluisce spontaneamente da una temperatura più alta ad una più bassa e non viceversa, quindi l’energia di-spersa nell’uso di una macchina termica non può rifluire verso la sorgente più calda spontaneamente. Anche il trasferimento di calore fra due corpi a contatto ha quindi caratteristiche di irreversibilità. Attraverso una “cascata” di macchine termiche che volessero recuperare il calore disperso arriveremmo necessariamente ad utilizzare energia a temperature sempre inferiori; quando avessimo sfruttato in questo modo tutti i salti di temperatura, arriveremmo alla cosiddetta morte termica, esito inevitabile del secondo principio della termodinamica. L’universo finirebbe nel gelo totale.
Benché quantitativamente indistruttibile, dunque, l’energia progressivamente ed inevitabilmente si degrada ed ha sempre minore possibilità di essere riutilizzata.
E parallelamente il minor grado di riutilizzabilità dipende da un aumento di disordine, misurato dall’entropia. Spero che ora sia più chiara l’affermazione con la quale si è aperto questo paragrafo: ogni mutamento è una conseguenza del collasso senza scopo di energia e di materia verso il disordine.
Anche l’universo muore, nel suo ribollire tumultuoso di continue trasformazioni.
Diagramma di una macchina termica: la sorgente calda a temperatura TH cede il calore QH, la macchina termica cede il calore QC alla sorgente fredda a temperatura TC. La macchina termica compie lavoro W sull’ambiente esterno.
L’irreversibilità dei processi e la freccia del tempo
Ho detto all’inizio che la termodinamica è densa di significati profondi, che contribuiscono ad illuminare la struttura del mondo in cui viviamo: nel primo principio abbiamo visto una prima implicazione della termodinamica con il concetto di tempo. Si è detto che la conservazione dell’energia ha a che fare con la natura fluida e regolare del tempo, una delle categorie fondanti utilizzate da sempre per ordinare la nostra esperienza. Ma c’è una “rete che connette”, direbbe Bateson, anche fra il secondo principio della termodinamica e la nostra esperienza dello scorrere del tempo, quella appunto definita come la freccia del tempo, che, guarda caso, va anch’essa in una sola direzione irreversibilmente: la direzione che ci permette di riconoscere il prima e di distinguerlo dal poi.
Pensiamo all’esperienza comune di un mazzo di carte da gioco. Esso è costituito da figure che si distinguono sia per “seme” che per “numero”. La condizione di stato ordinato è quella in cui le carte sono disposte in ordine crescente di valore numerico (asso, due, tre, ecc.) e anche di seme (tutti cuori insieme, così come tutti i fiori, ecc…), e così infatti si presentano quando vengono vendute. Non appena vengono usate, esse si mescolano casualmente ed entrano in uno stato disordinato. Verranno poi intenzionalmente riaccorpate in un parziale stato di ordine da parte dei giocatori, secondo la convenienza imposta dalle regole del gioco stesso, ma non capiterà mai che spontaneamente, senza un intervento esterno, ritornino allo stato ordinato iniziale. Questo perché lo stato di ordine è solo uno fra i tanti possibili, invece, nelle disposizioni non ordinate: quindi lo stato di ordine è molto poco probabile, tanto meno probabile quanto maggiore è il numero di carte in gioco. L’esempio delle carte si presta bene a far emergere una nuova realtà: esiste una freccia del tempo termodinamica, che ci permette di distinguere il passato dal presente e dal futuro. É la stessa freccia che segna l’evolversi dall’ordine al disordine. Chi vedesse, in una sequenza cinematografica una scena in cui i cocci di una bottiglia tornano a saldarsi insieme ricostruendo l’oggetto iniziale (stato ordinato) capirebbe che la sequenza è stata proiettata alla rovescia perché l’immagine della bottiglia integra non può che avvenire prima di quella dei suoi cocci. Così, la seconda legge scandisce la sequenza del tempo da noi percepita, la freccia psicologica, -come dice Stephen Hawking- grazie proprio alla irreversibilità dei processi termodinamici. É per questo che noi ricordiamo il passato e non il futuro. Se si pensa dunque che la categoria di tempo è fondamentale nel nostro modo di percepire, ordinare e spiegare l’esperienza, a qualunque livello, emerge con una chiarezza insospettata la profondità e la complessità delle relazioni messe in gioco da questa legge della natura.
