Tripanosomiasi africana
Piero Sagnibene
L'Organizzazione Mondiale della Sanità segnala circa 10.000 nuovi ulteriori casi di tripanosomiasi africana ogni anno, ma il sospetto è che questo dato sia sottostimato per la mancata diagnosi o notifica. Oltre il 95% dei casi notificati sono imputabili al parassita Trypanosoma brucei gambiense DUTTON, 1902, diffuso soprattutto nell'Africa centrale e occidentale, mentre l'altro 5% è provocato dal Trypanosoma brucei rhodesiense STEPHENS e FANTHAM, 1910, presente nel sud-est del continente. Il sospetto è che la cifra dei pazienti sia largamente inferiore alla realtà e che, inoltre, vi sia una diffusione non censita della tripanosomiasi animale. I vettori delle due malattie sono detti, popolarmente, mosche tse-tse, ed il timore di una loro diffusione su larga scala dipenderebbe dalla modificazione dei loro ambienti, corroborata dalla persistenza del riscaldamento globale, che le spingerebbe fuori dai loro areali africani. Si teme che possano adattarsi ad altri ambienti antropizzati, anche a causa di diffusione antropocora.
I vettori dei tripanosomi sono mosche del Genere Glossina WIEDEMANN , 1830, ditteri muscidi appartenenti alla Superfamiglia degli Hippoboscidi; questi ultimi sono tutti ectoparassiti obbligati che si nutrono del sangue dei loro ospiti vertebrati. La Glossina è l’unico Genere della Famiglia Glossinidae, che comprende le 23 Specie proprie delle regioni tropicali umide africane. I Tripanosomi nell’uomo causano la “malattia del sonno”. Le due diverse sub-specie, che hanno storicamente anche una diversa localizzazione geografica, causano 2 diverse forme di tripanosomiasi africana, quella rodesiense e quella gambiense. Il Trypanosoma brucei rhodesiense è responsabile della cosiddetta "tripanosomiasi orientale", la forma subacuta della malattia. Il parassita, in origine, era diffuso nelle regioni orientali dell'Africa e viene trasmesso dalla puntura della Glossina morsitans. Questa variante della malattia, estremamente virulenta, presenta un decorso variabile da alcuni giorni a pochi mesi. Non appena si manifestano i primi sintomi, il malcapitato si trova già in uno stadio avanzato della malattia (coinvolgimento del sistema nervoso centrale) ed, in caso di mancato intervento antibiotico, la prognosi è infausta. Il Tripanosoma brucei gambiense è responsabile del 90-95% di tutte le forme di tripanosomiasi africana, detta "malattia del sonno del Gambia", presente nei paesi dell'Africa Occidentale e Centrale. Il periodo d' incubazione del protozoo può durare anche molti anni: durante questo periodo, il soggetto può anche non manifestare alcun sintomo apprezzabile. Per questa ragione, la “malattia del sonno” è definita tripanosomiasi cronica. Il parassita viene trasmesso all'uomo dalla mosca tse-tse Glossina palpalis.
In corrispondenza della puntura della Glossina, in un periodo variabile da pochi giorni a 2 settimane, si forma un’escrescenza che assume una colorazione rosso scuro e che si trasforma in un’ulcera dolente e gonfia. Nell’arco di settimane o mesi, l’infezione si diffonde al sangue e alla linfa; si manifestano febbri ricorrenti, brividi, cefalea e dolori muscolari e articolari. Si può verificare un temporaneo gonfiore del volto ed in alcune persone, compare un’eruzione cutanea; i linfonodi, lungo la parte posteriore del collo, si ingrossano e può svilupparsi anemia. Infine, quando vengono colpiti il cervello e il liquido cerebrospinale, le cefalee diventano persistenti. Il soggetto lamenta sonnolenza, perde la capacità di concentrazione e ha problemi di equilibrio e di andatura. La sonnolenza peggiora e il soggetto può addormentarsi nel bel mezzo di un’attività. In assenza di trattamento, il danno cerebrale progredisce, determinando coma e infine il decesso, che si verifica entro mesi oppure 2 o 3 anni dopo la comparsa dei sintomi, a seconda della specie che ha causato l’infezione.
La mosca viene contaminata dal tripanosoma pungendo e succhiando sangue da un soggetto infetto; si infetta essa stessa e trasmette il parassita ad un secondo individuo (sano) con la sua puntura. Quando la Glossina infettata punge l'uomo, inocula per via transcutanea, ma talvolta anche per via ematica, se pesca un capillare, i tripomastigoti metaciclici presenti ed attivi nelle sue ghiandole salivari. Nell'ospite, i tripanosomi entrano nel sistema linfatico e nel sangue dove si trasformano in tripomastigoti circolanti e iniziano una ripro-duzione incessante per scissione binaria (stadio emolinfatico). La parassitemia è periodica: i momenti in cui si presenta elevata sono alternati ad altri in cui è bruscamente ridotta per la reazione del sistema immunitario dell’ospite infettato, che produce anticorpi specifici. Un gruppo di parassiti, però, modificando le glicoproteine di superficie, è in grado di evadere la risposta degli anticorpi ed il ciclo di moltiplicazione e lisi, quindi, continua a replicarsi.
