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Insegnare biologia nella scuola secondaria di primo grado

 

Giglio di mare

Insegnare biologia nella scuola secondaria di primo grado

 

Lucia Stelli

 

La mia lunga esperienza di insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado e il mio ruolo di curatrice della rubrica “Fare scuola” nella rivista Naturalmente Scienza1,  costituiscono le premesse per ripercorrere con un certo distacco e in modo critico il mio percorso professionale. Ciò che però più mi motiva a esporre i  problemi e le scelte didattiche che negli anni ho affrontato è  la possibilità che il mio racconto possa essere di qualche utilità a chi comincia a insegnare adesso. È questa per me anche un’occasione per esaltare il contributo formativa dell’educazione scientifica, purtroppo troppo spesso confinata in spazi orari esigui. Qui mi limiterò a parlare di biologia, sia perché ho una predilezione per il mondo dei viventi, sia perché mai come adesso la specie umana ha bisogno di conoscersi e rapportarsi ai problemi che le si prospettano.

 

I problemi di fondo

Nel ripensare ai tanti problemi che investono l’insegnamento delle scienze nella scuola secondaria di primo grado, mi soffermerò solo sulle decisioni che hanno contribuito a determinare i miei cambiamenti di rotta, quelle che mi hanno fatto pensare di aver fatto le scelte giuste.

Parto dall’inizio, dal numero di ore della cattedra di Matematica e Scienze , di norma 6 per classe, poche per l’enorme quantità di temi da trattare. Con che cosa  e come riempirle? È stato subito chiaro che avrei dovuto fare i conti con le mie carenze culturali. Ero infatti consapevole che la mia laurea in Biologia mi avrebbe supportato solo in parte e che anche solo pensando ai viventi, con i quali peraltro avevo un po’ di familiarità, la vastità dei temi da affrontare era scoraggiante.

La ricerca di percorsi di formazione si imponeva, ma se mi sentivo in difficoltà con la biologia, figuriamoci con la matematica! E così quest’ultima finiva quasi sempre per avere il sopravvento. Inoltre i vari corsi disattendevano spesso le aspettative che vi riponevo, avrei avuto bisogno di orientamenti ‘semplici’ invece di esempi “alti”, proposte “normali” invece che “speciali”, ma poiché così non era, il tirocinio l’ho fatto prevalentemente sui miei sbagli. Il primo, è stato quello di affidarsi totalmente al libro di scienze.

 

I manuali scolastici

Qui si apre un capitolo spinoso perché i testi di scienze dovrebbero avere come interlocutori privilegiati i ragazzi ma sono invece scritti per gli insegnanti. D’altra parte le case editrici puntano sulle adozioni e sono solo interessate a capire che cosa motiva le scelte dei docenti. Ecco che, nell’intento di accontentare tutti, i testi finiscono per avere un taglio enciclopedico, relegando in secondo piano l’aspetto linguistico e quello sperimentale. Il linguaggio utilizzato è quello dell’adulto e ovviamente comunica all’adulto, il discente viene inevitabilmente bypassato; non potendo, da bambino, parlare come un adulto nella maggior parte dei casi impara a mente. E poi descrivere i problemi non è la stessa cosa che esplorarli e analizzarli insieme agli alunni. Le risposte vanno cercate  e non è detto che siano subito quelle giuste, vanno argomentate, discusse, condivise. Oggi che abbiamo un mare magnum di informazioni a portata di clic, a maggior ragione, insegnare il pensiero critico è una priorità.

La nascita degli Istituti Comprensivi ha per me  rappresentato un punto di svolta fondamentale perché mi ha motivato a diventare una figura di riferimento delle materie scientifiche e in questo ruolo ho potuto porre attenzione all’aspetto sequenziale dei concetti e a quello trasversale, uscendo in questo modo dall’isolamento della cattedra orario. Mi sono resa conto che non è possibile ad esempio far distinguere, comparare, classificare se non si costruiscono i processi di osservazione e descrizione. La scommessa è stata quindi armonizzare, riprendere, anticipare e/o approfondire alcuni saperi essenziali quali saper manipolare, osservare, confrontare, mettere in ordine e classificare, riconoscere l’appartenenza a un insieme. Ricercare e instaurare alleanze con altri docenti è stato anche un modo per dedicare più spazio alle scienze allargandone i confini.

 

una piantina comincerà a crescere  

Aula come palestra didattica

Una volta realizzato che non potevo affidarmi esclusivamente al libro di testo, mi sono interrogata su quali esperienze proporre. Non potevo che stare con i piedi per terra e partire dalle piccole cose. C’erano comunque le Indicazioni Nazionali a rassicurarmi2: “La valorizzazione del pensiero spontaneo dei ragazzi consentirà di costruire nel tempo le prime formalizzazioni in modo convincente per ciascun alunno. La gradualità e non dogmaticità dell’insegnamento favorirà negli alunni la fiducia nelle loro possibilità di capire sempre quello che si studia, con i propri mezzi e al proprio livello” .

