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Il cervello che (non) dorme

 

 

 

Il cervello che (non) dorme (parte prima)

 

Giulio Bernardi *

 

Abstract:

Le ricerche condotte negli ultimi 20 anni sul sonno e gli effetti della sua privazione hanno dimostrato che il sonno svolge numerose funzioni essenziali per mantenere il benessere psicofisico e l’efficienza dell’organismo. Grazie a nuove tecniche come l’elettroencelografia ad alta densità di elettrodi è divenuto possibile localizzare con precisione le variazioni delle onde elettriche che si generano durante il sonno. È stato così scoperto che il sonno non è un fenomeno globale e uniforme e che veglia e sonno possono in parte “coesistere”. Infatti, non è raro che durante la veglia parti del cervello possano – specialmente se affaticate da un “uso” prolungato - addormentarsi temporaneamente, con effetti negativi sul comportamento. D’altro canto, durante il sonno notturno risvegli parziali di alcune regioni del cervello sembrano essere alla base della generazione e definizione dei nostri sogni.

Un secondo articolo tratterà degli studi rivolti a manipolare il sonno e i sogni per comprendere le loro funzioni e il loro significato fisiologico. Come avere un controllo del contenuto dell’attività cosciente durante il sonno fa parte infatti del progetto “TweakDreams” diretto dall’autore.

 

Importanza del sonno

Il sonno occupa circa il 30% della nostra vita. Ciò significa che su 80 anni di vita, almeno 25 saranno spesi dormendo. Questi numeri ci impressionano in particolare perché tendiamo a considerare il sonno come tempo perso, come tempo sottratto alla nostra “vita”. L’idea del sonno come una sorta di morte reversibile è di fatto un pregiudizio che ci portiamo dietro da tempi remoti. Già nell’antichità greca e poi romana il mito del sonno, Hypnos come fratello di Thanatos, la morte, rifletteva una visione del sonno come una sorta di “piccola morte”.

La nostra visione negativa del sonno dipende in larga parte dal fatto che, quando ci troviamo in questo stato, non possiamo svolgere attività biologicamente essenziali come mangiare o bere, ma anche socialmente importanti come lavorare o divertirsi. Un animale o essere umano addormentato è immobile e vulnerabile, non percepisce ciò che accade attorno a lui ed è dunque esposto a potenziali rischi e pericoli. Queste considerazioni hanno portato negli anni a ritenere il sonno come una cosa di cui quasi vergognarsi, tanto che spesso sentiamo persone che si vantano di dormire 2-3 ore per notte, o di non dormire affatto, per essere più attive e produttive.

La ricerca scientifica ci dice però che le cose stanno molto diversamente. Infatti, se non dormiamo a sufficienza, quel tempo che passiamo in veglia è un tempo in cui siamo meno efficienti, meno capaci di sfruttare efficacemente quelle ore che crediamo di guadagnare. Questo perché il sonno svolge funzioni cruciali di cui non possiamo fare a meno.

Un semplice indizio che può farci ben comprendere l’importanza del sonno risiede nel fatto che tutti gli animali, dal moscerino della frutta al gorilla, pur con inevitabili differenze, dormono. Non solo. Animali che si trovano ad affrontare condizioni particolari, anche estreme, hanno sviluppato peculiari soluzioni evolutive pur di poter mantenere la capacità di dormire. 

L’esempio più noto è quello dei delfini che, in quanto mammiferi marini, respirano l’aria atmosferica e se dormissero sott’acqua annegherebbero.

Per risolvere questo problema la natura ha dotato i delfini di una capacità particolare: possono dormire con solo metà del loro cervello mentre l’altra metà rimane sveglia. Hanno un occhio aperto, vedono cosa succede intorno, possono nuotare e respirare, e allo stesso tempo metà del cervello è immersa nel sonno. Non sono solo i delfini ad aver sviluppato questo tipo di soluzione. Sappiamo che altri animali hanno la capacità di ottenere questo sonno chiamato “uniemisferico” (ossia di un solo emisfero cerebrale), e alcuni hanno anche la possibilità di passare da un sonno uniemisferico ad uno “biemisferico” (in cui l’intero cervello è addormentato) a seconda delle condizioni in cui si trovano. È questo il caso di alcuni uccelli migratori1, che possono avere un sonno uniemisferico durante le loro migrazioni e uno biemisferico quando si trovano a terra.

