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Scienze Naturali: c’è un futuro per il loro insegnamento? R. Corsi

 

scienze in laboratorio

Scienze Naturali: c’è un futuro per il loro insegnamento?

 

Raffaello Corsi

 

Qual è oggi lo stato di salute dell’insegnamento delle Scienze Naturali nella scuola media di secondo grado? La riduzione, in molti indirizzi di studio, del monte orario della disciplina mette a rischio la possibilità di insegnare le Scienze attraverso la pratica laboratoriale che è importante affinché l’apprendimento sia significativo e durevole. Nell’articolo si cerca perciò di suggerire alcune strategie per realizzare semplici e possibili attività sperimentali, sia in orario curricolare che extracurricolare, attraverso l’attivazione di progetti e percorsi di ricerca e di cittadinanza attiva.

 


All’origine una buona intenzione…
C’era una volta, negli anni ’60-’80 del secolo scorso, la Scuola nella quale si insegnavano le SCIENZE SPERIMENTALI; o almeno così si chiamava quella materia che veniva impartita nella nuova Scuola Media Unificata, dopo la riforma del 1962 1. Con questa dizione si indicava una disciplina alla base della quale era posto lo “sperimentalismo scientifico” ovvero la didattica attraverso l’operatività, anche semplice, ma continua e come metodo di lavoro standard perl’apprendimento dello studente. 
“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” è una massima di Confucio che tutti gli insegnanti conoscono. Ma è anche un’impostazione didattica che veniva in qualche modo recuperata nelle idee attiviste/strumentaliste di John Dewey, nella pedagogia montessoriana e ripresa ed amplificata in quegli anni ’70-’80, anche con le idee sull’”apprendimento significativo” di David Ausubel 2: egli vedeva infatti nella necessità di innestare nuove esperienze ed emozioni sulle conoscenze pregresse che uno già possiede, l’unica possibilità affinché un apprendimento diventi significativo e duraturo.
Da questa ondata di idee furono influenzate in qualche modo anche le riforme dei programmi scolastici degli anni ’80 del secolo scorso, soprattutto riguardo all’insegnamento delle discipline scientifiche: la riforma dei programmi della Scuola Media del 1979 3, la riforma dei Programmi della Scuola Elementare del 1985 4 (con relativo Piano pluriennale di aggiornamento dei docenti) ma anche i programmi delle sperimentazioni del Progetto elaborato dalla Commissione Brocca del 1988 (con l’istituzione dei Liceo Tecnologici e Scientifico-Tecnologici) 5, vedevano una notevole valorizzazione dell’insegnamento delle Scienze Naturali, Chimica e Geografia (la classe A060); basti pensare, a titolo di esempio, che anche in istituti ad indirizzo prevalentemente umanistico, come il Liceo Linguistico venivano comunque assegnate all'insegnamento di Scienze Naturali, Chimica e Scienze della Terra 12 ore settimanali per ciascun corso 6 (e, nel Liceo Socio-Psico-Pedagogico, si arrivava a 13 ore settimanali per corso).


E poi…un decremento continuo
In tutte le ultime riforme scolastiche che si sono susseguite e che hanno investito gli indirizzi della Secondaria di Secondo grado – a partire dalla Riforma Moratti-Bertagna del 2003 – le Scienze Sperimentali sono state invece sempre fortemente penalizzate. Nel tentativo di dare un assetto di riforma a quello che era effettivamente un eccesso di complessità e proliferazione degli indirizzi e dei corsi di studio all'interno della scuola media superiore, si sono realizzati esclusivamente tagli di tipo economico.
Non staremo qui a fare un confronto tra le tabelle orarie dei vecchi indirizzi di studio della Sperimentazione Brocca, rispetto a quelli delle successive riforme Moratti, Gelmini e Giannini-Renzi (quelli della “buona scuola”); ma ciò che appare subito agli occhi come costante è il regolare, continuo e inesorabile declino dell’insegnamento delle Scienze Naturali nel nostro sistema scolastico secondario. Una complessiva diminuzione del quadro orario delle cattedre di Scienze Naturali che ha investito la maggior parte degli indirizzi di studio. Ad esempio, per il Liceo Linguistico, ciò ha comportato passare da 12 ore settimanali per corso a 10 ore per corso; per il liceo delle Scienze Umane (ex Socio-Pedagogico) si è passati da 13 ore per corso/settimana a 10 ore per corso/settimana (un calo del 23%). E così via... Negli Istituti Tecnici, dove prima delle riforme si avevano 3 ore settimanali di Scienze nelle classi del primo biennio (quindi 6 ore/corso), si èpassati a 2 ore settimanali (quindi 4 ore/corso), con una riduzione del 33% del monte orario; e così pure, in molti dei nuovi Licei - come quello Economico-sociale, il liceo Musicale e Coreutico, sino al previsto liceo del “Made in Italy” - l’insegnamento delle Scienze Naturali rimane residuale, solamente ai primi due anni del I° Biennio, per 2 ore settimanali (4 ore settimanali/corso).  Questo rappresenta sicuramente un problema per i docenti, per i quali significa insegnare non più in 6 classi, ma avere ben 9 classi per formare l’orario della propria cattedra; ma ciò che risulta piùdanneggiata è la possibilità di insegnare queste stesse materie attraverso l’approccio sperimentale, che è epistemologicamente fondamentale per assicurare una qualità dell’apprendimento-insegnamento scientifico che sia significativo.

