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Minacce in alto mare 6. Inquinamento luminoso, acustico ed elettromagnetico

 

Minacce in alto mare 6. Inquinamento luminoso, acustico ed elettromagnetico

 

Eleonora Polo1

 

Finora abbiamo visto minacce che in qualche modo coinvolgono la materia, ma ci sono altri tipi di inquinamento dovuti soprattutto alle onde… però non quelle del mare.

 

Nemici più o meno invisibili

Anche se questo tipo di inquinamento è apparentemente immateriale, va tenuto sotto controllo pur non essendo così devastante come la radioattività. Per noi umani, oltre una certa soglia, possono sorgere problemi con queste emissioni, ma per le specie marine gli effetti sono molto più gravi e possono mettere in pericolo la loro stessa esistenza.

 

1. L’inquinamento luminoso minaccia la vita marina

Il nostro mondo sta diventando sempre più elettrificato e a causa dell’illuminazione artificiale ogni anno la Terra diventa sempre più luminosa. Si stima che circa l’80% del cielo del pianeta sia inquinato dalla luce artificiale, che aumenta del 6% ogni anno. Nelle zone costiere ci sono almeno 3.351 città che illuminano le spiagge e le aree sublitorali. In Asia, 18 delle 20 metropoli più grandi si trovano sulla costa, sulle rive o nel delta di un fiume. Secondo l’agenzia AdnKronos l’Italia (Fig.1) sarebbe, assieme alla Corea del Sud, la nazione dei G20 con il territorio più inquinato dalla luce artificiale, tanto che ormai nessuna località può godere della vista di un cielo notturno incontaminato e più di 3/4 degli italiani non possono vedere la Via Lattea nel luogo in cui abitano.

illuminazione notturna

Il laboratorio di Scienze Marine di Plymouth ha pubblicato nel 2023 un atlante2 che riporta le mappe e i dati dell’inquinamento luminoso in tutto il mondo. In particolare, la potenza della luce artificiale notturna sulla superficie marina risulta almeno sei volte superiore3 a quella della luce lunare in sette città costiere con più di 10 milioni di abitanti (Tokyo, Shanghai, Mumbai, New York, Buenos Aires, Lagos e Los Angeles), con la sola eccezione dei primi tre giorni delle lune piene più luminose.

Tali ricerche hanno confermato quanto questo tipo di inquinamento sia diffuso e in espansione. Purtroppo la differenza tra l’intensità e i cicli di luce naturale e innaturale è stata finora sottovalutata in ambito non scientifico, anche se gli esperti studiano da oltre un secolo l’inquinamento da ALAN (Artificial Lighting at Night). Quantificare questo fenomeno consentirebbe una comprensione migliore dell’impatto delle coste urbanizzate sull’ecologia degli ecosistemi marini.

 

1.1 La luce è vita

L’illuminazione delle città permette il proseguimento delle attività nelle ore notturne, ma al prezzo di dover rinunciare alla visione delle stelle. Ma questo è forse il problema minore, perché la luce artificiale notturna è una delle maggiori forme di inquinamento antropogenico e influenza un’ampia gamma di processi biotici nelle specie acquatiche: fisiologia, comportamento, movimenti degli animali, interazione fra le specie, struttura della comunità e riproduzione.

La luce è un fattore-chiave strutturante degli ecosistemi marini; le sue fonti naturali sono il sole, la luna (una luna piena è circa 6 ordini di grandezza più debole della luce del sole), le stelle (con una luminosità 100 milioni di volte più fioca di quella solare e di colore più rosso) e la bioluminescenza dovuta a reazioni biochimiche endogene negli organismi (produce soprattutto luce blu o verde). Tuttavia, l’acqua altera, attenua o blocca il percorso della luce in modo molto più efficace rispetto all’aria, provocando differenze d’intensità e lunghezze d’onda. La sua potenza si attenua verticalmente di circa 1,5 ordini di grandezza ogni 100m di profondità, per cui la componente più brillante ? quella solare ? è disponibile solo nella zona fotica (<200m) e raggiunge i livelli di intensità della luce stellare a 600-700m di profondità, mentre sotto i 1.000m resta solo la bioluminescenza.