Da un punto di vista puramente biologico queste osservazioni ci dicono che il sonno deve avere almeno una funzione essenziale per la vita. Il modo più semplice e diretto che abbiamo per capire quale sia questa funzione è provare a non dormire e vedere che cosa accade. Randy Gardner2 è un ragazzo americano noto per essere il detentore del record del più lungo periodo passato senza dormire certificato scientificamente. Negli anni ’60, quando era un liceale, Gardner si è prestato a questo esperimento rimanendo sveglio per 11 giorni e 25 minuti complessivamente mentre la sua attività cerebrale e le sue funzioni venivano monitorate.

In effetti la mancanza di sonno causa una serie di alterazioni che includono difficoltà nel mantenere attenzione e concentrazione, difficoltà di memorizzazione e apprendimento, disregolazioni emotive con irritabilità e comportamenti aggressivi, e poi ancora depressione, ansia, e, in casi estremi, paranoia e persino allucinazioni. Per dare un’idea dell’entità di queste alterazioni possiamo pensare che l’ultimo giorno di privazione di sonno fu chiesto a Gardner di contare all’indietro da 100 in passi di 7 e lui riuscì a contare appena tre-quattro volte prima di scordarsi quello che stava facendo e chiedere cosa avrebbe dovuto fare e perché. Questo in condizioni normali non accadrebbe a nessuno di noi.

Quando consideriamo l’idea di rimanere svegli per un periodo più o meno lungo di tempo, la prima cosa che viene in mente alla maggior parte di noi è quella di ricorrere all’aiuto del caffè. In effetti siamo abituati a pensare il caffè come mezzo per combattere la sonnolenza. In realtà il caffè non rappresenta una soluzione efficacie, specialmente nel lungo termine, per almeno per due motivi.

Il primo è legato al suo meccanismo d’azione. Quando il cervello è attivo durante la giornata produce una serie di sostanze di scarto che chiamiamo metaboliti. Uno di questi è l’adenosina, che si lega ad alcuni recettori presenti nel cervello portando ad un aumento della sonnolenza. È fondamentalmente un indicatore del bisogno di dormire3.

La caffeina agisce legandosi agli stessi recettori a cui si lega l’adenosina ma non dà lo stesso tipo di segnale, ossia non comunica al cervello che c’è bisogno di dormire (si comporta dunque come un’antagonista dell’adenosina).

fasi del sonno  

 Questo ci permette di mantenere uno stato di allerta, riducendo la sonnolenza. Il problema è che mentre siamo svegli l’adenosina continua ad accumularsi nel cervello. Inoltre il cervello reagisce all’occupazione dei recettori da parte della caffeina producendo un maggior numero di recettori.

Pertanto, quando l’effetto della caffeina termina il nostro cervello si ritrova

Effetti del caffè sul funzionamento cerebrale

praticamente immerso nell’adenosina che si è accumulata insieme ad altri metaboliti e ci sono molti recettori pronti a legarla. Alla fine ci sentiamo peggio di prima. Quello che possiamo fare, se non vogliamo andare a dormire è prendere un altro caffè… e qui entra il gioco il secondo problema, perché il caffè non è una sostanza qualunque, ma è una sostanza che ha anche degli effetti ‘tossici’ sull’organismo.

Uno studio condotto negli anni ’90 ha indagato gli effetti di diverse sostanze somministrandole a dei ragni e poi valutando la struttura della ragnatela che questi producevano4. In particolare sono state studiate le ragnatele prodotte quando i ragni si trovavano sotto gli effetti di sostanze tra cui LSD, marijuana e caffeina. 

ragnatele di ragni drogati  

Questo semplice studio ha evidenziato che la caffeina ha effetti molto significativi sulla capacità del ragno di produrre una ragnatela che abbia una struttura logica. Questo perché la caffeina è una sostanza eccitante. Chiaramente noi non siamo ragni e su di noi gli effetti sono diversi, ma il punto è che la caffeina, presa in elevate quantità, può avere effetti negativi, tossici. Nell’essere umano sono in particolare frequenti aumenti rilevanti dei livelli di ansia e stress. È chiaro dunque che eccedere con il caffè non sia una buona idea, e anche che, pure se noi non lo percepiamo, il nostro cervello si stanca comunque mentre siamo svegli.

