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Manipolare il sonno e i sogni per capire il cervello (Seconda parte)

 

Manipolare il sonno e i sogni per capire il cervello (Seconda parte)

 

Giulio Bernardi

 

Abstract: Nella prima parte dell’articolo l’Autore ha illustrato come il sonno svolga numerose funzioni essenziali per mantenere il benessere psicofisico e l’efficienza dell’organismo. Ha inoltre descritto come nuove tecniche per lo studio dell'attività cerebrale, e in particolare l’elettroencelografia ad alta densità di elettrodi, abbiano permesso di osservare, durante il sonno, riattivazioni parziali del cervello associate ai sogni. In questa seconda parte viene ulteriormente affrontato e discusso il tema dello studio dell'origine e della funzione dei sogni. Vengono in particolare discusse le principali difficoltà che i ricercatori devono affrontare nello studiare i sogni e come nuove tecniche di indagine potrebbero permetterci di superarle, in particolare grazie alla possibilità di "leggere" i sogni direttamente dal cervello o di modificarli a piacimento. Il nuovo campo di ricerca dell'ingegneria dei sogni potrebbe non solo aiutarci a comprendere finalmente la natura e la funzione dei sogni, ma potrebbe avere anche importanti implicazioni in ambito clinico.

 

Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che i sogni non compaiono solamente nel cosiddetto sonno REM (dall’inglese Rapid Eye Movement, ossia “movimenti oculari rapidi”), come si tendeva a pensare fino a pochi anni fa, ma occupano una gran parte delle nostre notti, anche se generalmente non ricordiamo quasi niente di tutte queste esperienze oniriche, salvo talvolta l’ultima che ci accompagna prima del risveglio. Si è scoperto inoltre che i sogni sono delle vere e proprie isole di coscienza spiegabili con un risveglio parziale di alcune regioni del cervello, e che quali regioni del cervello si risvegliano determina probabilmente il contenuto stesso delle nostre esperienze.

Nonostante queste scoperte ed avanzamenti della conoscenza riguardo ai sogni, ci sono ancora molte domande senza risposta. Una di queste, e forse la più significativa, è “Perché sogniamo”? Ci sono, come vedremo, una serie di problemi che rendono particolarmente difficile rispondere a questa domanda, ma per capire meglio la situazione proveremo a partire dalle ipotesi che attualmente convivono sulla funzione dei sogni. Una prima ipotesi ci dice che i sogni sono qualcosa di totalmente casuale. In questa prospettiva, le riattivazioni notturne del cervello si verificano in modo spontaneo e disordinato generando delle esperienze che in qualche modo il cervello collega in modo da creare una storia più o meno coerente. Secondo questa ipotesi i sogni non hanno alcuna funzione. Una seconda ipotesi suggerisce similmente che i sogni non abbiano di per sé una funzione, ma postula che le riattivazioni non siano frutto di processi casuali. Sappiamo ad esempio che il sonno ha un ruolo fondamentale nell’elaborare, consolidare e integrare le memorie, e tale processo sembra passare attraverso fasi di riattivazione delle memorie stesse. Secondo questa ipotesi dunque, i sogni rifletterebbero l’elaborazione delle precedenti memorie, e potrebbero dunque essere una sorta di “effetto collaterale” di tale processo. La terza ipotesi propone invece che i sogni ricoprano una specifica funzione, vantaggiosa in termini biologici ed evolutivi. (Fig.1)

Le tre ipotesi principali sulla funzione dei sogni  

Sono state proposte diverse varianti di questa ipotesi, ma le più note suggeriscono che i sogni possano essere una sorta di realtà virtuale all’interno della quale sia possibile fare esperienze – ad esempio affrontare pericoli o partecipare in attività sociali - senza correre rischi e dunque senza possibili conseguenze negative.

È evidente che si tratta di tre ipotesi molto diverse tra loro e le cose sono ulteriormente complicate dal fatto che non sappiamo se tutti i sogni riflettano uno stesso meccanismo di generazione, e dunque anche se, ad esempio, i sogni del sonno REM e quelli del sonno non REM abbiano la stessa funzione. A questo punto è naturale chiedersi per quale motivo la nostra conoscenza dei sogni sia così limitata e come possano coesistere ipotesi così diverse tra loro. La risposta è che studiare i sogni è tutt’altro che semplice in quanto ci sono una serie di problematiche che chi studia i sogni deve affrontare. Ci concentreremo qui su due problemi principali. 