Eppure la nostra vita si svolge nel continuo sforzo di creare stati ordinati: lo stesso mio aver messo in ordine concetti e parole per comunicare in questo scritto tende verso l’ordine, ma tutto questo non viola il secondo principio della termodinamica, perché l’ordine locale, creato nelle nostre menti mentre percepiamo l’informazione, costa all’universo una quantità di disordine molto maggiore. Uso qui le parole di Stephen Hawking, che illustrano in modo molto incisivo questa realtà, a chiusura di un suo articolo sullo stesso tema.
Se il lettore avrà ricordato ogni parola qui scritta, la sua memoria avrà immagazzinato circa 200mila bit di informazione. Allora, l’ordine nel suo cervello si sarà accresciuto di 200mila unità. Comunque, nel corso della lettura saranno stati convertiti circa 300mila joule di energia ordinata (il cibo precedentemente assunto) in energia disordinata, sotto forma di calore che il lettore avrà disperso nell’aria circostante per convezione e col sudore. Questo avrà aumentato il disordine dell’universo di circa 15 milioni di milioni di volte più dell’aumento di ordine intervenuto nel suo cervello. Penso sia meglio che mi fermi qui prima che si degeneri in uno stato di disordine totale.
Ma io sfido anche la prudenza di Hawking e insisto con un’altra osservazione. Riprendendo l’esempio delle carte da gioco: se il numero di carte, invece di essere quaranta o cinquantadue fosse molto minore, dell’ordine inferiore alla decina, ci sarebbero maggiori probabilità che nel rimescolarle, casualmente, tornassero ad uno stato ordinato (basterebbe ricorrere al calcolo delle probabilità). Ma il numero di molecole che compongono la materia e che intervengono nei fenomeni macroscopici, come fanno le singole carte nel mazzo, è enormemente più grande di quello -relativamente molto inferiore- dell’esempio fatto; a maggior ragione, dunque, non ci sono da aspettarsi eventi che contraddicano le leggi della termodinamica. Questo è già stato detto, ma il rinforzo, qui, serve a sottolineare che la variabile quantità, nelle leggi di natura, incide profondamente sulla qualità dei fenomeni in gioco. Come non ripensare profondamente il dualismo cartesiano?
Entropia e sistemi viventi: un’eccezione?
Apparentemente il fenomeno vita contraddice il secondo principio della termodinamica in quanto negli organismi che nascono, crescono e sviluppano progressivamente il proprio stato di organizzazione interna, l’ordine aumenta: si dice perciò che essi si alimentano di entropia negativa. É facile però osservare che questo aumento di ordine avviene grazie ad uno scambio di materia e di energia con l’ambiente. Gli esseri viventi sono un sistema aperto e, come tale, sfuggono ai vincoli imposti invece ai sistemi chiusi, descritti dalla termodinamica. Ma non sfugge invece l’Universo, e, nei limiti in cui si può considerare chiuso, anche il sistema-terra, che pagherà l’aumento di ordine localizzato negli organismi viventi con una maggiore quantità di disordine da un’altra parte. Si pensi alla catena alimentare, descritta semplicemente ed efficacemente dal chimico G. Tyler Miller: servono 300 trote a mantenere un uomo per un anno, le trote consumano 90.000 rane che mangiano 27 milioni di cavallette che vivono di 1000 tonnellate d’erba. E si pensi che, nel divorare una preda, solo il 10-20% dell’energia viene utilizzata dal predatore, il resto viene dispersa nell’ambiente. Non solo: più l’organismo è evoluto, maggiore è il flusso di energia che assorbe, e, necessariamente, maggiore è il disordine che crea nell’ambiente circostante. L’evoluzione, dunque, crea isole di ordine sempre più grandi a spese di mari di disordine sempre più grandi(J. Rifkin, Entropia, Baldini e Castoldi, Mi, 2000). Eppure noi ci illudiamo del contrario: abbiamo una immagine dell’evoluzione come di un continuo progresso, anche se non possiamo negare che la Terra cominci a presentarci il conto.