 

Effetti della perdita di sonno

Che si prenda caffè o meno quello che accade è che se restiamo svegli per molto tempo inizieremo a sviluppare una serie di sintomi che includono confusione, impulsività, irritabilità, vuoti di memoria, difficoltà cognitive, disattenzione, mal di testa, allucinazioni, alterato giudizio morale, e iperreattività emotiva… solo per citare i principali. Questi chiaramente sono sintomi che hanno un impatto rilevante sul comportamento, sulla nostra capacità di interagire con l’ambiente esterno in maniera corretta, di mantenere attenzione e non fare errori. Alcuni degli incidenti più gravi della storia recente come il disastro di Chernobyl o il disastro del Challenger del 1986 sono stati attribuiti ad errori umani causati dalla mancanza di sonno.

Anche senza andare a scomodare questi eventi estremi, tutti noi sappiamo che la mancanza di sonno può avere importanti conseguenze anche nella vita di ogni giorno. Tra tutte la più conosciuta sono certamente gli incidenti d’auto.

Quello che forse non tutti sanno è che mentre tendiamo a pensare i sintomi ed effetti che abbiamo descritto come conseguenza della perdita di molte ore di sonno, ci sono in realtà indicazioni che anche perdere un’ora di riposo possa avere effetti significativi. In America è stato condotto un piccolo ma interessante test su un giocatore della National Basketball Association. Nello specifico è stata valutata la performance del giocatore confrontando i casi in cui aveva dormito più di 8 ore prima della partita e quelli in cui aveva dormito meno di 8 ore5. Notiamo subito che questo valore, “8 ore”, è qualcosa che troviamo spesso citato quando si parla di sonno perché è il numero di ore di riposo che tipicamente gli esperti consigliano per giovani adulti.

In realtà ognuno di noi ha un suo specifico fabbisogno di ore di sonno: 8 ore è il fabbisogno medio, ma avremo chi ha bisogno di 9 ore e chi riesce ad essere perfettamente efficiente anche con 7, o perfino 6 ore. Tornando al nostro giocatore di pallacanestro, ciò che si è visto è che un sonno di maggior durata era associato a più punti per minuto di gioco, una maggiore percentuale di punti su tiro libero, una maggiore percentuale di punti su tiro da 3 e anche un minor numero di falli commessi, indicando un miglior controllo emotivo. Questo ci dimostra che anche perdere poco tempo di sonno può avere un impatto sul comportamento, magari più sottile, ma comunque significativo. E non è una cosa di poco conto perché il tipo di società in cui viviamo ci spinge a perdere ore di sonno ogni notte. Infatti non ci svegliamo quando ci sentiamo riposati, ma quando sentiamo suonare la sveglia. La maggior parte di noi perde dunque minuti o ore di sonno ogni giorno e poi, se tutto va bene, riesce a recuperare almeno in parte durante il fine settimana.

La perdita di sonno non ha effetti solo sul comportamento ma anche su molti altri aspetti che possono avere un impatto sulle nostre interazioni sociali, come la postura o l’espressività facciale. In altre parole, la perdita di sonno non influenza solo come ci comportiamo noi, ma anche come ci vedono gli altri. Persone fotografate dopo un periodo di veglia prolungata o un sonno insufficiente vengono giudicate dagli altri, sulla base del loro aspetto, come meno affidabili, più aggressive e, generalmente, meno competenti. Questo significa che la mancanza di sonno ha un impatto importante sulle nostre relazioni.

 

Effetti importanti del sonno

Gli studi sugli effetti della perdita di sonno ed altre ricerche condotte negli anni hanno permesso di dimostrare che il sonno svolge numerose funzioni essenziali non tutte necessariamente limitate al cervello. Ad esempio numerosi studi6 hanno dimostrato un effetto positivo del sonno sul funzionamento e l’efficacia del sistema immunitario. Non stupisce dunque il fatto che quando siamo ammalati sopraggiungano la stanchezza e il bisogno di dormire, mentre ci sentiamo decisamente meglio al successivo risveglio. Il sonno ha poi un effetto sulla regolazione del metabolismo per cui chi dorme poco ha una maggior tendenza a un appetito sregolato e a prendere peso.

