I sensi dell'uomo
Valentina Vitali
Tra tutti e cinque i sensi di cui è dotata, la specie umana ha investito su un unico cavallo di battaglia e basta osservare la suddivisione dei ruoli nel cervello per averne la prova: ben il 50% della corteccia cerebrale è dedicato esclusivamente alla vista. Quante volte si giudica un piatto dall’estetica prima ancora di assaggiarlo o di sentirne il profumo? Oppure ci si fa un’idea su una persona basandosi soprattutto su come appare? Gli stimoli visivi sono i primi ad essere attivati e in ogni caso vengono ritenuti i più validi e importanti, riducendo le altre capacità sensoriali a degli accessori utili ma non indispensabili. Il fatto che altri animali siano dotati di un tatto con maggiori potenzialità, di un olfatto molto più potente (l’uomo è una specie microsmatica per eccellenza) o di gusto e udito più raffinati risulta quindi comprensibile e coerente ma a questo punto ci si attenderebbe che la vista umana fosse assolutamente imbattibile. È proprio così? Mettere al primo posto le abilità visive ha permesso di evolvere occhi speciali? Ben nascosto nelle sue tane a forma di U scavate vicino alle barriere coralline in cui vive c’è un organismo davvero particolare, noto soprattutto per la sua tecnica di caccia, che consiste nello stordire o uccidere le prede (pesci, granchi…) con potenti pugni. Il gambero mantide (Gonodactylus smithii) è infatti dotato di arti anteriori a forma di mazza che normalmente tiene ripiegati ma che possono scattare in avanti grazie ad una sorta di molla con una forza di 1500 Newton (tale da rompere un braccio!). Ovviamente tutto ciò funziona se il gambero riesce a localizzare con precisione la preda, che se mancata anche di poco coglierebbe l’occasione per fuggire, e proprio per questo i suoi occhi sono davvero straordinari. Invece dei tre tipi di opsine contenute nei coni della retina umana, che consentono una visione tricromatica poiché hanno un picco nel rosso, nel verde e nel blu, gli Stomatopoda, cioè l’ordine di crostacei a cui appartiene Gonodactylus smithii, hanno da otto a dodici o più tipologie diverse di opsine che permettono di percepire minime variazioni di colori nemmeno visibili all’essere umano come l’ultravioletto. Inoltre osservando con attenzione gli occhi di questi gamberi si possono notare 3 puntini neri simili a delle pupille e una strana striscia centrale disomogenea rispetto al resto. Gli ommatidi di questi super-organi sono in effetti divisi in 3 porzioni, emisfero dorsale, ventrale e banda centrale, ciascuna dotata di un punto focale simile in effetti ad una pupilla; proprio come gli occhi umani visualizzano due immagini leggermente diverse che, quando unite nel cervello, producono una visione tridimensionale allo stesso modo ogni porzione dell’occhio del gambero mantide è in grado di vedere un’immagine di poco differente. Questo implica che un occhio da solo è sufficiente per avere una visione tridimensionale utile per definire con precisione la distanza della preda, non ne servono due; ne consegue che l’animale può muovere e usare gli occhi in modo indipendente. C’è poi un’altra capacità davvero unica: la percezione della luce polarizzata circolarmente. La luce solare è diffusa cioè i suoi fotoni possono oscillare in tutte le direzioni; quando invece attraversa un materiale (come il corpo trasparente di piccoli organismi marini) viene selezionata un’unica direzione definita e la luce si dice polarizzata. Animali che vivono in oceano riescono ad accorgersi della presenza delle piccole prede trasparenti perché in grado di percepire la luce polarizzata linearmente. I gamberi mantide sanno fare di meglio: gli ommatidi della quinta e della sesta fila della banda centrale sono ricchi di rabdomi (cellule fotosensibili specializzate) che consentono a Gonodactylus smithii di vedere anche un tipo di luce polarizzata che sfugge a tutti gli altri (nella quale la propagazione dei fotoni avviene lungo una spirale) cioè quella circolare e di ottenere così l’accesso ad informazioni invisibili per chiunque. Informazioni utili nella caccia oppure nella vita sociale, ricca di esibizioni territoriali e arti di corteggiamento. Occhi non meno strani sono quelli di un animale che abita le profondità dell’oceano, Macropinna microstoma. Come altri organismi marini presenta occhi tubolari ma l’anomalia sta nel fatto che questi sono protetti da una cupola cranica trasparente attraverso la quale si può anche osservare parte degli organi interni immersi in un fluido organico. Nonostante la specie fosse nota già nel 1939 la presenza della bizzarra cupola è stata scoperta recentemente, grazie ad osservazioni in situ, perché appena i pesci venivano pescati e portati in superficie per essere studiati la struttura collassava e si distruggeva. Gli occhi, di un verde brillante, riescono a utilizzare la poca luce presente a centinaia di metri di profondità per visualizzare le prede e per garantire un campo di visibilità ampio possono ruotare all’interno della cupola senza danneggiare il nervo ottico. Questo peculiare adattamento potrebbe essersi evoluto per proteggere gli occhi dalle cellule urticanti degli cnidari di cui i M. microstoma si nutrono. Se il mare riserva queste sorprese gli animali che dominano il cielo non sono da meno. I rapaci diurni ad esempio hanno evoluto degli occhi davvero potenti. Già solo la densità dei coni contenuti nelle loro retine, circa un milione per millimetro quadrato, è elevatissima e 5-8 volte quella umana; ciò consente una vista dalla risoluzione estremamente fine e tale da individuare prede di qualche decina di centimetri, anche mimetizzate, a 200-300 metri di distanza. Inoltre i muscoli che determinano il movimento delle pupille e delle lenti non sono lisci come nell’uomo ma striati quindi contrazione e rilassamento sono volontari e indipendenti. Se ad esempio solamente un occhio è colpito dalla luce mentre l’altro è in ombra si restringerà solo la pupilla dell’occhio ad elevata esposizione solare. Ovviamente questo meccanismo consente di migliorare ancora di più la visione e di adattarla a diverse situazioni ambientali. Alcune specie, come il falco pellegrino e le aquile, sono persino dotate di due fovee (punti di massima concentrazione di coni), una superficiale e una profonda ancora più sensibile, inclinata di 45° rispetto all’asse del becco; per questo molti rapaci per focalizzare con maggior dettaglio una preda girano la testa, così da utilizzare la seconda fovea. In aggiunta sono anche in grado di vedere in slow motion! Se l’occhio umano percepisce al massimo 20-25 eventi al secondo alcuni rapaci vedono invece fino a 80 o addirittura 130 eventi al secondo, allo scopo di garantire la massima reattività agli spostamenti della preda. Appare evidente ancora una volta che persino nell’ambito sensoriale in cui si muove meglio la specie umana non è così speciale.