Entropia e tecnica: una illusione
Siamo dunque irrimediabilmente destinati alla morte termica?
Si, se pensiamo all’inevitabile destino prefigurato dal secondo principio della termodinamica. Ma abbiamo a disposizione una scelta possibile: quella di rallentare il processo entropico. L’entropia infatti aumenta tanto più quanto maggiore è il flusso energetico di cui ci appropriamo, cioè la quantità di energia trasformata nel tempo e nello spazio. Di fatto, il flusso di energia non è sempre stato lo stesso nella storia dell’uomo, ma è andato aumentando con lo sviluppo della specie e con la sua colonizzazione dell’ambiente. Da tempo gli antropologi hanno capito che una cultura e una civiltà si sviluppano e acquistano forma in base ai modi con i quali ogni gruppo umano organizza le risorse energetiche dell’ambiente in cui vive. Le divisioni in classi, lo sfruttamento dei potenti sui deboli, i privilegi e le forme di povertà dipendono da come avviene l’accesso alle risorse energetiche e al loro uso: il potere da sempre appartiene a chi ha il controllo degli strumenti con i quali si trasforma energia.
Dall’analisi storica e dalla ricerca antropologica emerge anche la dinamica con la quale evolve il processo di sfruttamento e d’uso delle risorse energetiche. Nella fase di colonizzazione di un habitat naturale, quando le risorse sono abbondanti, si trasforma una grande quantità di energia con un grande flusso entropico, ma via via che le risorse diminuiscono si tende necessariamente ad utilizzarle al minimo, prima di cercare un nuovo habitat: in questo caso si parla di una nuova fase di climax. Ogni volta che il risultato dell’accumulo di entropia si risolve in un cambiamento delle fonti energetiche di tutto l’ambiente, si incontra uno spartiacque entropico. E la storia ci dice che tutte le volte che si è accelerato il processo di sfruttamento delle risorse energetiche si sono accorciati i tempi per raggiungere il successivo spartiacque entropico. Infatti, mentre le società dei cacciatori-raccoglitori sono sopravvissute centinaia di migliaia di anni utilizzando le proprie risorse ambientali prima di passare all’agricoltura, ci sono volute decine di migliaia di anni prima che fosse necessario passare ad una economia industriale. Ora, dopo poche centinaia di anni si presenta un nuovo spartiacque entropico. É questo il momento in cui urge entrare in uno stato di climax: vivere in un ambiente a bassa energia, seguendo il flusso naturale delle energie rinnovabili per rallentare la crescita dell’entropia. É questa la sfida che Rifkin illustra, sostenendola in modo inequivocabile con argomenti scientifici e qui si innesta, parallelamente, la sfida dell’empatia, che chiama in causa le risorse culturali della specie umana.
Jeremy Rifkin interpreta la Storia come evoluzione verso La civiltà dell’empatia
Anna Cerati
La visione tradizionale della storia
La visione tradizionale della storia considera l’umanità coinvolta in lotte senza quartiere per la difesa e il soddisfacimento dei propri interessi.
Ma le neuroscienze, con la scoperta dei neuroni specchio, hanno rivelato che l’uomo ha la capacità di relazionarsi in maniera empatica.
Si può semplificare il concetto di empatia come la capacità di percepire i sentimenti (in particolare la sofferenza altrui) come propria, ovvero la capacità di immedesimazione nello stato d’animo dell’altro. Rifkin propone una rilettura della storia
Una rilettura della storia
Partendo dalla constatazione che la coscienza umana è cambiata nel corso della storia, Rifkin attua un parallelismo tra i cambiamenti della coscienza ed il modo col quale l’uomo ha organizzato i propri rapporti col mondo naturale e con le energie del pianeta, grazie a sempre nuove e diverse forme di comunicazione.