Per quanto riguarda il cervello, i ricercatori hanno identificato almeno tre effetti importanti del sonno. Un primo effetto riguarda lo smaltimento di quelle sostanze di scarto, i metaboliti, che abbiamo menzionato in precedenza. Possiamo dire che durante il sonno il cervello viene “ripulito” con dei meccanismi speciali. Il secondo effetto è quello di favorire l’apprendimento e il consolidamento delle memorie. In effetti, se impariamo qualcosa e poi ci corichiamo, durante il sonno la memoria che abbiamo acquisito viene rafforzata e messa in relazione con quelle che già avevamo. Questo è un esempio di come, quando si studia per un esame, abbia forse poco senso passare la notte prima degli esami svegli a studiare, mentre è molto più importante studiare e poi dormire per consentire al cervello di rafforzare quelle memorie che abbiamo acquisito. Il terzo effetto, che rimane forse più misterioso nei suoi meccanismi, è quello della regolazione dell’umore e delle emozioni. Infatti, quando non dormiamo abbiamo una maggiore reattività emotiva e tendiamo a diventare più aggressivi.

 

Le fasi del sonno

Da quello che abbiamo detto appare chiaro che il sonno svolge numerose funzioni ed è altrettanto chiaro che sia fondamentale per noi identificarle e comprenderne i meccanismi. Tipicamente lo studio del sonno e delle sue funzioni si basa su una metodica chiamata elettroencefalogramma, o EEG. L’EEG fu usato e descritto per la prima volta nel 1928-29, e costituisce dunque una delle prime e più importanti metodiche di indagine in vivo sul cervello. Negli anni i sistemi per la registrazione EEG si sono evoluti notevolmente e oggi abbiamo a disposizione i cosiddetti EEG ad alta densità, cioè con molti elettrodi – ad oggi, fino a 256.

  

La cuffia elettroencefalografica ad alta densità di elettrodi indossata da Giulio Bernardi

Questi elettrodi misurano, da diversi punti dello scalpo, l’attività elettrica prodotta dalla sincronizzazione di migliaia o milioni di neuroni cerebrali, permettendo dunque di “vedere” cosa succede in diverse parti del cervello. Queste nuove tecniche ci hanno permesso di andare oltre quella che era lo studio classico del sonno che, basandosi su un ridotto numero di elettrodi (spesso meno di 10), si limitava perlopiù a valutare l’alternanza dei cosiddetti “stadi”. In effetti, quando una persona è sveglia vediamo all’EEG una attività con oscillazioni molto rapide e di bassa ampiezza. Successivamente, nel corso dell’addormentamento, si entra in quello che viene chiamato sonno NON-REM (o NREM), a sua volta diviso in tre sottofasi: dalla prima chiamata N1, alla terza, N3, l’attività EEG diventa più lenta e di maggiore ampiezza. Compare in questo stadio la cosiddetta onda lenta del sonno che rappresenta un fenomeno particolare, cioè l’alternarsi di uno spegnimento e una riaccensione dei neuroni cerebrali. Si ritiene oggi che l’onda lenta abbia un ruolo importante nel funzionamento del sonno e che, similmente a quando il nostro computer o smartphone si riavvia per completare un aggiornamento, così l’onda lenta del sonno favorisca la riorganizzazione delle informazioni nel cervello.

Dopo aver passato circa un’ora nel sonno NREM, si entra tipicamente in un ulteriore stadio detto REM, che rappresenta un momento di parziale riattivazione del cervello. Nel sonno REM vediamo una attività EEG che è più simile a quella della veglia, ossia più rapida e senza onde lente. Vediamo inoltre movimenti oculari rapidi (il nome REM viene infatti dall’inglese “rapid eye movements”) e una diffusa netta riduzione del tono muscolare. Il sonno REM, con la sua maggiore attività, è noto per essere quello in cui sogniamo di più e in cui i nostri sogni sono più vividi e ricchi (è d’obbligo comunque precisare che possiamo sognare in tutte le fasi del sonno).

La classificazione che abbiamo appena descritto permette di studiare come i diversi stadi del sonno si alternano durante la notte. Vediamo dunque che quando ci addormentiamo passiamo dalla veglia al sonno NREM più leggero fino a raggiungere quello più profondo che è particolarmente lungo e consolidato all’inizio della notte.