Quando studiamo i sogni chiediamo a dei volontari di venire nel laboratorio del sonno, indossare una cuffia per la registrazione dell’elettroencefalogramma, e dormire mentre la loro attività cerebrale viene monitorata e registrata. In momenti particolari (o anche scelti in modo casuale) i volontari vengono svegliati e viene chiesto loro se stavano sognando, e in caso affermativo di raccontare il loro sogno. Questo, al momento, è l’unico modo che abbiamo per sapere che cosa passa per la mente di qualcuno che sta dormendo. Ci affidiamo semplicemente a quello che le persone ci raccontano. Le cose però sono più complicate di quanto potrebbe sembrare, perché la nostra memoria funziona diversamente durante la notte. Tendiamo infatti a dimenticare la maggioranza dei nostri sogni o, nel migliore dei casi, alcuni dettagli del loro contenuto.

Pertanto il racconto che viene fornito è talvolta impreciso: in alcuni casi i volontari non ricordano di aver sognato, mentre altre volte ricordano di aver sognato ma non riescono a ricordare un certo numero di elementi ed esperienze. Non sappiamo esattamente per quale motivo i nostri sogni vengono così facilmente dimenticati, ma si ritiene che questa alterazione della memoria abbia una funzione protettiva. Infatti, se ricordassimo in maniera vivida e precisa i nostri sogni, potrebbe divenire difficile distinguere i sogni dalla realtà… cosa che peraltro in qualche occasione può comunque accadere lasciandoci con un senso (fortunatamente temporaneo) di smarrimento e confusione. Come se non bastasse, in maniera del tutto involontaria, molte persone tendono a inserire nei loro racconti anche interpretazioni dei sogni stessi o a modificare alcuni dettagli per colmare lacune o incertezze nella memoria. Pertanto come si usa dire, i dati che raccogliamo sono “rumorosi”, ossia contengono diverse inaccuratezze. Per compensare queste inaccuratezze si può cercare di raccogliere una grande quantità di dati, ma questo è chiaramente dispendioso e difficile, e richiede molto tempo.

Un altro fondamentale problema che dobbiamo affrontare nella ricerca sui sogni è che questi sono molto variabili sia nello stesso sognatore da un episodio all’altro (naturalmente escludendo i sogni ricorrenti che sono una sorta di eccezione), sia da un individuo all’altro. È dunque difficile trovare degli elementi comuni fra i sogni per comprendere se sognare qualcosa di specifico – ad esempio una particolare situazione o “tema” – possa avere un qualche effetto sulla nostra veglia successiva, per esempio in termini di memoria, bilanciamento emotivo o performance in particolari attività.

Per meglio chiarire l’entità dei problemi di cui abbiamo parlato, possiamo far riferimento ad un famoso studio pubblicato da Erin Wamsley e collaboratori nel 20101. Lo studio mirava ad indagare se i sogni avessero una funzione legata all’apprendimento. I volontari dovevano affrontare un labirinto virtuale e capire come raggiungerne l’uscita nel minor tempo possibile, dopodiché avevano la possibilità di fare un pisolino pomeridiano. Dopo il risveglio raccontavano i loro eventuali sogni e affrontavano poi nuovamente il labirinto. Lo studio ha messo in evidenza che chi aveva fatto sogni in qualche misura riconducibili al labirinto, aveva un netto miglioramento nel tempo di percorrenza del labirinto stesso, riuscendo a trovare l’uscita in tempi più rapidi dopo aver dormito. Il miglioramento era addirittura dieci volte maggior rispetto a coloro che non avevano fatto sogni sul labirinto. L’entusiasmo per un tale risultato viene però smorzato quando si vanno a valutare i dettagli. Infatti, a fronte di ben novantanove partecipanti, solo quattro hanno avuto sogni che in qualche misura erano ricollegabili all’esperienza del labirinto. Inoltre, il collegamento era perlopiù labile e indiretto. Infatti, nessuno dei volontari ha avuto un sogno in cui riviveva il labirinto e lo percorreva, usando l’esperienza onirica per imparare a trovare l’uscita. 