Rifkin inquadra la storia in una spirale virtuosa caratterizzata da livelli sempre più elevati di capacità di comunicazione e di relazioni empatiche. All’interno di questa spirale ogni nuovo stadio della coscienza corrisponde al riposizionamento mentale della capacità dell’uomo di percepire il mondo ed i propri simili, riposizionamento che si verifica quando una rivoluzione energetico-comunicazionale fa nascere una nuova organizzazione sociale. I cambiamenti dei regimi energetici sono accompagnati da cambiamenti nel modo in cui le persone comunicano tra loro per gestire i flussi di energia ed i mutamenti della comunicazione influiscono sul modo in cui il cervello umano comprende e organizza la realtà. I sistemi di comunicazione che si sono susseguiti nel corso della storia (orale, scritto, a stampa, tele-comunicazione) hanno modificato la coscienza umana.
Rifkin pone la coscienza empatica alla base della convivenza civile
Nella sua visione della storia dell’uomo il rapporto fra energia ed ambiente è alla base dell’organizzazione sociale, a partire dalla quale si sviluppano forme diverse di comunicazione, che, a loro volta, alimentano i processi culturali fino a far emergere e far crescere sempre più la coscienza empatica.
Una stretta e continua interazione fra i processi naturali, i processi culturali in senso ampio ed i problemi tecnico-scientifici ed etico-sociali, forma la rete che connette un grande affresco sulla storia dell’uomo.
Rifkin sceglie il modello della complessità
Ha un approccio alla conoscenza sistemico, olistico, non riduzionistico. In esso natura, storia, cultura, uomo, ambiente evolvono assieme interagendo continuamente.
Studiando i paradigmi energetico-comunicazionali, egli individua le più importanti fasi empatiche della storia e valuta il contributo che esse hanno dato all’universalizzazione dell’espressione empatica.
Società e livelli empatici
L’assunto di Rifkin è che l’evoluzione tecnologica, energetica, della comunicazione si risolve in un’evoluzione degli stadi di coscienza e dei livelli empatici. Su questo assunto si fonda la lettura di Rifkin della storia.
Si è provato a riassumere in modo schematico e comparato i capitoli centrali del testo di Rifkin (parte III, cap. VI - X). Tutto ciò che è riassunto nelle tabelle seguenti è tratto dal testo di Rifkin, senza aggiunte o considerazioni (con l’eccezione di due piccolissime aggiunte che appaiono in corsivo).
Gli eventi storici delle varie epoche non sono esplicitati, poiché anche nel testo di Rifkin sono in sottofondo: Rifkin evidenzia il vissuto delle varie epoche, NON i fatti storici.
Spesso un’epoca storica termina al verificarsi di un fattore di crisi.
I successivi 7 secoli
Nei successivi sette secoli l’abbraccio empatico diventa precario a causa dell’introduzione della figura del Diavolo - usato come strumento per stigmatizzare i diversi (eretici, ebrei, ecc.) - ed a causa dell’imperializzazione della Chiesa.
La fase empatica finisce con la caduta dell’impero e la decadenza della vita urbana.
L’onda empatica cristiana dura tre secoli. Alla fine del 4° secolo un terzo della popolazione romana era cristiana, tanto che Costantino si convertì al Cristianesimo, garantendo al Cristianesimo legittimità e universalità ed all’Impero l’energia spirituale universale di cui aveva bisogno per reggersi ancora. Ma nel tempo cambia la figura del Cristo, presentato come “imperatore del cielo”, ed i capi della Chiesa si dichiarano diretti successori degli apostoli ed emissari di Dio sulla Terra: era nata la Chiesa Cattolica. L’imperatore Costantino fu incoronato dalla Chiesa ed i vescovi si incoronarono portavoce di Dio nel mondo.