In seguito aumenta progressivamente la porzione di tempo occupata dal sonno REM che diviene prevalente nella seconda parte della notte. Valutando la presenza, durata e proporzione dei diversi stadi del sonno possiamo dire se una persona ha un sonno di buona o di peggiore qualità. Quella che otteniamo è però un’informazione piuttosto grossolana.

 

 Le fasi del sonno. Quando ci addormentiamo l’attività del cervello passa da essere rapida a essere progressivamente sempre più lenta e di alta ampiezza, andando via via dallo stadio NREM N1 a quello indicato come N3. Ogni 60-90 minuti il cervello torna ad uno stato di relativa attivazione, simile a quello della veglia. Questo stadio è indicato come sonno paradossale, o REM.

 

La regolazione locale del sonno

Grazie ai nuovi metodi come l’EEG ad alta densità abbiamo scoperto che il sonno non è un fenomeno globale e uniforme e che veglia e sonno, o i diversi stadi del sonno, possono in parte “coesistere”. Si è osservato per esempio che quando siamo svegli alcune parti del cervello possono entrare in uno stato di sonno locale, ossia si addormentano, mostrando delle onde lente simili a quelle del sonno notturno. In modo speculare quando ci troviamo immersi nel sonno parti del cervello possono risvegliarsi parzialmente mostrando attività simile a quella della veglia. Questi due fenomeni sono molto interessanti e molto importanti per vari motivi. Il primo, quello del sonno locale nella veglia è interessante perché rappresenta probabilmente la conseguenza di un affaticamento cerebrale e la causa dei nostri errori in situazioni di stanchezza. Infatti, durante la giornata, il cervello si affatica progressivamente: i neuroni producono metaboliti che si accumulano e al contempo accumulano bisogno di sonno, un bisogno di “fare pulizia” per poter continuare a funzionare in modo efficiente. In effetti il bisogno di sonno è più forte in quelle regioni del cervello che sono maggiormente utilizzate durante la veglia. Queste regioni sono le prime a mostrare i segni del sonno locale, ossia si addormentano durante la veglia. In uno studio pubblicato dieci anni fa7 ad alcuni volontari fu chiesto di passare molte ore della giornata (e della notte) ascoltando audiolibri o giocando con un simulatore di guida. Quello che è stato visto in questo studio è che dopo aver ascoltato l’audiolibro i volontari tendevano a mostrare la comparsa di sonno locale, quindi di onde lente, nella parte più anteriore (o “frontale”) del cervello.

Quando invece avevano giocato con il simulatore di guida i volontari avevano una maggior quantità di onde lente nella parte più posteriore del cervello.

Le regioni cerebrali maggiormente coinvolte in ciascuno dei due compiti (ascoltare audiolibri o giocare col simulatore) si affaticavano e iniziavano a mostrare una attività simile a quella del sonno.

In uno studio successivo da noi condotto8 abbiamo dimostrato che il sonno locale ha anche un impatto sul comportamento.

                                     Sonno locale durante la veglia          Attività locale simile alla veglia nel sonno

Regolazione locale del sonno. Durante la veglia, alcune parti del cervello possono addormentarsi temporaneamente con effetti negativi sul comportamento. D’altra parte, durante il sonno alcune parti del cervello possono riattivarsi temporaneamente dando origine ai sogni notturni.

Avevamo chiesto ai volontari di svolgere un compito relativamente semplice: sullo schermo del computer venivano proposti diversi stimoli in sequenza rapida, ad alcuni stimoli i volontari dovevano rispondere premendo un pulsante mentre, quando comparivano altri stimoli più rari, non dovevano dare alcuna risposta. Abbiamo visto che quando comparivano delle onde lente, quindi degli episodi di sonno locale, in alcune regioni cerebrali importanti per lo svolgimento del compito, i volontari avevano maggiore probabilità di commettere errori, e quindi di premere il pulsante anche quando era presentato uno stimolo a cui non dovevano rispondere. Il fenomeno del sonno locale sembra dunque poter offrire una valida spiegazione dell’affaticamento mentale legato allo svolgimento di attività ripetitive o alla veglia prolungata. È stato inoltre visto che l’affaticamento di particolari regioni del cervello lascia una traccia anche sul nostro sonno. Infatti quando infine andiamo a dormire, le regioni del cervello che sono state più intensamente utilizzate durante la giornata sono quelle che dormono più profondamente. Sono cioè quelle che mostrano più onde lente. E le onde lente che abbiamo in queste regioni lasceranno a loro volta una traccia nella memoria del nostro cervello. Infatti, la comparsa di una maggiore attività ad onde lente nelle regioni cerebrali coinvolte in un determinato compito è associata ad un maggiore apprendimento relativamente al medesimo compito.

