DALL’UMANITA’ IN POI
un libro spartiacque che sollecita una riflessione più ampia sulla filosofia della scienza.
recensione di Piero Sammartino
Un libro di fantascienza contiene sempre tante nozioni e teorie propriamente scientifiche. Di solito il lettore appassionato riconosce facilmente il confine fra le teorie e le nozioni valide per la scienza e quelle meno affidabili tipiche di quel genere letterario del mondo della fantascienza. In questo libro la capacità di discernimento del lettore è messa a dura prova fin dall’inizio. Inconsueta anche la corposa e interessantissima introduzione di Silvano Tagliagambe, forse meno noto al pubblico della fantascienza, ma oggetto di grande ammirazione se non di venerazione per il pubbico affezionato alle tematiche di storia e filosofia della scienza. Insomma questo libro di Fabrizio Giacomellli non è esattamente un libro di fantascienza. E non sarebbe corretto parlare di distopia, perché, almeno in parte, prospetta un futuro meno cupo e più desiderabile di quanto molti futurologi vanno predicendo.
Per chi ha studiato la storia delle origini della scienza moderna sui testi di Koyré è sorprendente l’attenzione che viene data alla parola Cosmo e alla parola ordine (sua traduzione italiana). In un suo celebre saggio (All’alba della scienza classica) Koyré enuncia le condizioni affinché potesse essere enunciato il Principio d’inerzia che egli stesso attribuisce a Cartesio invece che a Galileo come farà poi Newton. Ma la concezione dello spazio di Galileo è ancora un retaggio dell’antichità e precisamente di Archimede, che pensa ai corpi che cadono naturalmente dall’alto in basso senza bisogno di alcuna forza che li sospinga mentre il moto dei proietti è ancora lontano da una spiegazione convincente. Le condizioni enunciate da Koyré per la realizzazione della rivoluzione scientifica e quindi per le origini della scienza moderna sono
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La geometrizzazione euclidea dello spazio 2) L’abolizione del Cosmo.
E invece nel romanzo di Giacomelli il Cosmo e il suo ordine riprendono un ruolo centrale nello svolgimento di una nuova rivoluzione scientifica che si immagina aver luogo a cominciare da un evento apocalittico accaduto nell’anno 2077, a partire dal quale si conteranno gli anni della nuova era rinumerando quelli precedenti con un segno negativo.
L’ordine esterno al soggetto senziente, sia umano che animale o vegetale, è essenziale alla misurazione della sua intelligenza, che non è altro che la capacità del soggetto di introiettare l’ordine esterno con la formazione di isoconcetti che lo guidano alla comprensione e alla trasformazione della realtà esterna. L’autore ricostruisce una linea del tempo a partire dal Big-Bang, che è il primo atto del passaggio verso l’ordine. E’ noto che Einstein non caldeggiava l’ipotesi del Big-Bang quando ancora non c’erano abbastanza prove e in proposito circolano vari aneddoti. A chi gli chiedeva come giustificasse la sua avversione a quella importante ipotesi sembra che abbia risposto: “Assomiglia troppo alla creazione”. Sempre Einstein, soprattutto, fu responsabile della confutazione della teoria dell’etere ipotizzato come mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche. Mezzo sottile e impalpabile che giustificherebbe fenomeni ottici come l’interferenza. Con la teoria della relatività tutti i fenomeni ottici ed elettromagnetici trovano la loro spiegazione senza ricorrere all’etere. Nelle teorie esposte in questo libro non si concede alcuno spazio al creazionismo biblico ma si accredita un’ipotesi di autopoiesi che ricorre alla presenza diffusa di un campo sottile che spinge le parti alla organizzazione della materia e del vivente in un tutto.
Il racconto dei cambiamenti di paradigma attraverso fasi progressivamente sempre più sconvolgenti avviene con i discorsi di due categorie di nuovi intellettuali risorti dopo l’evento apocalittico che ha coinvolto indistintamente tutti gli abitanti della Terra. Sono i Condivisi (ingegneri sistemici) e i Maestri (estetici) che nei loro congressi ordinari e straordinari ascoltano gli interventi di alcuni tra i più prestigiosi ricercatori nel loro campo. Ma alla fine sarà un sistema artificiale a concludere tutti i discorsi da una prospettiva interdetta agli umani.
Più che un racconto quello di Giacomelli è una esposizione di un sistema filosofico o fanta-filosofico che introduce definizioni e procedure verosimili per il lettore che adempia la prima condizione per affrontare un’opera letteraria intrisa di poesia: la sospensione dell’incredulità. Una condizione certamente necessaria per accettare la conversione dei Magnati, i ricchissimi percettori di super-redditi che rinunciano ai loro guadagni per non incorrere nel severo giudizio dell’opinione pubblica contribuendo persino al salvataggio della democrazia. Ma se invece poi fosse vero?
Il fatto è che riconoscere la linea di confine fra il vero e il verosimile non sempre è agevole. Si parla ad un certo punto di tutte le precedenti rivoluzioni scientifiche (dopo la copernicana) e si citano nell’ordine Darwin, Freud, Einstein e Werker, ma per capire chi sia Werker è utile far ricorso a Wikipedia per accertarsi che lui era l’intruso.