L’onda empatica cristiana lascia un segno indelebile nella storia
Le Confessioni di Sant’Agostino raccontano in prima persona il risveglio della coscienza di sé: la confessione è un esame dei propri sentimenti, è protopratica terapeutica) e la storia di Sant’Agostino è la storia di un uomo che diventa cosciente di sé.
Mutano le pratiche genitoriali: appaiono le prime leggi che proibiscono gli abusi sui bambini (4°secolo), come espressione del Vangelo e dell’attenzione di Gesù per i piccoli: è emblematico il confronto con le società idrauliche patriarcali, in cui addirittura i figli potevano essere sacrificati dal padre.
La rivoluzione della stampa a caratteri mobili
La diffusione dei testi a stampa influì fortemente sui livelli empatici.
La stampa fu all’inizio uno strumento di comando e controllo per la gestione della produzione di energia e delle produzioni di merci più abbondanti e più varie. Ma i suoi sviluppi ebbero enormi influenze sulle capacità empatiche. Con il passaggio dalla tradizione orale alla lettura, cioè ad un’esperienza fortemente individuale, la stampa rafforzò il senso dell’individualità, a spese dei legami comunitari fondati sull’ascolto delle letture. Contemporaneamente però portò ad una maggiore riflessione sul sé, con una conseguente maggiore predisposizione all’empatia.
Inoltre la stampa permise di connettere gli individui in nuovi generi di affiliazioni e legami, attraverso porzioni di spazio e di tempo più estese rispetto agli ambiti ristretti della tradizione orale.
Nelle culture orali la regola erano la ridondanza e la discontinuità del pensiero che si fondava sulla memoria dell’uomo, invece la stampa comportò un cambiamento dei modi di organizzazione delle conoscenze, divenute più razionali, analitiche, lineari, ordinate, oggettive, sequenziali, causali; si introdussero schemi, liste, grafici, ausili visuali: si gettarono le basi per la visione scientifica del mondo.
Con la stampa si diffusero le carte geografiche, che incrementarono i viaggi e gli scambi, e che migliorarono a loro volta le carte geografiche e la conoscenza del mondo.
Si introdusse la cultura commerciale del contratto, un sistema di prezzi uniforme e con esso lo scambio di proprietà.
La tecnica della stampa, fondata su un sistema di assemblaggi, intercambiabilità, uniformità, produzione di massa e riutilizzo, fu il primo processo industriale moderno. L’alfabetizzazione divenne universale. L’atteggiamento mentale e la visione del mondo divennero adatti a un modo “industrioso” di vivere e stare al mondo.
Con la stampa nacquero le lingue nazionali.
Ricordiamo uno degli assunti fondamentali del testo di Rifkin: i mutamenti della comunicazione influiscono sul modo in cui il cervello umano comprende e organizza la realtà. Perciò i sistemi di comunicazione (orale, scritto, a stampa, tele-comunicazione) hanno modificato la coscienza umana. Secondo Rifkin la stampa contribuì ad un mutamento radicale della coscienza nella direzione di un’accresciuta empatia.
L’accresciuta empatia si concretizzò nell’Umanesimo.
La stampa, le nuove fonti di energia, un nuovo cosmopolitismo condussero all’Umanesimo. Esso corrispose ad una forte ondata empatica la cui influenza è avvertita ancora oggi.
Dai primi esponenti dell’Umanesimo, da Leonardo a Shakespeare, dal Rinascimento italiano con la riscoperta dell’antichità classica, al tardo Rinascimento nordico con Erasmo da Rotterdam, venne messa in discussione l’ortodossia cristiana a favore dell’esplorazione e della celebrazione della ricchezza e della diversità umana e avendo desiderio di scoprire cosa rende umana la vita umana (Shakespeare).
La laicizzazione della coscienza umana accompagnò l’emergere dell’individuo consapevole di sé: senza una presenza divina che spiegasse la condizione umana, l’uomo dovette ripensare il significato di “natura umana” attraverso un dialogo intimo con la propria coscienza ed un dialogo sociale con la coscienza collettiva.
L’Umanesimo portò alla secolarizzazione della coscienza empatica.