Non stiamo ovviamente parlando di quei pochi corsi specificamente vocati alla sperimentazione scientifica (come il Liceo delle Scienze Applicate), ma degli indirizzi di studio detti in precedenza. Se andiamo a leggere le Indicazioni Nazionali sui programmi di Scienze Naturali, con gli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA), ad esempio, di un istituto tecnico, vediamo che, a fronte della limitatezza dell’orario settimanale dell’insegnamento delle Scienze, si spazia in modo ambizioso su tutto lo scibile scientifico, con obiettivi ben sovradimensionati rispetto a ciò che effettivamente è possibile gestire in quel poco tempo a disposizione.
È capitato sentir sostenere, da parte di qualche dirigente scolastico e perfino da alcuni colleghi docenti di materie scientifiche, che nella fascia di età adolescenziale che corrisponde al primo biennio ed al triennio delle scuole superiori, insegnare le Scienze Naturali attraverso la pratica laboratoriale potrebbe alla fine non essere poi così importante, se non addirittura superflua; insomma sarebbe un po’ una inutile perdita di tempo. Secondo questa narrazione, i ragazzi possiedono ormai già abbastanza abilità logico-astratte per poter rielaborare ed acquisire conoscenze e informazioni in modo adeguato, anche se il docente racconta loro un’esperienza attraverso l’attività del libro di testo o se la presenta mediante un video. Non sono pochi i docenti che ritengono che un’esperienza ben narrata e raccontata con dovizia di particolari, oppure un video YouTube o Vimeo (se ne trovano di tutti i tipi) che illustra passo per passo un'attività sperimentale condotta da terzi, siano più che sufficienti a sostituire materialmente attività di laboratorio.
Niente di più falso.
Operare concretamente, manipolare provette, strumenti e materiali, eseguire fisicamente e materialmente azioni, una dopo l’altra, memorizzandone i passaggi, è certamente fondamentale. Tutto ciò, oltre che facilitare la comprensione delle attività esperienziali, rappresenta un formidabile elemento di motivazione per gli studenti, una leva per perseguire la conoscenza/competenza di fatti e fenomeni in qualunque fascia di età e persino all'Università.
In fin dei conti con gli adulti succede la stessa cosa. Oggi viviamo nell'epoca delle trasmissioni televisive e nei canali Internet che parlano di food e propongono i video delle ricette di cucina, con dovizia di spiegazioni ad ogni passaggio. Eppure, tra leggere e veder fare una ricetta di cucina da parte di altri – anche se ben spiegata e documentata in TV – ed eseguire poi direttamente e materialmente da soli, in prima persona, la realizzazione in tutte le fasi del preparato culinario, c’è una differenza abissale: quella tra conoscere e comprendere una sequenza di eventi (nel primo caso) e acquisire un’abilità operativa interiorizzandone il ricordo (nel secondo caso).   


