A volte ritornano…
Luciano Luciani
Nella prestigiosa collana einaudiana I Millenni, per la cura di Walter Barberis, viene ripubblicato, in questo anno bicentenario della nascita di Antonio Stoppani (1824 – 1891), scienziato, patriota e religioso lombardo, il suo lavoro più famoso: ovvero, Il Bel Paese Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica, pp XLIV-604, Euro 85,00. Un testo che nell’Italia giovanissima, appena costituitasi politicamente e amministrativamente, rappresentò il primo caso editoriale di quegli anni lontani: oltre ventimila copie vendute in una realtà analfabeta quasi all’80%.
Intorno al primo best seller dell’Italia unita, sulle pagine di “Naturalmente”, allora cartacea, scrisse alcune pagine utili e apprezzabili Luciano Luciani, amico e storico collaboratore della rivista.
In occasione di questa importante ristampa, torniamo a proporle ai Lettori della rivista on line nella loro interezza.
Antonio Stoppani
Sacerdote e patriota, scienziato e divulgatore
Un tempo, quando l’Italia era giovane – cento anni or sono o giù di lì – le migliori “penne” del Paese non si facevano particolari scrupoli nel dedicare all’infanzia competenze, abilità, entusiasmi intellettuali.
Come risultato si ebbe un’intensissima stagione letteraria nettamente orientata in senso pedagogico: accanto a Collodi e a De Amicis e ai loro celeberrimi Le avventure di Pinocchio (1883) e Cuore (1886) figurano Le memorie di un pulcino (1875) di Ida Baccini e la generosa attività pubblicistico-giornalistico-editoriale di un nutrito gruppo di scrittrici come Anna Vertua Gentile, Emma Parodi, Sofia Bisi Albini, Maria Torelli-Viollier. Virginia Treves Tedeschi, direttrice del milanese “Giornale dei fanciulli”, Onorata Grossi Mercanti.
Certo, dietro questa attenzione per le giovani e giovanissime generazioni – peraltro sincera negli esponenti più significativi della vita culturale e letteraria di allora – c’era, fortissima e diffusa, l’esigenza di favorire un’unificazione culturale in senso nazionale e sotto il segno dell’egemonia intellettuale della borghesia settentrionale e dei suoi valori ispirati a ideali di illuminato e cauto progresso.
Intelligentemente, la classe dirigente di quell’Italia lontana non offrì ai suoi figli più piccoli solo burattini, Minuzzoli, Giannettini, Garroni e Franti, fiabe e leggende locali, romanzetti per adolescenti, imitazioni nostrane della Alcott, ma anche buoni libri di lungimirante divulgazione scientifica. Pensati per l’età successiva alla fanciullezza, quando agli infiniti perché dell’esistenza si cominciano a pretendere risposte più sistematiche ed esaurienti, esemplati sul modello francese del quindicinale “Magasin d’Education et de Récréation” dell’intraprendente Jules Hetzel, l’editore di Verne, questi testi miravano a istruire piacevolmente, emancipandosi dal modello del libro scolastico e presentando già i caratteri delle moderne riviste di volgarizzazione scientifica: bassi costi, illustrazioni, cura grafica e tipografica.
Tra gli scrittori italiani per l’infanzia che per primi si cimentarono nella difficile arte di educare al sapere scientifico attraverso l’apparenza del passatempo vanno ricordati Giovanni Lessona che pubblicò una Storia naturale illustrata e Conversazioni scientifiche; il vicentino Paolo Lioy, che, autore di Piccolo mondo ignoto, La vita dell’universo, Storia naturale in campagna fu anche impegnato redattore scientifico del “Giornalino della Domenica” di Vamba, il più riuscito esempio di periodico per l’infanzia, durato dall’età giolittiana all’avvento del fascismo; Tommaso Catani, scolopio fiorentino, affabulatore e volgarizzatore di questioni zoologiche e botaniche con i suoi Le avventure di due scarabei, Il Cavaliere Mirtillo, Al paese dei canarini, Al paese verde.
Ma il più popolare tra questi due letterati/scienziati che si sforzarono di interpretare e soddisfare le esigenze di informazione e consapevolezza scientifiche degli italiani in “calzoni corti” fu senz’altro Antonio Stoppani, non solo “scrittore per ragazzi”, ma personaggio significativo della cultura italiana del secondo Ottocento: sacerdote, scienziato insigne – geologo, paleontologo, naturalista – patriota, fu anche filosofo di ferventi convinzioni rosminiane, aspirante poeta, divulgatore piacevole e cordiale, sempre capace di unire una sincera ispirazione pedagogica con una vera, seria preparazione nelle scienze naturalistiche e geografiche.
