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Architetti non umani

 

 

 

diga di castori

 Architetti non umani

 

Valentina Valenti

 

Palafitte, nuraghi, templi greci, domus romane, castelli medievali, chiese cristiane, ville rinascimentali fino agli svettanti grattacieli. Si può dire che non esista civiltà senza il proprio edificio, che ne rappresenti l’essenza e ne garantisca l’immortalità e il ricordo anche per le generazioni successive. La grandiosità e la bellezza delle architetture costruite nel tempo, che spesso dovevano trasmettere il potere, la ricchezza e la cultura di committenti e artisti, hanno illuso l’uomo di detenere il primato di unico animale in grado di progettare e realizzare opere di questa portata e di modificare (a volte fin troppo) il paesaggio in base al proprio volere. In realtà esistono specie che possono vantare sorprendenti abilità ingegneristiche e architettoniche grazie alle quali, partendo da materiali a kilometro zero talvolta un po' fantasiosi, riescono a costruire veri e propri condomini o metropoli senza commettere nemmeno un errore di valutazione. Tra le forme che più si avvicinano alla perfezione ci sono i favi naturali di api e vespe: la forma a esagono delle celle è già un’idea geniale perché si tratta della figura geometrica migliore che consente di usare, a parità di volume, la minor quantità di materiale costruttivo e di annullare spazi vuoti inutilizzati. Cerchio, pentagono, quadrato, triangolo e tutti gli altri poligoni risulterebbero svantaggiosi. Inoltre le vespe cartonaie (genere Polistes) realizzano il favo asportando, grazie alle potenti mandibole, le fibre di legno da recinti o tronchi e impastandole con la propria saliva. Purtroppo questo materiale dalla consistenza cartacea non è affatto resistente all’acqua ma anche a questo problema hanno trovato una soluzione: applicano una vernice naturale ma efficacissima, la loro saliva, che impermeabilizza alla perfezione il delicato favo. Costruzioni ancora più sorprendenti sono state adottate dalle termiti, in particolare le Macrotermes che costruiscono palazzi alti fino a 8 m, che svettano caratteristici nelle savane dell’Africa, al cui interno è scavato un complicato labirinto di corridoi. Più schiacciati, a forma di lama, sono invece i termitai delle termiti bussola (Amitermes meridionalis) che vivono nell’Australia settentrionale. Il lato stretto di questi coni di terra è orientato sull’asse nord-sud mentre la parte più estesa su quello est-ovest; quest’ultima si trova quindi esposta al Sole alla mattina e alla sera, cioè nei momenti di minor irraggiamento, mentre la zona stretta è colpita dai raggi solari durante il torrido pomeriggio. Grazie alla combinazione di forma e orientamento i termitai hanno una perfetta termoregolazione scongiurando pericolosi surriscaldamenti. Non è solamente il Sole a creare potenzialmente qualche disagio ma pure la pioggia, esattamente come per le vespe, e le termiti delle foreste pluviali hanno saputo far fronte anche a questo, edificando termitai a fungo con una struttura centrale rigonfia sormontata da un cappellino, che funge da tetto o da ombrello proteggendo il nucleo sottostante. Gli abili ingegneri non si nascondono però solo tra gli invertebrati; c’è ad esempio un roditore dalla coda appiattita che segnala la propria presenza attraverso inequivocabili segni sui tronchi, il castoro. Cacciato pesantemente con l’obiettivo di ottenere pellicce, carne e castoreo (secrezione ghiandolare oleosa) e per eliminare i problemi da lui (apparentemente) causati all’agricoltura, ha ristretto notevolmente l’areale sia in Europa (Castor fiber) che in America (Castor canadensis) ma attualmente sta tentando di riconquistare alcuni territori. Proprio questo ritorno ha evidenziato chiaramente quanto i castori siano in grado di plasmare e modificare il paesaggio fornendo però notevoli benefici a livello ecologico ed ecosistemico dimostrati ad esempio dal monitoraggio quinquennale (2015-2020) avvenuto nel Devon grazie al supporto dell’Università di Exeter. Le dighe che vengono costruite da questi roditori in prossimità delle loro capanne di rami, fango e muschio riescono a creare specchi d’acqua considerevoli e viene anche scavata una fitta rete di canali che servono per facilitare il trascinamento di pesanti tronchi dal luogo di abbattimento fino alla capanna. Queste importanti modifiche cambiano l’intera asta fluviale rallentando la velocità della corrente e creando nuove zone umide. L’immediato e rilevante beneficio è una protezione da allagamenti e alluvioni poiché le dighe e i canali fungono da bacini di laminazione in grado di contenere fino ad un milione di litri; inoltre i detriti vegetali accumulati agiscono da filtro eliminando soprattutto i fosfati provenienti dai fertilizzanti e migliorando così la qualità dell’acqua. La presenza dei castori poi implica una forte diversificazione degli habitat (bacini con varie profondità, aree temporaneamente allagate, canali con diverse velocità e portate) e la creazione di numerose nicchie ecologiche che possono accogliere un’elevata biodiversità animale e vegetale. Nel monitoraggio ad esempio è stato rilevato un aumento del 37% per i pesci e il passaggio da 8 a 26 specie per gli scarabei acquatici, oltre al ritorno di ardeidi e natrici. I siti riproduttivi per gli anfibi inoltre sono diventati ben 681 mentre prima dell’arrivo dei roditori erano solo 10. In una zona della Scozia invece un altro studio ha dimostrato un incremento del 50% delle specie vegetali. In pratica si può dire che i castori costruiscono un vero e proprio condominio multispecifico con eccellenti regole di buon vicinato. Da non sottovalutare pure la capacità delle aree paludose da loro ottenute di catturare e trattenere CO2, svolgendo un’azione di contrasto ai cambiamenti climatici. In questo però sono aiutati da altri animali che vivono in ambienti lontanissimi geograficamente ed ecologicamente: gli elefanti. I Loxodonta africana abbattono, sradicano e mangiano le piante mantenendo la savana stessa, bioma con grandi zone prive di copertura arborea e arbustiva. Già questa modifica da architetto paesaggista è importante per l’intero ecosistema locale ma si è osservato che questi animali selezionano le piante lasciando solo quelle a crescita lenta, che hanno un tronco denso di lignina e riescono per questo ad assorbire più carbonio dall’atmosfera. Se gli elefanti si estinguessero quindi la savana cambierebbe radicalmente (e questo creerebbe problemi a tutte le altre specie presenti) e il cambiamento climatico avrebbe un ostacolo in meno. Se è vero che le civiltà hanno voluto trasmettere la propria essenza attraverso le architetture, allora osservando le costruzioni degli animali si può capire quanto per loro non contino ricchezza, potenza o sfarzo ma solo la salvaguardia della Terra e di tutti i coinquilini che ospita. Si può dire lo stesso dell’uomo?