Questa nuova coscienza fece irruzione anche nella vita e nei costumi quotidiani, solo qualche esempio: nel 1490 nacque l’uso della sedia (prima esisteva solo trono), che può essere letta come un’esaltazione dell’individualità; nel corso del ‘600 vi fu un lento estendersi del matrimonio d’amore e del rispetto dell’infanzia.
Nei secoli successivi, assieme ai mercati nazionali, nacquero gli stati-nazione, che eliminarono le sacche di resistenza al libero scambio.
Prese così avvio il pensiero ideologico nella moderna economia di mercato.
Ancora sull’era romantica
Il movimento romantico influenzò ogni convenzione e istituzione sociale: dalle relazioni matrimoniali, all’educazione dei bambini, alle idee sulla giustizia e sul governo. Raggiunse il proprio apice con le insurrezioni del 1848, Primavera dei Popoli.
Marianne, raffigurata con un seno sodo e prosperoso, archetipo della giovane donna francese, con la sua generosità esprimeva l’ideale di un accudimento uguale per tutti, simbolo della compassione e dell’espressione empatica al culmine della Rivoluzione Francese.
L’identificazione immaginativa con gli altri era l’espressione che i romantici usavano per indicare l’empatia, concepita come capacità di immaginare l’altro.
I romantici andarono oltre i concetti di fraternità e solidarietà dei rivoluzionari francesi riportando l’uomo in seno alla natura, dalla quale egli è completamente dipendente, estendendo all’universo la coscienza empatica.
Schopenhauer e l’empatia
La prima vera concettualizzazione moderna del significato di coscienza empatica è ad opera di Schopenhauer nel 1840: compassione, animata da sentimenti e emozioni sono al centro della moralità. “…io soffro addirittura con lui, sento il male suo come di solito soltanto il mio; e perciò voglio direttamente il bene suo come di solito soltanto il mio…. Ogni istante, vediamo invece chiaramente che chi soffre è lui, e non noi; e proprio con la sua persona , non con la nostra, sentiamo il dolore che ci affligge. Noi soffriamo con lui e quindi in lui; sentiamo il suo dolore in quanto suo e non ci figuriamo che sia il nostro.”
Schopenhauer per primo definì il processo empatico: mancava solo la parola empatia.
Le basi fisiologiche e psicologiche della compassione giungeranno nel Novecento con la nascita della coscienza psicologica.
Siamo così arrivati alle soglie della contemporaneità Le varie forme di coscienza esaminate, mitologica, teologica, ideologica, psicologica, continuano ad esistere in varie forme e gradi nel mondo e nella psiche umana, ma nel loro susseguirsi hanno via via alzato i livelli empatici. La coscienza psicologica permette(va) a una popolazione sempre più individualizzata, che vive(va) in un’economia globale sempre più tecnologica e interconnessa, ma anche sempre più alienante, di estendere letteralmente il proprio sistema nervoso centrale ad ambiti sempre più vasti dell’esistenza, sviluppando un sentimento empatico che abbraccia(va) l’universo e che meglio si addice(va) all’emergente civiltà globale. Oggi viviamo però una crisi entropica. Attuale crisi entropica Solo un accenno alle cause della crisi entropica attuale, che possono essere individuate nell’esaurimento dei combustibili tradizionali (fossili, uranio), sovrasfruttamento delle risorse del pianeta, inquinamento e mutamenti climatici, incremento demografico, bisogni dei paesi emergenti, flussi migratori. Ci possiamo quindi chiedere quali energie utilizzeremo in futuro? Ma, seguendo il pensiero di Rifkin, ci possiamo chiedere anche come le nuove forme di comunicazione influiscono/influiranno sulla nostra coscienza e sulla nostra capacità empatica, cercando di comprendere come pensano i nativi digitali. Secondo Rifkin oggi viviamo, l’era dell’empatia. Oggi, l’era dell’empatia Stiamo vivendo una crisi che ci condurrà ad un nuovo e più elevato livello di empatia? Ciascuno provi a compilare la tabella della contemporaneità.