Come già menzionato, in modo speculare al sonno locale durante la veglia possiamo osservare la riattivazione di alcune parti del cervello durante il sonno, ossia possiamo avere durante la notte delle regioni del cervello che si svegliano parzialmente. In effetti, si ritiene oggi che i nostri sogni notturni siano il frutto di questi parziali risvegli del nostro cervello.

Gli esseri umani sognano probabilmente per una grandissima parte della notte: le persone risvegliate dal sonno REM, che rappresenta circa il 25% del nostro sonno, riportano di aver sognato in quasi il 100% dei casi, mentre per il sonno NREM la percentuale scende a circa il 50% dei casi. E questo appare in accordo con quanto abbiamo detto in precedenza, ossia che il sonno REM è di per sé uno stadio più attivo e simile alla veglia. In uno studio9pubblicato alcuni anni fa abbiamo chiesto ad alcuni volontari di dormire in laboratorio e queste persone venivano svegliate più volte durante la notte e ogni volta veniva chiesto loro se avessero o meno avuto un sogno. Abbiamo quindi confrontato le condizioni in cui queste persone riportavano di aver sognato rispetto a quando invece riportavano di non aver sognato niente. Abbiamo così osservato che quando le persone sognano c’è una maggiore attivazione di alcune regioni nella parte posteriore del cervello. Perché proprio queste regioni? Probabilmente perché sono legate all’elaborazione di informazioni sensoriali specialmente visive, e i nostri sogni sono in maggioranza visivi. Si può dunque ipotizzare che l’attività che abbiamo osservato rappresenti il correlato cerebrale dei sogni visivi, ma che in realtà l’attività del cervello possa cambiare a seconda di quello che è il contenuto del sogno. E in effetti sembra che le cose stiano proprio così9,10. Se sogniamo ad esempio il volto di qualcuno che conosciamo o anche che non conosciamo, possiamo avere più attivazione di quella parte del cervello che processa i volti, se ci sono dei dialoghi, c’è qualcuno che parla, ci saranno attività in un’altra regione ancora, se c’è movimento ci saranno altre regioni e così via. Quindi a seconda di qual è il contenuto del sogno questo corrisponde alla riattivazione di parti del cervello molto specifiche.

Risvegli parziali e sogni. Risvegli parziali di diverse regioni del cervello durante il sonno sembrano associarsi a diversi contenuti delle esperienze oniriche notturne.

  

Sogni e creatività

Salvo casi particolari, in cui i sogni prendono la forma di pensieri piuttosto che di immagini, la parte più anteriore del cervello rimane generalmente più spenta, più disattivata. In effetti la parte anteriore del cervello, quella cosiddetta frontale, è legata in particolare al ragionamento e alla pianificazione, e in qualche modo supervisiona quello che il resto del cervello fa e come lo fa. È la parte che cerca e analizza le connessioni logiche. Il fatto che questa parte tenda a rimanere spenta è dunque un elemento interessante. In effetti sappiamo che i sogni hanno la capacità di generare nuove informazioni, di collegare le memorie delle esperienze creando qualcosa di nuovo, e questo potrebbe essere possibile proprio grazie al fatto che la parte frontale del cervello è disattivata e quindi il cervello stesso è, in un certo senso, più libero di creare nuove associazioni. Questa è una cosa che in realtà gli artisti sanno da molto tempo. L’esempio più noto è certamente quello offerto da Salvador Dalì il quale ha più volte dichiarato di essersi lasciato ispirare dai sogni per i suoi dipinti. Ma gli artisti non sono gli unici ad aver trovato ispirazione nei sogni. Anche molti scienziati hanno dichiarato di aver raggiunto le loro intuizioni proprio attraverso i sogni, probabilmente grazie al fatto che il cervello, durante il sonno, rielabora quelle informazioni che ha processato durante la veglia ed è però libero di farlo in maniera nuova, creando nuove associazioni. Giusto per fare alcuni esempi, sembra che Mendeleev abbia avuto l’idea della tavola periodica dopo averla sognata, mentre Bohr avrebbe avuto la sua idea sulla possibile struttura dell’atomo dopo aver sognato il Sole con i pianeti che gli ruotavano attorno. Il sogno è dunque un momento di creatività e di risoluzione dei problemi.