Un partecipante ad esempio ha sognato la musica che accompagnava il gioco del labirinto, mentre un altro ha riportato il seguente sogno: “Stavo pensando al labirinto e avevo delle persone come punto di riferimento, credo, e poi questo mi ha portato a pensare a quando ho fatto un viaggio, alcuni anni fa, e siamo andati a vedere delle grotte di pipistrelli che sono un po’ come labirinti.”

È chiaro dunque che la ricerca ha rilevato un effetto molto interessante, ma abbiamo difficoltà ad interpretarlo perché sono pochissimi i volontari in cui si è osservato l’effetto, e perché i collegamenti tra il sogno e il cambiamento di performance sembrano non rivestire un particolare significato.

Alcune particolari tecniche potrebbero in futuro aiutare la ricerca a superare i problemi di cui abbiamo parlato: la “lettura” dei sogni e la possibilità di modificarli. (Fig.2) 

Alcune particolari tecniche potrebbero in futuro aiutare la ricerca  

 Per “leggere i sogni” intendiamo qui la possibilità di ricavare informazioni sulla presenza e sul contenuto delle esperienze oniriche attraverso l’analisi dell’attività cerebrale del sognatore, senza dunque doversi più affidare al racconto fornito dopo il risveglio.

Questo potrebbe permetterci di risolvere il problema della memoria e delle inaccuratezze nei racconti. Ma quanto lontani siamo dal poterlo fare? In verità ci sono tutti i presupposti per riuscirci. Già nella prima parte dell’articolo abbiamo menzionato il fatto che il contenuto dei nostri sogni è legato direttamente a quali regioni del cervello si attivano2.

Sappiamo in effetti che nel cervello ci sono diverse aree che elaborano diversi tipi di informazione. Ad esempio ci sono regioni che elaborano i volti, altre che sono più dedicate alla comprensione linguistica, altre al movimento ecc. Queste particolari aree si attivano durante la veglia, quando abbiamo diversi tipi di esperienza, ma anche, allo stesso modo, durante i nostri sogni. Quindi, in base alle diverse regioni che si attivano possiamo farci un’idea di cosa la persona sta sognando. Tale idea è stata messa alla prova in uno studio3 condotto dieci anni fa da un gruppo giapponese. In questo caso è stata sfruttata come tecnica per indagare l’attività del cervello la risonanza magnetica funzionale. Chi l’ha mai provata sa che l’ambiente di risonanza magnetica non è confortevole. Pertanto anche se alcune persone riescono ad addormentarvisi con relativa facilità è raro riuscire a raggiungere un sonno particolarmente profondo. Di conseguenza, lo studio si è concentrato sui sogni della fase di addormentamento, quelli del sonno più leggero, ma i risultati sono comunque importanti perché costituiscono una dimostrazione della fattibilità della lettura dei sogni. In pratica i ricercatori hanno prima di tutto creato un dizionario dell’attività cerebrale che facesse da traduzione tra attività cerebrale e diverse esperienze visive (ossia “immagini”). In altre parole hanno chiesto ai volontari di guardare (da svegli) un numero molto grande di immagini, come ad esempio un volto, una chiave, una sedia, un letto, una macchina, vari animali, etc. Per ogni immagine mostrata hanno analizzato quella che era l’attività cerebrale del singolo individuo e in questo modo hanno creato un vero e proprio dizionario: a ogni immagine corrispondeva una particolare attività in diverse regioni del cervello (ossia una “mappa di attività”). Questo dizionario è stato poi utilizzato successivamente per capire se l’attività del cervello registrata durante il sonno prima di un risveglio potesse indicare la presenza di una qualche immagine, ossia di un sogno (visivo).

Quello che i ricercatori hanno visto è che avvicinandosi al momento del risveglio il dizionario riusciva a identificare alcuni elementi che il racconto fornito dai volontari al risveglio confermava essere parte di un sogno4. In un caso ad esempio il dizionario ha identificato due immagini che sembrano essere presenti nell’attività cerebrale del volontario, ossia quelle di maschio/uomo e femmina/donna. Il sogno raccontato dal volontario era poi questo: “Beh, c’erano delle persone, circa tre persone, in una specie di salone. C’erano, un maschio, una femmina e forse un bambino. Ah, erano forse un bambino, una bambina e una madre. Penso non ci fosse alcun colore.” Come possiamo vedere da questo esempio, la ricostruzione perde molti dettagli, ma riusciamo comunque a farci un’idea del contenuto del sogno. In verità negli anni sono state sviluppate tecniche ancora più avanzate di lettura dell’attività cerebrale che riescono creare una vera e propria “fotografia” di quello che la persona sta vedendo.