Per questo motivo i sistemi visivi e il comportamento di molti organismi marini si sono adattati nel corso di milioni di anni alle caratteristiche del loro habitat e dipendono non solo dalla disposizione spaziale della luce, ma anche dal suo modello temporale, perché molte specie regolano gli eventi chiave della loro esistenza in funzione dei cicli solari e lunari. Considerata la dipendenza dalla vista e i relativi adattamenti comportamentali, fisiologici ed ecologici alla luce, è probabile che le perturbazioni dell’ambiente visivo marino abbiano conseguenze importanti. «In che punto della colonna d’acqua stare, quando accoppiarsi, quando svilupparsi: tutto questo è regolato dalla luce. Si tratta di uno dei più antichi stimoli per la vita, ma negli ultimi 100 anni l’uomo ha usato anche quella artificiale, e questo sugli animali ha avuto conseguenze di cui non ci rendiamo ancora bene conto» afferma Geir Johnsen, biologo all’Università norvegese di Scienza e Tecnologia.

 

1.2 Naturale vs artificiale

Le modalità di illuminazione delle fonti naturali e artificiali sono sostanzialmente differenti, perché le prime seguono l’alternanza di giorno e notte del sole e i cicli notturni stagionali delle fasi della Luna e dei suoi cicli di crescita, declino ed elevazione nel cielo. Invece, le sorgenti artificiali hanno una posizione fissa e brillano con la stessa intensità durante tutta la notte e per tutto l’anno. La ricerca scientifica ha dimostrato che l’inquinamento luminoso può arrivare a mascherare il ciclo naturale della Luna e danneggiare i ritmi vitali degli organismi costieri, alterandone le funzioni corporee e riducendo il successo riproduttivo dei pesci. Diverse specie di coralli rilasciano simultaneamente le loro cellule riproduttive sulla base del ciclo lunare e anche i processi-chiave che li tengono in vita, come la simbiosi con le zooxantelle, possono essere alterati dall’illuminazione artificiale.

Inoltre, la composizione spettrale della luce artificiale che illumina gli habitat dei fondali marini può disturbare i processi ecologici guidati dalla vista. I predatori che di solito si nutrono di giorno, come il gabbiano reale, potrebbero essere in grado di vedere anche di notte prede come le lumache marine. La sopravvivenza delle tartarughe appena nate dipende dalla velocità con cui riescono a raggiungere l’acqua non appena uscite dall’uovo. Fonti di luci esterne ? perfino un semplice falò sulla spiaggia ? possono deviarne il percorso rendendole vulnerabili ai predatori.

Ci sono specie molto sensibili anche a bassi livelli di luce: la migrazione quotidiana dello zooplancton, che costituisce una parte fondamentale della catena alimentare marina, può essere interrotta dalla luce artificiale. Ricerche nell’Artico hanno osservato che queste specie tendono a immergersi a profondità di almeno 200 metri rispetto alle luci di lavoro di una nave o di una piattaforma offshore.

 

1.3 Che fare?

I ricercatori affermano che l’impatto di questo tipo di inquinamento sugli ecosistemi marini è difficile da valutare rispetto ad altri inquinanti, poiché a grandi profondità l’intensità della luce è così bassa che è difficile misurarla in modo affidabile con le strumentazioni attuali e lo spettro e l’entità della radiazione luminosa non sono costanti in questi ambienti. È necessario però affrontare questa sfida per comprenderne appieno l’impatto ecologico e fornire ai pianificatori urbani le informazioni necessarie per trovare un ragionevole equilibrio fra lo sviluppo delle città costiere e la protezione degli ecosistemi marini.

Inoltre bisogna tenere conto anche dei cambiamenti nella composizione spettrale introdotta nell’illuminazione artificiale dall’uso sempre più diffuso dei LED la cui componente blu può addirittura raggiungere i fondali, a differenza delle luci rosse e arancione.