Proviamo a rimediare qualcosa
Ed è perciò che, prendendo atto di questa realtà e tenendo conto delle limitazioni orarie e della difficoltà nel frequentare con continuità un laboratorio scientifico (spesso nelle scuole italiane troviamo un laboratorio scientifico ogni 20 o 30 classi!), proviamo a vedere come sia possibile mettere in atto comunque delle buone pratiche didattiche. Ci sono fondamentalmente due possibilità di intervenire realizzando qualcosa di significativo.
La prima è cercare di eseguire quelle esperienze, poche e semplici (anche se non si ha a disposizione un vero laboratorio), che comunque rappresentano un punto focale e ben riconoscibile nell'ambito del percorso di apprendimento che si sta portando avanti, fornendo un contributo importante alla comprensione dei concetti ad esse collegati. E per questo sarà molto utile evidenziare con gli studenti, sia la eventuale dimensione storica in cui questa esperienza ha avutocollocazione originaria e ragione d’essere, sia i nessi concettuali tra ciò che emerge dalle osservazioni sperimentali ed i punti concettuali nodali del percorso didattico che stiamo svolgendo. 


Alcuni esempi per chiarire 

saggio alla fiamma saki di Ca colore arancio     saggio alla fiamma con sali di Cu verde turchese    

• La comunissima esperienza del saggio alla fiamma, come metodo per distinguere gli elementi contenuti nelle sostanze analizzate, è certamente carina da vedersi ed accattivante; tutto ciò piacerà molto agli studenti, ma se ci fermiamo qui ricorderanno solamente che elementi chimici differenti trattati al calore emettono colori diversi caratteristici, limitandoci così alla semplice associazione osservata tra colore della fiamma ed elemento analizzato.

Insomma, da questo punto di vista l’esperienza avrà tutt'al più un valore descrittivo. Sarà utile sottolineare invece almeno la portata storica di questa pratica, con la quale gli alchimisti, ancor prima dei chimici, riuscivano a distinguere grossolanamente la composizione di alcune rocce e di alcuni minerali, semplicemente sottoponendoli ad una fiamma ad alta temperatura ed osservando la luce che veniva emanata; ed ancor più familiare diventerà la sua applicazione se la associamo a giochi di luce e fuochi d’artificio di colori diversi ottenuti semplicemente mescolando sali di elementi diversi alle polveri piriche. Se l’esperienza del saggio alla fiamma si proporrà inoltre dopo che si è parlato del modello atomico quantistico di Bohr e del salto di livello degli elettroni, allorché viene fornita energia (con emissione di onde luminose nel momento in cui gli elettroni tornano sui livelli di partenza), il saggio alla fiamma assumerà un valore ulteriore. Ovvero rappresentare un momento di concretezza e di evidenza sperimentale riguardo un argomento che viene trattato durante un percorso abbastanza complesso - quello della storia dei modelli atomici e del loro succedersi ed affinarsi in base alle evidenze sperimentali - che non è sempre facile rendere accessibile e far interiorizzare alla maggior parte degli studenti.
 Un altro esempio. L’esperienza di riconoscimento della presenza del glucosio negli alimenti (zuccheri riducenti) tramite i reattivi di Fehling o di Benedict, è certamente una semplice prova di laboratorio che, se ben collocata in un percorso di chimica organica dell’ultimo anno di liceo, può contribuire a far capire agli studenti come gli zuccheri riducenti (soprattutto aldosi, ma anche alcuni chetosi, a catena aperta) possano ossidarsi facilmente ad acidi carbossilici, riducendo lo ione rame che precipita sul fondo della provetta con un ben evidente colore “rosso mattone”, passando dallo stato di ione rameico (Cu+2) a ione rameoso (Cu+1).

presenza di glucosio nelle urine      

Ma anche in questo caso è interessante il contesto storico in cui questi saggi di laboratorio avevano una certa importanza, essendo stati per lungo tempo, gli unici test a disposizione per individuare la presenza del glucosio nelle urine e quindi per fare la diagnosi di diabete mellito. Precisiamo che il test era sensibile solamente oltre la capacità del rene di filtrare il glucosio, ovvero oltre la concentrazione ematica di 180 mg/dl. Fino a pochi decenni fa questi test erano inoltre usati, insieme alle misure con il mostimetro, anche per evidenziare la presenza di glucosio nel vino (residuo zuccherino). In presenza di uno zucchero riducente, come il ed insolubile. D-glucosio, si ha la riduzione dello ione rameico (Cu+2) a ione rameoso (Cu +1); il che determina la formazione di un precipitato, di colore che va dal giallo/arancio al rosso mattone, osservabile nelle quattro provette a destra della foto. Le prime due provette da sinistra, al contrario, mantengono il loro colore blu intenso che indica negatività alla presenza di zuccheri riducenti. (Fonte: https://laboratorioscolastico.altervista.org)

La massa biancastra e ricca di bollicine che si sta staccando verso l'alto della provetta, corrisponde al DNA estratto dal frutto del kiwi.