Si tratta di ricostruzioni ancora relativamente nebulose e prive di dettagli precisi, ma la loro qualità sta migliorando al migliorare delle tecniche disponibili per l’analisi dei dati cerebrali. Queste tecniche sono state usate per leggere ciò che una persona sta vedendo o immaginando durante la veglia, ma certamente sarà presto possibile fare lo stesso anche con i sogni. Possiamo dunque dire di essere sulla buona strada per poter vedere un domani i nostri sogni proiettati su uno schermo come film.

L’altro aspetto di cui vogliamo parlare è quello che riguarda la possibilità di modificare i sogni, di renderli in qualche modo uniformi almeno per alcune caratteristiche. Riuscire in questo ci consentirebbe di indurre sogni con certi contenuti in modo sistematico e quindi di studiare l’effetto di tali modifiche in modo rigoroso da un punto di vista scientifico. Anche in questo caso possiamo dire di essere sulla buona strada, ma qui la ricerca sta testando diverse possibili soluzioni tra un’ampia gamma di opzioni. Questo perché non c’è un solo modo di agire sui sogni per provare a modificarli ma ce ne sono molti e dobbiamo comprendere quale potrebbe essere il migliore. In primo luogo, quando si parla di modificare i sogni non si può non menzionare il cosiddetto “sogno lucido”. I sogni lucidi sono tipicamente sogni del sonno REM in cui il sognatore prende coscienza del fatto di stare sognando. Esistono vari gradi di lucidità, in cui il sognatore può anche arrivare ad avere un certo controllo sul contenuto del sogno. In rari casi il controllo può essere totale, al punto che il sognatore può dirigere ogni dettaglio del sogno al pari di un direttore cinematografico armato dei più avanzati effetti speciali. I sogni lucidi possono dunque consentire di modificare i sogni “dall’interno”. Il sogno lucido è un modello molto interessante di studio, ed è stato peraltro il primo a consentirci di dimostrare direttamente la corrispondenza tra l’attività cerebrale legata a ciò che facciamo in veglia e quella che troviamo quando sogniamo lo stesso tipo di attività o esperienza5. Questo è stato possibile perché il sognatore lucido è in grado di comunicare con l’esterno usando un particolare “trucco”. Quando siamo in sonno REM quasi tutti i nostri muscoli sono rilassati, non c’è tono muscolare, ma rimangono attivi i nostri muscoli respiratori e i muscoli che controllano i movimenti oculari. Nel momento in cui il sognatore entra nel sogno lucido si ripristina il controllo volontario sui muscoli respiratori e oculari, ed è dunque possibile comunicare con l’esterno attraverso dei codici predefiniti. Si può ad esempio comunicare l’ingresso in un sogno lucido muovendo gli occhi due volte a sinistra e poi a destra. Nello studio menzionato, una volta entrato in sogno lucido, il sognatore eseguiva dei semplici movimenti con la mano (la apriva e la chiudeva) all’interno del sogno (ossia senza alcun movimento corrispondente della mano “reale”).

Si è così potuto vedere che questa procedura causava una attivazione delle regioni cerebrali che controllano il movimento della mano, ossia le medesime che si attivano quando da svegli muoviamo la mano nello stesso modo.

Pur se molto interessante, il modello del sogno lucido ha anche alcuni problemi. Un primo problema è che il sogno lucido è in effetti un sogno atipico. La maggior parte dei nostri sogni non sono lucidi, e molti di noi hanno forse uno o due sogni lucidi (di cui si ricordino) nell’arco della vita.

Inoltre le regioni cerebrali che si attivano durante il sogno lucido sono in parte diverse da quelle che troviamo attive durante i sogni non lucidi.

Sembra ad esempio che la corteccia frontale, quella più anteriore legata al ragionamento, sia generalmente spenta durante il sonno REM, mentre si attivi nel sogno lucido. È dunque naturale chiedersi se il sogno lucido sia un modello pienamente valido per lo studio dei sogni in generale. Un’altra importante limitazione relativa ai sogni lucidi riguarda la difficoltà nel raggiungere e mantenere tale condizione.

