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Il suono per salvare le barriere coralline

 

Tridacna maxima

Il suono per salvare le barriere coralline

 

Valentina Vitali

 

Un luogo desolante. Questo è ciò che si pensa mentre si osservano i video che può capitare di vedere al tg oppure online delle barriere coralline sbiancate, dove ormai gli accesi colori che normalmente le caratterizzano hanno lasciato il posto ad un paesaggio lunare, triste e privo di vita dal momento che pesci e soprattutto larve di pesci evitano le barriere morte o morenti. Eppure questa conseguenza così logica nasconde un grande interrogativo: come possono le larve scegliere di stabilirsi nelle barriere sane scartando quelle malate? Sono in grado di compiere una tale selezione? Le uova della maggior parte dei pesci che vive in questi peculiari ambienti sono pelagiche cioè vengono deposte in mare aperto e si pensava che, alla nascita, le larve si lasciassero trasportare passivamente dalle correnti oceaniche fino a raggiungere una barriera corallina; d’altronde si tratta di organismi grandi appena qualche millimetro o centimetro e privi di pinna e coda quindi apparentemente non in grado di muoversi. Ciononostante, molti esperimenti hanno dimostrato che le larve riescono sorprendentemente a scegliere la rotta di navigazione puntando a specifiche barriere nelle quali decidono poi di insediarsi. Su quale base però compiono la loro scelta? Uno dei metodi più efficaci (e per questo recentemente più utilizzati) per monitorare lo stato di salute di una barriera corallina si basa sui suoni. Il paesaggio sonoro di una barriera piena di vita è estremamente ricco ed interessante, caratterizzato da schiocchi, scricchiolii, percussioni e brevi grida, e ogni specie ha un suo ruolo nell’infinita partitura di questo habitat; se invece nell’audio ottenuto dai registratori digitali, posizionati direttamente in acqua, mancano alcune tipologie di suono ciò significa che le rispettive specie non sono più presenti e di conseguenza lo stato della barriera sta peggiorando. Il paesaggio sonoro con lo sbiancamento si impoverisce progressivamente fino al silenzio totale. Se ai ricercatori è sufficiente il suono emesso da una barriera per comprenderne il grado di conservazione ci si è chiesti se fosse possibile che anche le larve utilizzassero lo stesso parametro acustico, nonostante non siano dotate di orecchie o altri organi specifici. Tanto più che i momenti di maggior afflusso delle larve alle barriere coincidono con quelli di massima intensità del paesaggio sonoro, cioè di notte, durante la luna nuova e in estate. Questa affascinante ipotesi è stata testata e in effetti confermata da vari esperimenti in laboratorio ma anche in ambiente. Il biologo marino Stephen D. Simpson per esempio ha realizzato un apparato sperimentale in cui alcuni altoparlanti, fissati con ormeggi al fondo sabbioso in mezzo all’oceano (lontano dalle barriere coralline naturali), emettevano i suoni precedentemente registrati di una barriera sana mentre altri non producevano alcun suono; sotto agli altoparlanti c’erano delle trappole. Circa il 67% delle larve ha scelto la trappola con il suono della barriera, dimostrando come questi piccoli organismi si orientino realmente grazie ai suoni. Questi risultati sono già curiosi ma le ricerche scientifiche sono riuscite a scoprire qualcosa di ancora più stupefacente. I pesci non sono gli unici ad avere larve pelagiche. I coralli di una barriera si riproducono sia in modo asessuato (per esempio attraverso germoglio o frammentazione) che sessuato rilasciando tutti contemporaneamente (ancora non si è compreso come facciano a sincronizzarsi) nella colonna d’acqua enormi quantità di ovuli e di sperma, dando luogo ad uno spettacolo magnifico e variopinto. Questa riproduzione di massa avviene una volta all’anno, di notte, durante la luna piena richiamando tantissimi animali che approfittano dell’evento per alimentarsi (pesci, squali, calamari…); le larve che riescono a sopravvivere, dette planule, rimangono in mare aperto anche per mesi prima di insediarsi in una barriera corallina. Per questo alcuni ricercatori, tra cui Simpson, si sono chiesti se pure tali larve si orientassero grazie ai suoni, per quanto sembrasse impensabile dato che sono ancora più semplici delle altre, senza organi uditivi e nemmeno un sistema nervoso centrale. È stato messo in atto un esperimento in cui le larve si trovavano dentro a delle vasche dotate di una zona centrale circondata da tubi che conducevano ad altoparlanti; alcuni emettevano suoni di barriere sane, altri rumore bianco e i rimanenti non riproducevano nulla. Con chiarezza le larve hanno scelto i tubi che portavano ai suoni delle barriere. Per comprendere come riescano a percepire i suoni si può pensare all’anatomia umana e dell’orecchio interno: le cellule ciliate che rivestono internamente la coclea, sulle quali si fonda la percezione uditiva, non sono poi così diverse dalle numerose ciglia che ricoprono le planule e per questo svolgono la stessa funzione. Le ciglia dei coralli sono però multitasking perché non si limitano alla percezione ma vengono usate pure per nuotare e spostarsi attivamente nella direzione da cui proviene il suono della barriera. Scoprire che le larve di pesci e coralli decidono il luogo del proprio insediamento sulla base dei paesaggi acustici che sentono non solo aumenta le conoscenze scientifiche relative a questi speciali ambienti ma ha delle importantissime applicazioni che il biologo marino Tim Gordon sta già provando a sfruttare. Per salvare le barriere coralline, insostituibili ecosistemi per la ricchezza specifica che sono in grado di ospitare e più in generale per i servizi ecosistemici che forniscono (turismo, protezione delle coste), bisogna ovviamente lavorare sulle cause del declino (come riscaldamento climatico, inquinamento) ma si sta tentando anche di agire in situ ripristinando le aree più danneggiate attraverso il trapianto e la coltivazione dei coralli, nella speranza di ricreare una colonia. Gordon però ha ideato un nuovo metodo, l’arricchimento acustico: collocando su barriere coralline degradate (quindi evitate dalle larve) altoparlanti che riproducevano i suoni di una barriera sana è riuscito ad aumentare il tasso di insediamento e di permanenza dei pesci portando benefici all’intero ecosistema. Rispetto alle barriere di controllo (su cui non è intervenuto) l’abbondanza e la ricchezza specifica sono raddoppiate (Acoustic enrichment can enhance fish community development on degraded coral reef habitat, Nature Communications). Combinando l’arricchimento acustico con il ripristino attivo si può agire su scale spaziali decisamente maggiori e in tempi brevi. A volte la soluzione a problemi creati dalla nostra specie alla natura viene fornita dalla natura stessa, basta solo prestarle orecchio.