Forte di questi suggerimenti ho cominciato  per prima cosa a curare i “preparativi del viaggio” interessandomi a ciò  che i miei alunni avevano fatto alla scuola primaria, non limitandomi a una semplice ricognizione degli argomenti trattati.  Richiamare alla mente esperienze pregresse comporta infatti la ricostruzione di un puzzle a più mani, attività impegnativa, ma anche produttiva perché non si è soli e si possono mettere a fuoco oltre al problema affrontato anche difficoltà, dubbi, errori. Ho verificato che una delle attività comunemente svolta alla scuola primaria è quella della germinazione del seme effettuata con varie modalità, ricorrendo a  cotone idrofilo umido, mezze bottigliette di plastica riempite con segatura, vasetti con terriccio, vassoi reperiti al negozio di agraria, approcci diversi che inducono a confrontare le diverse esperienze. Solitamente i ricordi vengono riportati dagli alunni in modo “disordinato” e diventa necessario riorganizzarli chiedendo ad esempio di riprodurre un esperimento svolto o di ricostruire ciclo vitale di una pianta dalla semina alla raccolta di nuovi semi. Saranno gli alunni stessi, indotti dalle richieste di chiarimento dei compagni,  a organizzare in modo logico e comprensibile la loro esposizione fornendo all’insegnante informazioni utili per capire cosa hanno imparato e come ragionano.

Un’altra abitudine didattica maturata ha riguardato la comprensione del significato di termini scientifici. Tale attenzione deriva dalla convinzione che raccontare la storia delle parole aiuta a comprendere non solo il loro significato, ma anche le idee che le accompagnano, cosa che favorisce anche la  costruzione di connessioni. Sono stati così indagati i significati di cellulafotosintesi clorofillianamicrobiologiaprotozoo solo per citare alcuni termini. Non solo. Nelle scienze sono comuni parole composte e conoscere il significato di prefissi e prefissoidi, come di suffissi e suffissoidi permette di giocare a montare e smontare le parole come fossero costruzioni lego. Per dare l’idea basta pensare a quelle che si possono formare con bioecogeo, micro.

 

Fuori dall’aula

Fare dell’aula una palestra didattica non significa però restarvi sempre confinati, moltissime sono le occasioni per uscirne. Indubbiamente la cosa più facile è trasferirsi in un’aula attrezzata a laboratorio scientifico, ma nell’ indagine sui viventi sarà proprio dai territori esterni che proverranno le esperienze più significative, quelle che permetteranno di mettere dare senso e spazio a ciò che è stato trattato in classe.

Alcune di queste esperienze si sono rivelate particolarmente incisive per promuovere processi quali osservare, descrivere, classificare, stabilire relazioni, fare congetture. L’indagine sulla diversità dei viventi offre così tante occasioni che c’è solo l’imbarazzo della scelta e non c’è da meravigliarsi che le piante rappresentino il primo terreno da esplorare, non c’è bisogno di andarle a scovare, basta fare un passo fuori dalla scuola per incontrare alberi solitamente  ignorati. A parte il riconoscimento di pini e cipressi non mi è mai infatti capitato che qualcuno indicasse con il nome comune il leccio, la farnia, il tiglio, il platano che stavano proprio lì in prossimità dell’ingresso di scuola. Una buona occasione per dedicare loro un po’ di attenzione  scoprendo così  inaspettati caratteri comuni.  Chiamarli per nome diventa a questo punto un’esigenza, sancisce l’appartenenza a un insieme  con determinate proprietà e fa capire il senso del riconoscimento. Si dà il nome a qualcosa che si distingue, ma quale nome?  Si fa strada un primo concetto di specie (è alla specie e non all’individuo che si dà il nome, quello di genere nasce invece dalla ricerca di un indizio di parentela). Si scoprono così i nomi generici e quelli specifici a costituire una gerarchia.

Si comprende così che le querce sono molto diverse tra loro, che non tutte hanno foglia lobata, ma tutte hanno le ghiande.

L’esplorazione del fuori scuola porterà ad allargare il campo di osservazione e a promuovere una visione sistemica. Si può far didattica laboratoriale ovunque, ma constatare che la vita si manifesta con adattamenti ambientali è qualcosa che lascia il segno. Allontanarsi dalla scuola  diventerà pertanto un bisogno  naturale e potrà succedere, come è avvenuto nella mia esperienza, di arrivare fino al mare.