 

Il futuro dello studio del sonno

Quelli che fin qui ho descritto solo alcuni frammenti di conoscenze derivanti dalle ricerche che stiamo portando avanti e che sono portate avanti nel mondo. C’è però ancora molto da fare e da capire, in particolare per quanto riguarda come il sonno è regolato a livello globale e locale, e come può influenzare il nostro comportamento. Lo studio della regolazione locale del sonno potrebbe aiutarci a comprendere le basi di alcune malattie come l’insonnia. Ci sono evidenze che l’insonnia possa rappresentare una condizione in cui alcune parti del cervello rimangono troppo attive, ossia non riescono ad addormentarsi profondamente. Capire cosa determina il tipo di attività nelle diverse regioni del cervello è dunque importante per sviluppare trattamenti adeguati per queste condizioni. Anche se molto rimane ancora da fare, quello su cui ormai non abbiamo alcun dubbio è che dormire non è una perdita di tempo. Dormire è essenziale perché il cervello possa funzionare correttamente durante la giornata.

Il 13 Marzo 2020, la giornata mondiale del sonno11, ha introdotto il motto “Better sleep, better life, better planet” (sonno migliore, vita migliore, pianeta migliore) proprio perché un sonno adeguato ci permette di vivere al meglio la nostra vita, ma anche di prendere decisioni in maniera corretta, logica, e di apprendere da quello che facciamo, e dai nostri errori. 

 

Bibliografia

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2. Keating S, "Il ragazzo che è rimasto sveglio per 11 giorni"www.bbc.com.

3. AsapSCIENCE, Your Brain on Coffee, https://www.youtube.com/watch?v=4YOwEqGykDM

4. Noever RJCronise, R A Relwani, Using spider-web patterns to determine toxicity, NASA Tech Briefs 19, MFS-28921 82, 1995.

5. Walker M, Why we sleep: Unlocking the power of sleep and dreams. Simon and Schuster, 2017.

6. Watson NF, Buchwald D, Delrow JJ, Altemeier WA, Vitiello MV, Pack AI, Bamshad M, Noonan C, Gharib SA, Transcriptional Signatures of Sleep Duration Discordance in Monozygotic Twins. Sleep , 40, no 1, 2017.

7.Hung C, Sarasso S, Ferrarelli F, Riedner R, Ghilardi MF, Cirelli C, Tononi G, Local experience-dependent- changes in the wake EEG after prolonged wakefulness. Sleep 36, no. 1:59-72, 2013.

8. Bernardi G, Siclari F, Xiaoqian Y, Zennig C, Bellesi M, Ricciardi E, Cirelli C, Ghilardi MF, Pietrini P, Tononi G, Neural and behavioral correlates of extended training during sleep deprivation in humans: evidence for local, task-specific effects. Journal of neuroscience 35, no. 11: 4487-4500, 2015

9. Siclari F, Baird B, Perogamvros L, Bernardi G, LaRocque JJ, Riedner B, Melanie B,. Postle BR, Tononi G, The neural correlates of dreaming, Nature neuroscience 20, no. 6: 872-878, 2017

10. Sterpenich V, Perogamvros L, Tononi G, and Schwartz S, Fear in dreams and in wakefulness: Evidence for day/night affective homeostasis, Human Brain Mapping 41, no. 3: 840-850, 2020

11. https://worldsleepday.org/

 

*Giulio Bernardi è ricercatore in Neuroscienze Cognitive presso la Scuola IMT Alti Studi di Lucca. Medico di formazione, ha ottenuto il dottorato in Neuroscienze presso l’Università di Pisa e ha lavorato presso centri di ricerca negli Stati Uniti e in Svizzera. Nel 2020 ha ottenuto un ERC Starting Grant, finanziamento europeo per giovani ricercatori, con lo scopo di esplorare nuove metodiche per la modulazione non invasiva del sonno e dei sogni.