Banalmente, potremmo ripetere le stesse considerazioni anche per altri test analoghi molto semplici (come il test del biureto per rilevare la presenza di proteine), e in generale un po’ per tutte le esperienze di laboratorio ed osservazioni dirette, quali ad esempio:

 l’osservazione di un preparato istologico, affinché non venga scambiato per una colorata pittura astratta, ha senso unicamente nel momento in cui si sta affrontando la conoscenza di quel tessuto e gli studenti sono in grado di distinguere in esso gli elementi distintivi delle cellule osservate;

 

estrazione del DNA dal kiwi      

 l’estrazione del DNA da un materiale biologico (ad esempio da un frutto), per evitare il rischio che venga percepita solo come una serie meccanica di eventi in sequenza, assume significato solo se si sta affrontando in classe il tema della struttura della cromatina e si riesce perciò a comprendere che quelle azioni che si susseguono, altro non sono che il liberare progressivamente il DNA da ciò che gli sta intorno nella cellula (es. i grassi) e, in particolare nella cromatina del nucleo (proteine istoniche), fino al renderlo isolato ed insolubile.

Un’altra possibilità di svolgere attività laboratoriali, in indirizzi di studio a monte orario limitato, è quella di realizzare progetti didattici a carattere scientifico in orario extracurricolare (pomeridiano).

Ovviamente, dato per acclarato l’interesse del docente, per operare in questo senso sono necessari alcuni presupposti:

 la disponibilità/volontà degli studenti (o la loro incentivazione come credito scolastico) a partecipare ad attività pomeridiane extracurrricolari;
 la disponibilità del personale scolastico (ATA e tecnico) a rendere fruibile la struttura laboratoriali in orario pomeridiano;
 l’inserimento della attività nella programmazione d’istituto (cioè nel PTOF), con assegnazione di fondi e risorse destinate all’ attività stessa (non solo in denaro, ma anche personale esterno ed esperti settoriali).
Una buona occasione per realizzare percorsi laboratoriali pomeridiani è data, ad esempio, dal Piano Operativo Nazionale (PON), finanziato attraverso i Fondi Strutturali Europei, con i quali diversi istituti riescono a realizzare proposte didattiche integrative – anche a carattere scientifico – che abbiano un filo logico conduttore.
Ed è anche recentissima (Novembre 2023) la possibilità di ottenere fondi del PNRR volti a sviluppare le competenze STEM, digitali e di innovazione, e di potenziare le competenze multilinguistiche sia per gli studenti che per gli insegnanti 2 Solo a titolo di esempio, nel Liceo in cui ho insegnato per diversi anni (Linguistico e Scienze Umane) è stato proposto un PON di 20 ore pomeridiane dal titolo “Cittadini attivi per l’Ambiente”, al quale gli studenti del III° e IV° anno aderivano volontariamente. 
Il tema complessivo del percorso era quello del “monitoraggio” delle matrici ambientali (suolo, aria, acqua, biodiversità) effettuato attraverso semplici protocolli di laboratorio e mediante bioindicatori di qualità ambientale. Il percorso era supportato, durante le uscite, anche da tecnici dell’ARPAT (Agenzia regionale di protezione ambientale della Toscana), che hanno aiutato gli studenti nella raccolta dati.

biodiversitò lichenica sui tronchi degli alberi della scuola      

 Ad esempio, l’analisi della biodiversità lichenica sui tronchi degli alberi vicini alla scuola (tramite il calcolo dell’IAP - indice di purezza atmosferico) fornisce una misura piuttosto attendibile della qualità atmosferica della zona in esame. I licheni, che sono bioaccumulatori naturali, sono sensibili soprattutto alla presenza di ossidi di zolfo(SOx) e ossidi di azoto (NOx), ma anche alla presenza di inquinanti atmosferici come metalli pesanti, cloruri e radionuclidi. Si tratta di una misurazione relativamente semplice, che con piccoli strumenti che possiamo costruire insieme ai ragazzi e dopo una prima informazione sul metodo di rilevamento, gli studenti riescono a effettuare abbastanza agevolmente e correttamente in modo autonomo.