Ricordo la scoperta dell’ ambiente dunale come la più arricchente dal punto di vista formativo, sia per me che per i miei alunni, viste le scarse aspettative che avevamo: “Che ci sarà mai di interessante su una distesa di sabbia?” D’altra parte nell’immaginario collettivo la sabbia evoca il deserto. Altro che deserto! La ricchezza di vita è stupefacente tanto più se vista in ottica sistemica. Quante persone  sono ad esempio in grado di mettere in relazione le cosiddette “palle di mare” (nome scientifico egagropile) con il disfacimento della Posidonia oceanica? Scoprire io stessa che erano residui fogliari fibrosi di una pianta marina, e non alghe come comunemente si crede, mi ha spronato a mettere a frutto la meraviglia di tale scoperta. Sicuramente lo stesso stupore l’avrebbero provato i miei alunni e da questo alla voglia di vedere, al saper vedere e al problematizzare, il passo sarebbe stato breve.

Il discorso didattico, nel mio caso è iniziato proprio dalle ‘palle di mare’  per indagare non solo la loro genesi, ma soprattutto la loro composizione e utilità (tutto serve nell’economia della natura!)

                                                                  

Sulla spiaggia raccolta

La raccolta di vari reperti ci ha permesso di capire che le fibre vegetali disgregate dal moto ondoso si  riaggregano a formare strutture arrotondate.

Non è stato poi difficile comprendere la loro importanza nella formazione delle dune. È bastato osservare la loro presenza in uno spaccato dunale. Cosa ci stavano a fare lì dentro, lontano dalla battigia?

Una volta  verificato in classe il potere imbibente delle egagropile (incredibile quanta acqua riescono ad assorbire!) si è fatta strada l’ipotesi che l’acqua piovana intrappolata al loro interno costituisse una riserva di acqua dolce per le piante che possono mettervi radici creando così l’impalcatura dunale.

Certo non tutte servono a fare duna e gli accumuli spiaggiati (banquettes) di posidonia che si ritrovano su molti litorali spalmati sulla battigia vengono malvisti dai bagnanti che li considerano un rifiuto e come tale un elemento di disturbo. Si può invece scoprire che costituiscono un materiale che può essere raccolto ed utilizzato per vari scopi, trasformandolo da rifiuto a preziosa risorsa ambientale ed economica3. Purtroppo durante le nostra uscite in riva al mare abbiamo anche potuto constatare che in spiaggia si accumulano altri tipi di rifiuti del tutto innaturali riscontrando quanto la plastica abbia invaso e alterato questo ambiente. Si apre a questo punto un altro campo di indagine per capire da dove provenga tutta questa  plastica e come va gestita. Portarsi in classe i problemi emersi durante le uscite è un bel modo per superare l’idea che le scienze siano confinate nei libri e che i concetti e le abilità costruiti a scuola siano forme inerti di istruzione. È un occasione per affrontare i problemi in modo critico e imparare ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

 

i musei  

Le risorse museali

Alle risorse naturali, ben si affiancano quelle dei musei non distanti da scuola. Nella mia esperienza Orto Botanico e Museo di Storia Naturale hanno rappresentato luoghi significativi che hanno ben supportano il lavoro di classe.

Certo è necessario avere le idee chiare e non delegare a chi solitamente in tali luoghi guida i laboratori per le scuole; prima di tutto serve conoscere le risorse museali per capire come poterle utilizzare in modo laboratoriale. Il vasto campionario di esemplari lì rintracciabili  permetterà di

rafforzare il concetto di biodiversità e  rivelerà  caratteri adattativi non ancora esplorati. Le piante delle serre e dell’idrofitorio dell’ Orto Botanico saranno utilissime per tali scopi. Rilevare ad esempio l’esistenza di foglie carnose, lucide come se fossero ricoperte di cera, trasformate in spine, pelose sulla pagina inferiore, permetterà di espandere il concetto di variabilità e condurrà a fare congetture sempre più argomentate. Due opportunità offerte anche dal Museo di Storia Naturale.

Tra le tante esperienze possibili ne segnalo una sui pesci di acqua dolce che si è rivelata particolarmente proficua, e non c’è da stupirsi visto che gli  animali vivi e la grande varietà di forme e colori (sorprendente per pesci d’acqua dolce) esercitano di per sé grande attrattiva facilitando il confronto e la scoperta della relazione forma-funzione 4.

Le diverse forme e le diverse posizioni di bocca e pinne hanno permesso infatti di inferire aspetti rilevanti della vita animale, quali il modo di spostarsi in acqua, l’alimentazione, il rapporto preda-predatore. È un percorso di affinamento dell’osservazione lento e graduale, quello che porta a comprendere che occhi posti nei pressi della superficie dell’acqua e bocca rivolta verso l’alto rappresentano un adattamento all’alimentazione di insetti e piccoli pesci, e a capire come anche le pinne situate in prossimità della coda siano adatte a spiccare salti per catturare prede.