Anche se ci sono persone che riescono a raggiungere lo stato di sogno lucido con relativa facilità, la maggior parte di noi incontra notevoli difficoltà sia nel raggiungere sia nel mantenere questo stato senza svegliarsi, e anche quando vi riesca, ciò non comporta sempre un controllo sul contenuto del sogno. e comunque quando ci riescono non è detto che riescano a mantenere il sogno lucido e anche ad avere controllo sul contenuto del sogno lucido. Per tale motivo, molti sforzi di ricerca sono stati diretti verso lo studio di metodi in grado di facilitare l’ingresso in sogno lucido. Tra i tanti approcci provati vi è stato ad esempio quello della stimolazione elettrica transcranica, una tecnica che consente di mandare uno stimolo elettrico direttamente ad una parte del cervello in modo da inibirla o attivarla (a seconda della modalità di stimolazione). In effetti uno studio ha provato a usare questo metodo per attivare la corteccia frontale durante il sonno e quindi facilitare la comparsa di sogni lucidi6. Il successo, se così si può chiamare, è però stato solo parziale. Al risveglio dal sogno i volontari dovevano infatti rispondere ad alcune domande sul loro livello di lucidità e controllo sul sogno usando delle scale di valori da 0 a 5, e si è così osservato che la stimolazione produceva un passaggio da un punteggio medio di circa 0 ad uno di circa 0.5, ossia ancora estremamente basso. Questo risultato, che possiamo comunque considerare incoraggiante, ci dice che la nostra comprensione di come emergono i sogni lucidi è ancora lacunosa e non è sufficiente attivare della corteccia frontale. La tecnica della stimolazione elettrica transcranica non è stata utilizzata solo per indurre sogni lucidi ma anche per provare a modificare direttamente il contenuto dei sogni. In un diverso studio7 i ricercatori hanno usato la stimolazione per inibire l’attività dell’area del cervello (la corteccia motoria) che controlla direttamente il movimento della parte dominante del corpo. I ricercatori hanno così osservato che i volontari riportavano nei sogni raccontati al risveglio dopo stimolazione una ridotta quantità di movimenti corporei, ossia i sogni erano più statici e meno dinamici. La stimolazione elettrica è dunque riuscita a ridurre il grado di movimento all’interno dei sogni.

Ovviamente, l’idea di ricevere stimolazioni elettriche dirette al cervello non è ben accettata da tutti, e pertanto si stanno testando anche tecniche alternative meno invasive.

Sappiamo ad esempio, per esperienza capitata almeno una volta a quasi tutti noi, che alcuni stimoli presenti nell’ambiente circostante mentre dormiamo – come il suono di una sveglia – possono essere incorporati nei nostri sogni. In effetti, anche se il nostro cervello è relativamente “isolato” dall’ambiente esterno, non lo è completamente, e alcuni stimoli sensoriali possono raggiungere il nostro sogno e influenzarlo. In uno studio, ad esempio, si è visto che il rumore del traffico presentato durante il sonno riusciva ad indurre sogni con temi legati al traffico nel 78% dei volontari8.

(Fig.3)

Anche se i sogni sono tipicamente considerati come isole di coscienza che nascono e si sviluppano indipendentemente da ciò che accade  

Un numero decisamente elevato. In realtà non sappiamo ancora bene perché alcuni stimoli riescano a influenzare i nostri sogni mentre altri sembrino venir “filtrati” e non hanno effetti diretti sulle nostre esperienze.

In effetti alcuni stimoli sembrano riuscire a passare meglio le difese del cervello addormentato, mentre altri hanno più difficoltà a passare. In questo senso, particolare interesse è stato rivolto agli stimoli odorosi, in quanto questi sono elaborati in modo diverso rispetto a quelli processati dagli altri sensi. Infatti la maggior parte dei nostri sensi passa attraverso una stazione di ritrasmissione – il talamo – che si ritiene possa contribuire a filtrare parte delle stimolazioni ricevute durante il sonno.