La fauna marina potrebbe non essere sicura nemmeno oltre la costa, perché gli impianti eolici, petroliferi e di gas offshore sono altre potenti fonti di luce, e quindi di inquinamento, in cui possono imbattersi.

Sebbene la maggior parte del futuro aumento della luce artificiale dipenderà dalle popolazioni residenti permanenti, anche la globalizzazione economica giocherà un ruolo importante. Nel 2013, l’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite ha registrato a livello mondiale il superamento della soglia di un miliardo di turisti che potrebbero quasi raddoppiare nel giro di dieci anni. Non possono più essere ignorate la crescita economica e la pressione sullo sviluppo (molto spesso costiero) di nuove infrastrutture di supporto sulla spinta del turismo internazionale. L’Unione Europea, avendo rilevato che livelli di illuminazione nei paesi industrializzati sono decuplicati negli ultimi 50 anni, sta cercando di affrontare questo problema nell’ambito della sua strategia sulla biodiversità per il 2030. Nel febbraio 2020, anche le Nazioni Unite hanno adottato linee guida sull’inquinamento luminoso attraverso la Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici di animali selvatici, riconoscendo che si tratta di un problema emergente sia per la conservazione della fauna selvatica che per la salute umana.

Ma non basta, è indispensabile coinvolgere i cittadini e informarli per aumentare la consapevolezza attraverso i media e l’uso di applicazioni che misurino l’inquinamento luminoso artificiale. Il tempo stringe e se limitiamo questo tipo di contaminazione ci guadagniamo in salute anche noi umani.

 

2. Rumore, rumore, rumore

L’inquinamento acustico dell’oceano è una minaccia agli habitat marini che si somma alle altre che abbiamo già trattato. È un problema molto serio perché le onde sonore viaggiano più velocemente nell’acqua che nell’aria e coprono distanze maggiori. La vita marina è estremamente sensibile ai suoni, anche a quelli a bassa frequenza, che difficilmente gli umani riescono a percepire. Molti mammiferi, come balene e delfini, non hanno una vista acuta e si relazionano all’ambiente circostante e ai loro simili utilizzando i suoni (ecolocalizzazione) per chiamarsi e riconoscersi, in particolare nel periodo riproduttivo, o per segnalare situazioni di pericolo e individuare ostacoli.

Di conseguenza il rumore e le vibrazioni prodotte dalle attività umane in mare possono interferire con la vita animale producendo alterazioni del comportamento, diminuendo la capacità riproduttiva o inducendo l’allontanamento da determinate aree, con gravi implicazioni ecologiche. Ne è prova il fatto che, durante la pandemia Covid 19, quando il traffico di navi da pesca, cargo, portacontainer e navi da crociera è stato forzatamente limitato, i mari e gli oceani sono ritornati indietro di 150 anni dal punto di vista sonoro. Molti mammiferi marini sono tornati ai loro habitat originari, alcune popolazioni ittiche hanno prosperato grazie alla riduzione della pesca e le barriere coralline hanno ripreso vita. Questi due anni hanno portato con sé una lezione importante: solo se gli esseri umani limitano i propri consumi e gli sprechi, riducono i bisogni e le richieste non necessarie possono trovare un equilibrio fra la modernizzazione dei progressi tecnologici e la conservazione della natura.

 

2.1 C’è rumore e rumore

Il rumore non è tutto uguale e non si tratta solo di volume, ma anche di variabilità nei tempi e nella forma dell’onda sonora e, soprattutto, della frequenza che è suddivisa in tre bande: bassa (10-500 Hz), media (500 Hz-25 kHz) e alta (>25 kHz) che viaggiano in modo differente in acqua. Infatti le basse frequenze subiscono attenuazioni minime e si propagano a lungo raggio fino a coprire un intero bacino oceanico, mentre le medie non vanno oltre qualche decina di chilometri e quelle alte sono così attenuate che restano confinate in un’area ancora più limitata. Le attività antropiche operano in tutte e tre le bande con effetti differenti sugli organismi acquatici.