Era nato a Lecco nel 1824. Ordinato sacerdote nel 1847 e avviato all’insegnamento a causa delle sue convinzioni liberali e patriottiche fu perseguitato dalle autorità austriache e avversato dal clero reazionario: la polemica con l’intransigentismo cattolico lo accompagnerà per l’intera durata della sua esistenza, amareggiandogliela non poco. Nel 1848 per aver preso parte insieme ai suoi studenti alle Cinque giornate milanesi conobbe l’espulsione dal seminario; una quindicina d’anni più tardi, nel clima cupo e arroventato del cattolicesimo degli anni tra il Sillabo e porta Pia, partecipò alla redazione di un periodico milanese, “Il Conciliatore” attestato su posizioni cattolico-liberali, che venne soppresso d’autorità dal vescovo preoccupato per le critiche e i richiami negativi che giungevano da Roma.
Più di vent’anni più tardi, nel 1887 e quasi al termine della sua vita operosa, lo Stoppani fu costretto a citare in giudizio per diffamazione l’ “Osservatore romano” e il suo direttore don Davide Albertario, scatenati in una sistematica campagna di ingiurie e denigrazione contro di lui – come sacerdote e come scienziato – colpevole di aver pubblicato un anno prima Gli intransigenti alla stregua dei fatti nuovi e nuovissimi, un polemico libro contro l’oscurantismo papale e clericale. Il processo e il dibattito che ne seguirono assunsero il valore di un aspro confronto tra il cattolicesimo liberale, ricco di quelle istanze rosminiane che avrebbero dovuto trovare soddisfazione solo con il Concilio Vaticano II, e l’ala marciante dell’oltranzismo cattolico. Gli ambienti più reazionari, retrivi e passatisti della Chiesa e del cattolicesimo italiano mal tolleravano l’attività di un sacerdote scienziato e naturalista che nella sua fede, larga e generosa, in una natura ministra di Dio e prodiga di bellezze nei confronti dell’Italia, riusciva ottimisticamente a conciliare fede, scienza e amor di patria.
E se il titolo di patriota gli era dovuto per la sua partecipazione al ’48 milanese, alla Prima e alla Terza guerra d'indipendenza, quella del ’66, quando il nostro abate e naturalista interruppe insegnamento e ricerche per arruolarsi nel Corpo d’armata del gen. Cialdini – però sotto le insegne della giovanissima Croce rossa italiana, appena costituita nel 1864 – , anche la fama di studioso della Terra e della sua storia lo Stoppani l’aveva guadagnata sul campo: intanto con gli Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia, 1856; poi con una famosa Paleontologie Lombarde, 1856-1881, che scritta in francese, gli aveva assicurato fama e rispetto anche all’estero. Importanti anche i suoi lavori per la “Rivista geologica della Lombardia” in rapporto con la Carta geologica della regione pubblicata nel 1859 da Francesco Hauer e un Corso di geologia, 1871-1873, in tre volumi, assai apprezzato fino a tempi recenti. La sua vena divulgativa emerge con Il mar Glaciale a’ piedi delle Alpi, in cui rende conto della scoperta da lui fatta a Balerna e in tutte e regioni dell’anfiteatro morenico del lago di Como, dalle quali risulta che gli antichi ghiacciai della Lombardia e di tutta l’Italia settentrionale incontrarono il mare ai confini delle pianure piemontese, lombarda e veneta e che anche il mare stesso si insinuava nel cuore delle Alpi.
La sua operosità investe, però, anche altri campi del sapere e della cultura del suo tempo: nel Dogma e la scienza positiva si esprime sulla missione della Chiesa e dei suoi uomini nel conflitto tra ragione e fede; nel 1874 rende un caldo omaggio all’autore dei Promessi sposi, scomparso l’anno prima con una biografia intitolata I primi anni di Alessandro Manzoni, ricca di informazioni e aneddoti a cui attingono ancora oggi gli storici della letteratura; in Asteroidi, 1879, si cimenta anche con la poesia, lasciandoci versi, per la verità, non proprio memorabili e affidando all’Exameron o Cosmogonia mosaica, pubblicato postumo nel 1893-94, il suo messaggio a un’umanità che si avviava verso un secolo nuovo e ricco di problemi formidabili e inediti.