L’olfatto è però diverso perché le informazioni legate agli odori raggiungono direttamente le parti del cervello che elaborano gli stimoli olfattivi e da qui vengono ritrasmesse ai centri che controllano le emozioni e la memoria. In questo senso, gli stimoli odorosi potrebbero offrirci un accesso privilegiato al sonno e ai sogni. Le potenzialità di questa tecnica sono illustrate da uno studio9 in cui durante il sonno venivano presentati ai volontari un odore positivo (profumo di rosa) o uno a valenza negativa (odore di uova marce). Si è così osservato che l’odore di uova marce si associava ad un aumento delle emozioni negative nei sogni, mentre il profumo di rosa tendeva ad aumentare gli elementi a connotazione positiva. Da quanto discusso possiamo vedere che vi è un grande interesse verso l’uso di tecniche basate su stimoli sensoriali per modificare e dirigere i sogni in quanto sono molto semplici e naturali, ma molte cose rimangono ancora da comprendere pienamente.

Un’ultima tecnica che vale la pena descrivere è quella cosiddetta di riattivazione mirata delle memorie. Anche in questo caso viene utilizzato uno stimolo sensoriale, ma si usano stimoli che sono stati precedentemente associati a particolari memorie, in modo che la presentazione dello stimolo possa condurre anche ad una riattivazione delle memorie stesse e siano poi queste a influenzare il sogno. Si tratta di una tecnica descritta per la prima volta alla fine dell’800 dal Marchese di Saint-Denys10, il quale ha condotto su sé stesso un semplice esperimento.

Durante un viaggio nelle campagne francesi ha portato con sé una boccetta di profumo che di tanto in tanto annusava allo scopo di associare il profumo al viaggio e agli ambienti che stava visitando.

Una volta tornato a casa ha chiesto a un servitore di mettere alcune gocce dello stesso profumo sul cuscino, senza ovviamente informarlo di quando lo avrebbe fatto.

Secondo quanto riportato dall’autore quando veniva messo il profumo sul cuscino comparivano più spesso sogni con temi di campagna e paesaggi simili a quelli visti durante il viaggio. Dunque l’odore sembrava riuscire a riattivare le memorie del viaggio influenzando lo svolgimento del sogno. Molto più recentemente i ricercatori hanno provato a replicare lo stesso studio in laboratorio e dunque in maniera più controllata e sistematica11

(Fig.4).

La tecnica di riattivazione mirata delle memorie  

In questo caso un odore è stato associato a fotografie che mostravano ambienti naturali, e la presentazione dell’odore durante il sonno si associava ad una maggiore probabilità che i volontari riportassero sogni con ambienti e contenuti simili a quelli delle immagini.

A conclusione di questo nostro excursus sulle tecniche per modificare i sogni vale la pena citare un articolo uscito alla fine del 2020 e intitolato “Verso un’ingegneria dei sogni”12. In esso, gli autori descrivono gli avanzamenti e le innovazioni di quello che è diventato un vero e proprio nuovo campo di ricerca, quello appunto dell’ingegneria dei sogni. Come abbiamo menzionato, poter modificare i sogni potrebbe aiutarci a studiarli in modo più approfondito e a comprenderne finalmente la natura e le funzioni. Ma potrebbe avere anche implicazioni cliniche di grande importanza. L’esempio più ovvio è quello di condizioni legate ad alterazioni dei sogni, come nel caso degli incubi ricorrenti, ma in verità potrebbero aversi applicazioni di rilievo anche in molte altre patologie del sonno in cui l’attività del cervello va incontro ad una disregolazione e alcune aree rimangono più attive (ossia “sveglie”) del dovuto, o viceversa hanno un sonno abnormemente profondo. In effetti ingegnerizzare i sogni significa in realtà anche capire come modificare il sonno e quindi, potenzialmente, migliorarlo.

 

Note

1. Wamsley J, Tucker M, Payne JD, Benavides JA, Stickgold R, Dreaming of a Learning Task Is Associated with Enhanced Sleep-Dependent Memory Consolidation, Current Biology, Volume 20, Issue 9, 2010.

2. Siclari F, Baird B, Perogamvros L, Bernardi G, LaRocque JJ, Riedner B, Boly M, Postle BR, Tononi G. The neural correlates of dreaming, Nat Neurosci. 2017 Jun; 20(6):872-878. doi: 10.1038/nn.4545. Epub 2017 Apr 10. PMID: 28394322; PMCID: PMC5462120.