 

 

 

 

 

raaccolta invertebrati in un torrente   raccolta invertebrati in un torrente    

  Analogamente sarà possibile valutare la qualità delle acque di un fiume o di un torrente che scorre nelle vicinanze, esaminando la comunità dei macroinvertebrati che popolano quel corso d’acqua. L’operazione anche in questo caso è abbastanza semplice: con un retino passato sul letto del fiume e sollevando le pietre del fondo, si fa una raccolta di macroinvertebrati acquatici; occorre poi trasferirsi in laboratorio per esaminarli con il microscopio stereoscopico e, con delle schede guida descrittive, possiamo calcolare l’ I.B.E. (Indice Biotico Esteso), che fornisce una stima decisamente attendibile della qualità delle acque, in particolare rispetto a situazioni di alterazione ecologica e/o di inquinamento chimico del corpo idrico in oggetto. 

Due momenti della raccolta degli invertebrati acquatici in un torrente; i campioni prelevati saranno successivamente trasferiti in laboratorio, per il calcolo dell'Indice Biotico Esteso (I.B.E.).

 Ed ancora, si possono monitorare altri parametri, come i livelli di ozono atmosferico (tramite piante sensibili a questo), oppure la funzionalità ecologica della vegetazione di un bosco o delle rive di un fiume, osservando e rispondendo semplicemente a delle domande presenti su una check-list.
Formazione del personale scolastico per la transizione digitale (D.M. 66/2023). L’obiettivo, oltre ovviamente alla conoscenza dei protocolli sperimentali e delle metodiche di valutazione dei suddetti indici, è quello di far capire agli studenti/cittadini che ciascuno - effettuando delle semplici osservazioni e dei rilievi sulle matrici dell’ambiente circostante - può svolgere un ruolo attivo nel tenere d’occhio in modo piuttosto attendibile la qualità dell’ambiente in

cui vive, diventando protagonista in prima persona della conoscenza e della conservazione del proprio territorio.


Giusto per concludere...
In attesa che le scienze trovino una nuova valorizzazione dell’ambito della scuola italiana (ricordiamo che la scuola italiana risulta costantemente sotto la media OCSE relativamente alle conoscenze scientifiche), non dobbiamo lasciarci tentare da un senso di frustrazione che potrebbe sfociare istintivamente nell’adeguarsi banalmente ad un insegnamento di routine fondato sulla sola trasmissione orale accompagnata dallo studio sul libro di testo. L’invito è ovviamente quello di cercare, laddove ed ogni volta che sia possibile, di recuperare quella dimensione operativa e sperimentale che è indispensabile per garantire agli studenti, oltre ad una maggiore motivazione, almeno la capacità di capire come progrediscono i saperi nell’ambito delle Scienza, che non si tratta di una semplice disciplina descrittiva e statica, ma richiede, al contrario, una dinamica continua di acquisizione e aggiornamento delle conoscenze.

TITOLO. Scienze Naturali: c’è un futuro per il loro insegnamento?


Note

1. Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962, “Istituzione e ordinamentodella scuola media statale”.

2. Ausubel DP, Educazione e processi cognitivi, Milano, Franco Angeli Editore, 1988 (ristampa 2004).

3. Decreto M.P.I. 9 febbraio 1979 (in GU 20 febbraio 1979, n. 50), “Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola media statale”.

4. D.P.R. n. 104 del 12 febbraio 1985, “Approvazione dei nuovi programmi didattici per la scuola primaria”.

5. Proposta elaborata nel 1988 dalla Commissione presieduta dal sottosegretario all’Istruzione Beniamino Brocca, per la revisione dei Piani di Studio
della Scuola Secondaria Superiore. https://www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/bienniobrocca.pdf

6. Il calcolo delle “ore per corso” viene fatto tenendo conto delle ore scolastiche destinate ad una disciplina, durante un corso di studio, ovvero dal primo

al quinto anno di scuola. Ad esempio, nel Liceo Linguistico si avevano: 3 ore settimanali in classe I^a, 3 ore in II^a, 2 ore settimanali per ciascun

anno del triennio (III^a, IV^a e V^a). Quindi, nell’intero corso ammontava a 12 ore settimanali di Scienze.

7. PNRR, Missione 4: Istruzione e ricerca; Componente 1: Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università. Investimento 

3.1: Nuove competenze e nuovi linguaggi Azioni di potenziamento delle competenze STEM e multilinguistiche (D.M. 65/2023). Formazione 

del personale scolastico per la transizione digitale (D.M.66/2023).