 

2.2 Le fonti

 

fonti di rumore  

Il rumore nell’oceano è il risultato di fattori naturali e di fonti antropiche. Quelle naturali includono processi come i terremoti, il moto delle onde spinte dal vento o che si frangono contro gli scogli, le precipitazioni, la generazione di suoni di origine biologica e l’agitazione termica dell’acqua, dovuta al movimento browniano delle molecole d’acqua, che domina le frequenze sopra i 60 kHz.

Il rumore antropogenico è generato da molte fonti (Fig.2): navigazione commerciale; esplorazione, sviluppo e produzione di petrolio e gas (sistemi ad aria compressa, navi di supporto, trivellazione petrolifera); operazioni navali (sonar militari, comunicazioni ed esplosioni); parchi eolici offshore; pesca (sonar, deterrenti acustici e dispositivi di dissuasione); ricerca (esplorazione sismica dei fondali, sonar con ecoscandaglio, telemetria, comunicazione e navigazione) e altre attività come cantieri edilizi e portuali sulle coste, i rompighiaccio, la nautica da diporto e i voli a bassa quota sulle acque. Il suono prodotto può essere intenzionale (esplosioni, esplorazione sismica, attività militari, sonar e dispositivi di deterrenza acustica, perforazioni, installazioni di infrastrutture) oppure un sottoprodotto di varie attività marittime e industriali.

 

Il rumore di origine antropica sta diventando sempre più pervasivo e potente perché innalza i livelli del suono di fondo e può produrre anche picchi di forte intensità. Negli ultimi decenni il contributo del trasporto marittimo al rumore ambientale è aumentato fino a 12 dB, in concomitanza con un aumento significativo del numero e delle dimensioni delle navi che compongono la flotta commerciale mondiale, che si è triplicata negli ultimi 50 anni.

 

2.3 Che cosa possiamo fare?

L’inquinamento acustico marino è un problema serio che richiede un’azione urgente. Si possono adottare varie misure per ridurlo. La prima è stabilire limiti più rigorosi per il rumore prodotto dalle attività umane in mare, come il traffico marittimo, l’esplorazione petrolifera e le attività militari. La ricerca tecnologica può contribuire con lo sviluppo di tecnologie più silenziose. È anche necessario aumentare le aree protette, perché è assurdo che, benché la superficie degli oceani sia il doppio di quella delle terre emerse, l’estensione delle aree marine protette sia la metà di quelle terrestri. Semmai dovrebbe essere il contrario.

Qualcosa si sta muovendo anche a livello istituzionale. Già nel 2008, la Comunità Europea, con la direttiva n.56 del 17 giugno 2008 (Marine Strategy Framework Directive4), rivista poi nel 2017, ha istituito un quadro normativo per proteggere in modo più efficace l’ambiente marino in tutta Europa.

A fine novembre 2022, la Commissione Europea ha adottato un provvedimento importante per introdurre, per la prima volta a livello globale, limiti all’inquinamento acustico basati su evidenze scientifiche, fissando i livelli massimi accettabili per il rumore impulsivo e continuo. Secondo i nuovi parametri, in un anno non può essere esposto a rumore sottomarino continuo più del 20% di una data area marina, mentre in un singolo giorno non oltre il 20% di un habitat marino può essere esposto a rumore impulsivo e questo non può verificarsi per più del 10% in un anno.

Qualcosa si sta finalmente muovendo.

 

3. Inquinamento elettromagnetico.

inquinamento elettromagnetico  

Gli oceani sono solcati da una rete impressionante di cavi sottomarini e infrastrutture che producono invisibili campi elettromagnetici che causano danni alle specie marine che sono ancora più sensibili di noi a questo tipo di onde. Dalla fisica sappiamo che un filo conduttore percorso da una corrente elettrica costante genera un campo magnetico5, quindi possiamo immaginare quello che creano tutti i cavi e le installazioni offshore. Per il solo trasporto del segnale internet sono attualmente in uso 600 cavi sottomarini per una percorrenza di un milione e mezzo di chilometri6 (Fig. 3), ma c’è molto di più.