3. Horikawa T, Tamaki M, Miyawaki Y, Kamitani Y, Neural decoding of visual imagery during sleep, Science 2013 May 3; 340(6132):639-42. doi: 10.1126/science.1234330. Epub 2013 Apr 4. PMID: 23558170.

4. https://www.youtube.com/watch?v=inaH_i_TjV4&ab_channel=KamitaniLab

5. Dresler M, Koch SP, Wehrle R, Spoormaker VI, Holsboer F, Steiger A, Sämann PG, Obrig H, Czisch M. Dreamed movement elicits activation in the sensorimotor cortex, Curr Biol. 2011 Nov 8;21(21):1833-7. doi: 10.1016/j.cub.2011.09.029. Epub 2011 Oct 27. PMID: 22036177.

6. Voss U, Holzmann R., Hobson, A, Paulus W, Koppehele-Gossel, J, Klimke, A, & Nitsche MA. Induction of self awareness in dreams through frontal low current stimulation of gamma activity. Nature neuroscience, 17(6), 810-812, 2014.

7. Noreika V, Windt JM, Kern M, Valli K, Salonen T, Parkkola R, Lenggenhager B, Modulating dream experience: Noninvasive brain stimulation over the sensorimotor cortex reduces dream movement. Scientific reports, 10(1), 1-19, 2020.

8. Rahimi S, Naghibi SM, Mokhber N, Schredl M, Assadpour H, Ramezani Farkhani A, Sadjadi SA. Sophisticated evaluation of possible effect of dis-tinct auditory stimulation during REM sleep on dream content, International Journal of Dream Research, 8(2), 146-151, 2015.

9. Schredl M, Atanasova D, Hörmann K, Maurer JT, Hummel T, & Stuck BA, Information processing during sleep: the effect of olfactory stimuli on dream content and dream emotions, Journal of sleep research, 18(3), 285-290, 2009.

10. De Saint-Denys H, Les Rêves et les moyens de les diriger; Observations pratiques. (Transl.: Dream and the Ways to Direct Them: Practical Observations). Paris: Librairie d'Amyot, Éditeur, 8, Rue de la Paix.(Originally published anonymous),1867.

11. Schredl M, Hoffmann L, Sommer JU & Stuck BA, Olfactory stimulation during sleep can reactivate odor-associated imagesChemosensory Perception, 7(3), 140-146, 2014.

12. Carr M, Horowitz AH, Amores J, Maes P, Towards engineering dreams. Consciousness and Cognition, 85, 103006, 2020.

  

Figure 

Fig.1. Le tre ipotesi principali sulla funzione dei sogni. Secondo una prima ipotesi i sogni sono il risultato di riattivazioni casuali del cervello e non hanno una funzione specifica. Una seconda ipotesi è che i sogni non abbiano funzione di per sé, ma rappresentino in qualche misura il riflesso di processi che si realizzano durante il sonno e che ricoprono specifiche funzioni (ad esempio nel consolidamento delle memorie). Una terza ipotesi è che i sogni abbiano di per sé una funzione specifica. Potrebbero ad esempio rappresentare dei mondi simulati entro cui l’individuo possa fare esperienza senza esporsi a rischi reali.

 

Fig.2. Alcune particolari tecniche potrebbero in futuro aiutare la ricerca a superare le difficoltà attuali relative allo studio e la comprensione delle origini e delle funzioni dei sogni: la “lettura” dei sogni e la possibilità di modificarli. 

 

Fig.3. Anche se i sogni sono tipicamente considerati come isole di coscienza che nascono e si sviluppano indipendentemente da ciò che accade nell’ambiente esterno, sappiamo che alcuni stimoli sensoriali – come il suono di una sveglia o il rumore del traffico - possono essere incorporati nei nostri sogni, influenzandone il contenuto e lo svolgimento.

 

Fig.4. La tecnica di riattivazione mirata delle memorie (dall’inglese “targeted memory reactivation”, o TMR) prevede che uno stimolo sensoriale sia associato ad una particolare memoria durante la veglia, e sia poi ripresentato ai volontari durante il sonno per richiamare la memoria corrispondente. Secondo alcuni studi tale tecnica sarebbe in grado di influenzare il contenuto dei sogni portando all’incorporazione delle memorie riattivate.