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Chi ha denti non ha pane; chi ha pane non ha denti
Indicator indicator tasso del miele    

 “Chi ha denti non ha pane; chi ha pane non ha denti

 

Valentina Vitali

 

In quante occasioni ci si ritrova d’accordo con questo antico detto toscano che nasconde un pizzico di amarezza! Eppure a ben pensarci un modo per superare questo cul-de-sac esiste, come dimostrano due animali molto particolari che abitano le foreste dell’Africa: l’indicatore golanera (Indicator indicator) e il tasso del miele (Mellivora capensis). Il primo è un uccello piciforme di piccole dimensioni e poco appariscente dato che in genere non supera i 20 cm di lunghezza e i 50 g di peso e il suo piumaggio è caratterizzato da tinte scure, tra il grigio e il verde oliva; le zampe sono corte e dotate di potenti unghie, come molti arboricoli, e il becco è corto. Sono le abitudini alimentari ad essere però davvero strane poiché questi uccelli si nutrono anche di larve e pupe di api selvatiche ma sono soprattutto ghiotti della cera con cui gli operosi insetti costruiscono i propri favi, che riescono sorprendentemente a digerire e dalla quale ottengono molte sostanze nutritive e i lipidi con cui formare preziose riserve energetiche. Nonostante siano abilissimi nel localizzare i favi, probabilmente grazie al sensibile olfatto, gli indicatori non riescono comunque ad ottenere il ricco alimento perché le api costruiscono i propri nidi ben protetti dentro a cavità degli alberi e le attente guardiane che li sorvegliano non lasciano avvicinare nessuno; inoltre le specie mellifere africane sono tendenzialmente più irritabili delle europee e una loro legittima reazione di difesa agli attacchi del golanera potrebbe anche costare la vita al piccolo uccello. È per superare questo ostacolo apparentemente invalicabile che gli indicatori hanno rivolto la propria attenzione ai tassi del miele, diffusi in Africa, Medio Oriente e India. Questi mustelidi di discrete dimensioni (circa 1 m di lunghezza coda compresa e un peso che normalmente non supera i 15 kg), in genere solitari e schivi, sono sorprendentemente resistenti e reagiscono con coraggio e forza a qualsiasi attacco, anche se sferrato da leopardi, leoni e iene, riuscendo in molti casi a sopravvivere. Una ricerca del Dipartimento di Zoologia di Washington (A possible case of mimicry in larger mammals, 1975) avanza addirittura l’ipotesi che i cuccioli di ghepardo, non ancora in grado di difendersi efficacemente, imitino i tassi del miele per scoraggiare gli attacchi di leoni, iene e leopardi (mimetismo batesiano); in effetti la particolare macchia di pelliccia chiara che caratterizza il dorso dei cuccioli è molto somigliante alla striscia biancastra presente sempre sul dorso dei mustelidi. Se questo non fosse sufficiente per comprenderne la resistenza si può considerare che il tasso del miele è addirittura in grado di predare serpenti velenosi come il mamba (specie arborea africana dotata di una neurotossina spesso mortale per l’uomo) o i cobra (alcune specie sono caratterizzate dalla cobratossina). L’immunità a potenti veleni si deve a speciali recettori nicotinici (Why the honey badger don't care: Convergent evolution of venom-targeted nicotinic acetylcholine receptors in mammals that survive venomous snake bites, 2015) non più in grado, per effetto di mutazioni amminoacidiche relative ai siti di legame, di legare le neurotossine dei serpenti che risultano di conseguenza inefficaci. Allo stesso modo neppure le punture delle api africane danneggiano i tassi del miele che quindi attaccano senza timori i favi per mangiare il miele di cui, come suggerisce il nome, sono golosi; per loro la difficoltà è trovare i nidi. La situazione esattamente opposta agli indicatori. La soluzione? Stabilire un’alleanza. L’uccello si posa su un ramo vicino al mustelide, si assicura di attirarne l’attenzione grazie a richiami ripetuti e caratteristici e inizia a volare con brevi picchiate in direzione del favo, posandosi più volte e mostrando le penne caudali (più chiare) affinchè l’aiutante non lo perda di vista; arrivato al bottino alimentare emette un nuovo caratteristico richiamo e aspetta che il tasso vinca le api e mangi il miele per ottenere finalmente la cera e le larve. Questa cooperazione, dove si uniscono abilità complementari di specie diverse per raggiungere un fine comune, è già peculiare ma è stata probabilmente il modello di un’altra ancora più sorprendente. Gli indicatori hanno infatti compreso che potevano trovare un alleato sempre interessato a dividere la risorsa alimentare ma più efficiente nelle popolazioni umane che abitano le stesse foreste dell’Africa. In questa relazione però non è solamente l’uccello a comunicare attraverso l’emissione di particolari suoni: anche i cacciatori di miele hanno un segnale acustico per avvisare di essere pronti ad iniziare la ricerca a cui l’uccello accorre prontamente. Un’indagine condotta dalla Cambridge University nella Niassa National Reserve in Mozambico ha dimostrato scientificamente che utilizzando il segnale acustico la probabilità di essere guidati da un indicatore passa dal 33% al 66% (quindi realmente gli uccelli hanno appreso il significato del richiamo) e il successo del ritrovamento del favo aumenta dal 17% al 54%. Inoltre si è testato che emettendo nella foresta il segnale acustico, altri suoni casuali e richiami utilizzati dalle tribù ma a scopi diversi gli indicatori si presentano in risposta al suono corretto con una frequenza doppia rispetto agli altri due casi. Un elemento rende ancora più strana questa collaborazione: gli indicatori sono dei parassiti di cova quindi depongono le proprie uova in nidi altrui. È quindi impossibile che il comportamento collaborativo con le tribù umane sia trasmesso culturalmente dai genitori, deve trattarsi di un comportamento innato, di una coevoluzione ereditabile geneticamente. Eppure i segnali acustici umani non sono standard ma personalizzati da ciascuna tribù: i cacciatori-raccoglitori Hadza della Tanzania ad esempio utilizzano un fischio melodico, gli Yao del Mozambico un trillo unito ad un suono gutturale. Si tratta quindi di veri e propri dialetti, trasmessi culturalmente nelle comunità umane dagli anziani ai giovani, che gli indicatori golanera riconoscono poiché sono reattivi 2 o 3 volte di più al proprio dialetto rispetto ai segnali di altre tribù.

Come può avvenire questo apprendimento culturale? Sono tuttora in corso le ricerche scientifiche, sempre condotte dall’Università di Cambridge, che tentano di svelare i misteri racchiusi in questa ancestrale collaborazione che intanto evidenzia con grande chiarezza un concetto fondamentale: è dalle alleanze tra specie diverse e non dai conflitti che si ottengono preziosi vantaggi.