Non si trascuri, poi, l’importanza che ebbe il suo insegnamento sugli sviluppi della cultura scientifica del tempo. Professore universitario a Pavia, all’Istituto tecnico superiore di Milano, a Firenze, direttore del milanese Museo civico di scienze naturali, contribuì alla formazione di giovani scienziati come il Marcalli, il Salmoiraghi, il Taramelli.
Il lavoro che rese lo scienziato/scrittore lombardo popolare al grosso pubblico fu il Bel Paese, 1875, pensato in origine per i piccoli lettori, ma che, in breve tempo, con le sue oltre ventimila copie pubblicate si trasformò in uno dei primi best-seller della nascente editoria nazionale.
Il libro consiste in ventinove conversazioni intitolate Serate – se ne aggiungono altre cinque nella edizione del 1889 – in cui uno zio, l’autore stesso, in forma piana, garbata, colloquiale a un pubblico rappresentato dai nipoti e dai loro amici descrive le “bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica“ dell’Italia, senza trascurare osservazioni anche acute sugli usi, i costumi, il lavoro, le tecniche, l’economia delle genti della penisola, nel tentativo tutto politico, comprensibile in un intellettuale che usciva a testa alta dalle lotte risorgimentali, di sollecitare nei suoi lettori una coscienza nazionale unitaria e l’orgoglio di essere italiani, giovani figli di un giovane Paese.
Come scrive nell’introduzione rivolta Agli Istitutori l’abate lombardo, parafrasando Manzoni, si propone “per fondamento il vero, per pregio la naturalezza, per scopo l’istruzione e il miglioramento morale”: per lui cattolico-liberale, rosminiano, manzoniano, geologo e naturalista il Risorgimento non poteva che continuare nel nosce te ipsum: studiare, cioè, l’opera di Dio, iniziando col conoscere a fondo la storia fisica e naturale delle proprie terre.
E così l’autore “pigliando per ciò le mosse dalle Alpi, discorre dell’alpinismo moderno come di un nuovo elemento educativo; descrive le principali rocce alpine, le cascate, i ghiacciai, intrattenendosi principalmente della teoria glaciale che ha tanta parte nella geografia fisica e nella geologia di quella regione. Passa in seguito a dare un’idea delle Prealpi, descrivendo una delle più belle fra le valli prealpine, che gli porge occasione di discorrere delle caverne e dei fenomeni che si presentano nelle caverne. Disceso al mare, ne descrive i grandiosi spettacoli: la levata del sole, la tempesta, la fosforescenza notturna. Nell’Appennino considera specialmente tutti i fenomeni così interessanti per la scienza e per l’industria, di cui, più che di naturali bellezze è ricca quella catena; tratta cioè dei petroli e dell’industria petrolifera, delle salse, dei vulcani di fango, delle fontane ardenti, cercando di dare un’idea esatta delle leggi che presiedono ovunque alle manifestazioni secondarie delle attività vulcaniche. Una diversione a una delle più importanti caverne delle Prealpi gli offre il destro di mostrare quanto possa divenire interessante anche in Italia lo studio del regno animale. Si porta, in seguito, al gruppo così poco noto, e in condizioni così speciali, delle Alpi Apuane, che gli danno argomento d’intrattenersi sopra uno dei primari rami dell’industria nazionale: quella dei marmi. Termina finalmente nella regione vulcanica, che è tanta parte dell’Italia meridionale e delle isole. Il Vesuvio e l’Etna, i due grandi vulcani dell’antichità e della moderna storia naturale d’Italia, gli giovano a mettere in evidenza le leggi che governano quelle manifestazioni primarie della vulcanite, per cui l’Italia è la più interessante tra le regioni fisiche d’Europa” (Il Bel Paese, Agli Istitutori, p.8).
Qua e là un certo sentore di provincialismo e di chiuso, certo percepibile più oggi che allora: per esempio, quando propone le sue pagine come antidoto a “quelle opere di Verne che hanno inondato l’Italia, e a cui la nostra gioventù e gli stessi uomini seri corrono dietro con puerile curiosità… mostruosa miscela di vero e di falso”. Ma la vera intenzione del Bel Paese era forse ancora un’altra: soprattutto contrastare con un’opera esemplare e popolare quello scientismo che si andava largamente diffondendo nella cultura italiana e nel senso comune del tempo.