Nel corso dell'infezione, i tripanosomi invadono progressivamente i linfonodi, la milza, il fegato e molti altri organi. Il decesso può avvenire pochi giorni dopo il coinvolgimento del sistema nervoso centrale (stadio meningo-encefalitico). La vittima, quindi diviene un serbatoio di tripanosomi e quando una mosca ingerisce il sangue di un uomo o di un animale infetto, il tripanosoma si moltiplica nel suo intestino, prima di migrare nelle sue ghiandole salivari; la Glossina allora può trasmettere l'infezione ad un altro mammifero o all'uomo con una nuova puntura, se sono trascorsi almeno 20-30 giorni da quando si è infettata.
Oltre alla puntura delle Glossine, non è esclusa, inoltre, la trasmissione del parassita da parte di altri insetti ematofagi. E’ possibile anche la trasmissione dalla madre al bambino durante la gravidanza: il tripanosoma, infatti, può attraversare la placenta e infettare il feto. Si possono avere infezioni accidentali in seguito a punture con aghi contaminati ed è possibile la trasmissione del parassita anche attraverso rapporti sessuali.
Glossina WEIDEMANN 1830
Diptera Brachycera Cyclorrapha Schizo-phora Calyptrata Hippoboscoidea Glos-sinidae
con ali posteriori trasformate in bilancieri – antenne brevi costituite da 3 articoli e fornite di stilo – sfarfallano fuoriuscendo da una apertura rotonda dalla estremità cefalica del pupario – dotati di una ampolla frontale pulsante al momento dello sfarfallamento – dotati di calyptra, una espansione suddivisa in due lobi squamiformi , tipica dei Ditteri più evoluti.
Le Glossine appartengono alla Superfamiglia Hippoboscoidea, ditteri moscoidi tutti ectoparassiti obbligati che si nutrono del sangue dei loro ospiti. La Famiglia delle Glossinidae comprende il solo genere Glossina che raccoglie 34 specie.
In quanto Ditteri, gli Hippoboscidi sono olometaboli, con gli stadi di uovo, 5 stadi di larva, pupa ed adulto. Le Glossine sono multivoltine, si riproducono 4 volte in un anno e con circa 31 nidiate nel corso della loro vita. Hanno un ciclo biologico insolito, che potrebbe essere dovuto alla ricchezza della loro fonte di cibo: il sangue. Gli Hippoboscidi non depongono uova, la femmina li trattiene nel suo corpo ed in molti casi dal suo corpo fuoriesce direttamente la pupa.
Una femmina di Glossina feconda solo un uovo alla volta e trattiene ogni uovo all'interno del suo corpo per far sì che la prole si sviluppi internamente durante i primi tre stadi larvali. Le uova si schiudono quindi nel corpo della madre, in un utero nel quale le larve sgusciate sono alimentate da una secrezione lattiginosa prodotta da ghiandole modificate; al terzo stadio di larva, questa fuoriesce dal corpo della madre. Questo tipo di riproduzione è definito come viviparità adenotrofica. Le femmine partoriscono 8-10 larve del terzo stadio, già sviluppate, e depongono le larvette tra i muschi o tra le anfrattuosità del terreno.
Lo stadio di vita larvale ha una durata variabile, generalmente da 20 a 30 giorni, e, durante questo periodo, lo sviluppo, fino allo stadio di adulto, avviene senza alimentazione, basato solo sulle risorse nutritive fornite dalla madre. La femmina deve dunque ottenere energia sufficiente per i suoi bisogni, per i bisogni della sua prole in via di sviluppo e per le risorse di cui la sua prole avrà bisogno fino a quando non emergerà come adulta dopo circa un mese. Le larve si impupano, sviluppando il puparium (un involucro esterno duro). Le pupe sono oblunghe e con due lobi piccoli e scuri alla estremità caudale, per la respirazione. Nel guscio pupale, si completano gli ultimi due stadi larvali e lo stadio pupale.