 

3.1 Le fonti

Tutte le reti elettriche e le infrastrutture di comunicazione (cavi sottomarini ad alta tensione, torri eoliche offshore e antenne per la telefonia mobile) contribuiscono alla produzione di campi elettromagnetici nell’ambiente marino. L’estrazione di petrolio e gas, le attività di dragaggio e altre operazioni industriali generano un rumore elettromagnetico ad alta frequenza. Anche il traffico marittimo, con il ronzio costante dei motori e l’utilizzo di sistemi di comunicazione satellitare, porta un contributo importante.

3.2 L’impatto sulla fauna marina

Questi campi elettromagnetici artificiali possono interferire con i sistemi di orientamento a breve e lungo raggio di cui sono dotate diverse specie marine che possiedono una sorta di bussola interna. Ne risentono il comportamento alimentare, i movimenti migratori, la riproduzione e la caccia. L’esposizione prolungata a campi elettromagnetici intensi può causare stress, alterazioni del sistema immunitario e persino danni a livello cellulare negli organismi marini. Si possono verificare modifiche negli ecosistemi e perdita di habitat dovute all’alterazione dei percorsi migratori o all’abbandono di aree con elevati livelli di inquinamento elettromagnetico.

3.3 Come possiamo rimediare?

Valgono le stesse considerazioni già fatte per l’inquinamento acustico, cioè bisogna agire a livello di tecnologia, legislazione, protezione delle aree più delicate e sensibilizzazione dei cittadini.

Le nostre abitudini di vita e di consumo devono essere riviste, perché siamo in tanti, in aumento numerico, in un pianeta che è limitato e delicato. «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un matto oppure un economista» Kenneth E. Boulding7.

 

Bibliografia

  1. E. Polo, L’isola che non c’è. La plastica negli oceani fra mito e realtà, Edizioni Dedalo, Bari 2020

  2. L.F.B. Marangoni, T. Davies, T. Smyth et al., Impacts of artificial light at night in marine ecosystems, Global Change Biology, 2022, 28 (18) 5346-53672, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/gcb.16264

  3. J.A. Hildebrand, Anthropogenic and natural sources of ambient noise in the ocean, Mar. Ecol. Prog. Ser., 2009 (395) 5–20, https://www.int-res.com/articles/theme/m395p005.pdf

  4. SEER, Electromagnetic Field Effects on Marine Life, Report by National Renewable Energy Laboratory and Pacific Northwest National Laboratory for the U.S. Department of Energy, Wind Energy Technologies Office 2022, https://tethys.pnnl.gov/seer

  5. A.B. Gill, M. Desender, Risk to animals from electromagnetic fields emitted by electric cables and marine renewable energy devices, in 2020 State of the Science Report, Cap. 5, pp. 86-103

1 Ricercatrice CNR (ISOF) e docente dei corsi di Chimica Metallorganica e di Didattica della Chimica presso l’Università di Ferrara

2 T.J. Smyth, A.E. Wright, D. McKee, S. Tidau et al., A global atlas of artificial light at night under the sea, Elementa: Science of the Anthropocene, 2021, 9(1). https://doi.org/10.1525/elementa.2021.00049

3 T.J. Smyth, A.E. Wright, A. Edwards-Jones, D. McKee et al., Disruption of marine habitats by artificial light at night from global coastal megacities, Elementa: Science of the Anthropocene, 2022, 10(1). https://doi.org/10.1525/elementa.2022.00042

4 https://environment.ec.europa.eu/topics/marine-environment_en

5 Un fenomeno scoperto dal fisico danese Hans Christian Ørsted e quantificato nel 1820 dai fisici francesi Jean-Baptiste Biot e Félix Savart

6 fonte: Submarine Cable Map, https://www.submarinecablemap.com

7 (1910–1993) Economista, pacifista e poeta inglese naturalizzato statunitense