 

pesci vari  

 Esplorazioni in lungo e in largo

 Prima di concludere la mia riflessione voglio rafforzare tre aspetti che sono alla base dell’insegnamento scientifico (e non solo), ricorrendo all’immagine mentale dell’esplorare  “in lungo e in largo”. Ho già parlato di esplorazione e di curricolo verticale, ma mi fa piacere associarli adesso anche a una visione trasversale che chiama in causa anche altre discipline.

L’esplorazione non è altro che l’approccio ai problemi, un’azione di ricerca che si sviluppa in varie direzioni, di cui due mi appaiono privilegiate per fare cultura: la continuità nel tempo (lungo, in questo caso dà l’idea di una durata che si protrae per tutto l’arco del I ciclo d’istruzione) e l’attraversamento di vari ambiti disciplinari (largo, suggerisce un ampliamento di vedute e il superamento di barriere culturali) .

Mentre l’indagine per problemi si sta diffondendo nell’insegnamento, non mi pare di poter dire altrettanto delle “estensioni”  in lungo e in largo .

Per osservare non basta attivare tutti i canali percettivi (i nostri strumenti naturali), servono anche le parole adatte per descrivere le proprietà percepite e la conoscenza degli ordinatori logici del testo descrittivo, servono in pratica competenze linguistiche.

A questo punto diventa utile e necessario coinvolgere l’insegnante di lettere per  costruire un percorso specifico,  sperimentarlo in compresenza, in pratica procedere “in lungo e in largo” anche per passare il messaggio che le materie scolastiche hanno bisogno di interagire e dialogare tra loro: anche la geografia, la storia, la tecnologia, l’arte contribuiscono ad ampliare la visuale con le connessioni che permettono di fare.

Conoscere ad esempio la storia della scoperta dei microrganismi, o gli esperimenti che hanno permesso di superare teorie errate come ad esempio quella della generazione spontanea o che hanno portato a conquiste come la vaccinazione, fa comprendere quanto possa essere  lungo, difficile, rigoroso, il cammino della scienza e mette in guardia da idee estemporanee e posizioni negazioniste.

Fondamentali sono le connessioni con la matematica, più facili da individuare e gestire in quanto rientrano a pieno titolo nell’insegnamento delle Scienze. Utilissimo il campo sterminato dei dati statistici per analizzare e prevedere fenomeni, per dare significato ai grafici. Utilissimo per imparare a leggere e interpretare diversi tipi di grafici, leggere e interpretare fenomeni come ad esempio quello dei cambiamenti climatici che ci colloca al centro di un cambiamento epocale unico, articolato in molteplici aspetti5. Ecco che i numeri e le loro rappresentazioni diventano il riferimento irrinunciabile per spiegare le tante “crisi” che avvertiamo intorno a noi e ci permettono di individuarne le interconnessioni. Si farà strada la convinzione che solo su basi scientifiche saremo in grado di assumere comportamenti non autodistruttivi.

 

Conclusioni

Nel fare scienze nel primo ciclo d’Istruzione quello che più conta non sono tanto le conoscenze, ma gli atteggiamenti e i processi di pensiero: porsi interrogativi e imparare a smontare la complessità individuando componenti, processi, relazioni, isolando le questioni senza però perdere di vista il loro legame con altri elementi del sistema e campi del sapere. Si tratta poi di ragionare attorno a organizzatori del pensiero scientifico quali: diversità, cambiamento, interazione, adattamento, macroscopico, microscopico….e  per questo ogni essere vivente è uno scrigno ricolmo di opportunità didattiche.

Sono consapevole di averne colte solo alcune, ma l’idea di fondo era sottolineare come un’attività possa diventare esemplare dal punto di vista metodologico e come tale trasferibile in altri contesti, su altri “oggetti” , non solo viventi. Certo è che si deve fare i conti con i diversi punti di vista di genitori e anche di colleghi che non condividono la scelta di dedicare molto tempo a ragionare su un solo ambiente o su alcuni alberi o pesci. Fortunatamente i ragazzi comprendono che andare oltre la superficialità dà un grande potere e se all’inizio fanno una gran fatica, alla fine riconoscono di poter affrontare il nuovo senza timore perché possiedono gli strumenti cognitivi per farlo. Tanto basta per ripagare anche la fatica dell’insegnante.

 

Note 

1. https://www.naturalmentescienza.it/NATrivista/NATURALMENTE%20tutto.mp4

2. https://www.miur.gov.it/documents/20182/51310/DM+254_2012.pdf

3. https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/formeducambiente/educazione-ambientale/progetti-ed-iniziative-1/posidonia-spiaggiata-una-risorsa-ambientale

4.https://www.msn.unipi.it/wp-content/uploads/2015/09/Presentazione-Simone-Farina-PESCI-PARTE-2.pdf