Gli adulti sono mosche lunghe 0,5–1,5 centimetri, con teste grandi, occhi nettamente separati e antenne con ariste con peli a loro volta ramificati, l'addome è più corto delle ali. Il loro apparato boccale, che si estende direttamente in avanti, è adattato a pungere e succhiare il sangue di vertebrati, soprattutto di uccelli e mammiferi, uomo compreso, ma anche quello di rettili e, talvolta, anche di pesci. Quando non volano tengono le ali sovrapposte sull’addome. Grandi occhi, nettamente separati su ciascun lato - torace formato da tre segmenti fusi - addome corto e largo, che cambia drasticamente di volume durante l'alimentazione. L’ingluvie può allargarsi di molto per contenere il sangue succhiato; le Glossine possono assumere un pasto di sangue uguale al loro stesso peso.
L’apparato riproduttivo delle femmine adulte comprende l’utero che può diventare abbastanza grande da contenere la larva di terzo stadio alla fine di ogni gravidanza.
adulti
pupe |
Sul passato delle Glossine abbiamo un solo ritrovamento fossile, in un sito del Colorado-USA; i fossili risalgono a 34 milioni di anni fa, ma non sappiamo molto della storia di questi animali. Il nome popolare, tse-tse, è un onomatopeico della lingua tsawana, un idioma bantù dell’Africa Meridionale, che significherebbe “volare”.
Simbionti-parassiti
Oltre al Tripanosoma, le Glossine hanno almeno tre simbionti batterici noti ed altri non ancora determinati: Wigglesworthia glossinidia AKSOY, 1995; batterio gram-negativo, endosimbionte. A causa di questa relazione, Wigglesworthia ha perso gran parte del suo genoma e possiede uno dei genomi più piccoli conosciuti di qualsiasi organismo vivente, costituito da un singolo cromosoma di 700.000 bp e un plasmide di 5.200.
Sodalis glossinidius DALE e MAUDLIN 1999; batterio, endosimbionte secondario, unica specie del suo Genere. E’ microaerofilo (si riproduce solo in condizioni di bassa tensione di ossigeno). E’ l'unico batterio simbionte gamma-proteo-batterico ad essere coltivato, quindi suscettibile di modificazione genetica, che potrebbe essere utilizzato per una strategia di controllo come vettore di geni anti-tripanosomi. Può aumentare la suscettibilità delle Glossine ai tripanosomi. Nonostante l'erosione genetica e la moltiplicazione degli pseudogeni (sequenza di nucleotidi strutturalmente simile a un gene, ma priva di alcuna espressione), nel genoma di Sodalis glossinidius questi pseudogeni sono invece attivamente trascritti.
Wolbachia HERTIG 1936; batteri gram-negativi, non sporigeni, parassiti intracellulari obbligati che infettano diverse specie di artropodi, di nematodi ed un'alta porzione di insetti (circa il 60% delle specie). Wolbachia altera in maniera significativa la capacità riproduttiva dei suoi ospiti, ha un ruolo nella differenziazione sessuale degli artropodi infettati e, pur potendo infettare molti tipi diversi di organi, le infezioni a livello di gonadi sono quelle che comportano maggiori conseguenze. E’ forse il più diffuso parassita della biosfera che agisca a livello del sistema riproduttivo; uno studio è giunto alla conclusione che il 70% delle specie di insetti sono suoi ospiti potenziali.
Wiggleswoorthia glossinidia-Sodalis glossinidius- Wolbachia |
Nota
Nel tentare di descrivere l’evoluzione delle piante e degli animali superiori, ciò che viene spesso trascurato è il ruolo dei microrganismi; è indubbio che essi dovettero essere e sono un potente fattore di selezione e la storia dei viventi è anche una storia di resistenza all’attacco di questi esseri microscopici. I microbi acquisirono la capacità di utilizzare e sfruttare gli organismi superiori, a cominciare dagli insetti ed altri artropodi, insediando in essi i loro cicli biologici ed utilizzandoli come risorse ed anche per raggiungere i nuovi animali e le nuove piante che l’evoluzione faceva emergere alla vita del pianeta. Alcuni microrganismi virarono verso le simbiosi, e diversi di loro si rivelarono utili cooperatori; altri persistettero verso la predazione e gli insetti, evolutivamente parlando, dovettero elaborare difese biologiche che tuttora permettono loro di limitare i danni e sopravvivere.
Questo aspetto sembra quasi del tutto ignorato dai promotori del “greenwashing” per il consumo alimentare di insetti e dai fabbricanti di cibo. In questa storia gli insetti, e gli altri artropodi, non sono semplici veicoli di infezione; per la maggior parte sono “vettori”, essi stessi vittime della aggressione microbica, sezione funzionale obbligata dei loro cicli biologici, e la loro guerra contro questi microrganismi non è mai cessata, continua con nuovi adattamenti e sviluppi. Eradicare questi organismi insediati nel tessuti e negli organi degli insetti, e da questi anche nei vertebrati, uomo compreso, si è rivelata una illusione.