Interminabile poi l’elenco dei filosofi, letterati e scienziati citati nelle epigrafi e nel testo. Ma anche quando non sono citati fanno capolino nomi allusivi o se ne percepisce la presenza attraverso le loro ombre. E’ il caso di Anassimandro che deve aver guidato nella scelta del nome Apeiron per un avanzato sistema di Intelligenza Artificiale o il caso di Bergson che sta per certo dietro i tanti ricorsi all’intuito/intuizione e di cui viene ripresa la formula dello slancio vitale come un campo onnipresente che spinge all’organizzazione del semplice nel complesso aspirando alla bellezza.
La vita è bella, si capisce, ma perché i tramonti sono belli? Un orologio è bello se funziona bene ma non solo. Allora è lecito il dubbio dell’orologiaio che nega la possibilità che un orologio sia ben funzionante per caso senza il progetto di un costruttore.
La probabilità che casualmente si generi la vita è pari a zero. Come la probabilità che lanciando in aria un mazzo di carte e raccogliendole poi casualmente si ricomponga quel mazzo conservandone l’originale ordinamento.
Quindi non si dovrebbe mai assistere alla generazione spontanea della vita. Eppure questo sembra essere ammesso tranquillamente da chi si rifugia nell’azione prodigiosa del tempo. Ma zero è zero e neanche un tempo infinito basterebbe a generare vita, a meno che non ci sia un’altra causa fino a ora ignorata. Sarebbe improbabile che gli aminoacidi in una determinata sequenza si unissero in una catena proteica al solo scoccare di una scintilla, se non ci fosse una concomitante spinta verso l’ordine cosmico. Si può ipotizzare l’essenza sottile ma onnipresente di un campo morfogenetico oppure autopoietico che realizza il miracolo della vita altrimenti del tutto improbabile. Senza disconoscere i meriti di Darwin si può valorizzare il pensiero di Spinoza e perfino l’intuizionismo di Bergson nella sua anomala Evoluzione Creatrice.
Non si cita mai esplicitamente Spinoza, ma, chi altri potrebbe essere l’ispiratore di un trattato (more geometrico) sulla intelligenza della natura nel cui ordine si riconosce un’aspirazione universale al bello?
Si cita più volte Gödel e si replicano i suoi due teoremi che vengono confermati e ampliati in un contesto dimensionalmente più ampio e profondo, la cui trama di fondo è sottesa in tutta l’opera e che ribadisce la impossibilità di coerenza e completezza di qualsiasi sistema filosofico o assiomatico che non ricorra a risorse esterne ad esso. E proprio attraverso Gödel si risale alla fonte - Wittgenstein - che riconosce nella logica la guida verso la realtà e definisce il mondo come la totalità dei fatti e non delle cose attribuendo alle proposizioni il ruolo di primo piano che loro compete – in quanto fatti – nel corso dell’intera opera, una fonte omessa ma onnipresente.
Non si cita Leibniz ma si parla di una monade che vive senza saperlo in un’immensa voliera finchè non si accorge che proprio l’elemento che rende possibile la vita sulla Terra è anche il limite ultimo delle sue possibilità. Nei discorsi di quegli scienziati e artisti spira un’aura impercettibile di totalitarismo elitario, appena temperato dalla stravaganza di alcuni e dall’umanità di altri, mentre ovunque traspare una dominanza degli adulti che lascia posto a inquietanti domande sulla sorte dei bambini, dopo l’apocalisse del 2077. Eppure da un passaggio apparentemente casuale si desume che ce l’hanno fatta anche i bambini, che come sempre rivelano la loro saggezza e autenticità. I bambini preferiscono nel gioco i cani naturali a quelli sintetici che però non sfuggono al giudizio degli adulti in quanto incapaci di esprimere nel loro sguardo il senso di colpa, che - come ben sa un padrone di cane – è sempre la spia di qualche delitto o reato appena commesso.
L’eco di Pierre Duhem e di Hugo Dingler arriva in quel capitolo ove si raffronta l’attrazione gravitazionale alla forza coulombiana e lascia molti discorsi aperti sulla coincidenza socratica del bello e del buono o dell’intelligente e del necessario.
Anche Epicuro, che il mondo a caso non pone, rivela la sua presenza in una sorta di Klinamen di cui però non si parla esplicitamente e si preferisce attribuire a un tal Godimov la paternità di un principio trasgressivo che, come il Klinamen anima la generazione dei corpi sfuggendo alla regola del moto uniforme nella caduta libera degli atomi nel mondo di Archimede, così nell’opera degli Eptasistemi la regola di Godimov consente il raggiungimento delle vette più alte della composizione dell’armonia musicale.
E Dewey? Non ci può essere, forse, anche lui dietro l’introiezione dell’ordine esterno a ricalco dei suoi processi di assimilazione e accomodamento? E della permanenza in vita come sequenza di equilibri e disequilibri.
Non poteva mancare Popper. La conferma di una congettura è corroborata con 1 e l’insuccesso (o confutazione) la contraddice con lo zero. Il falsificazionismo sostiene il meccanismo della costruzione scientifica attraverso il supporto in ingresso e in uscita di ogni nuovo concetto.
Di Dante si avverte la presenza diffusa, fino a quando non diventa esplicita verso la fine nell’auspicio di Ugolini di essere ormai fuori – alle spalle - da quella selva oscura, che, come bene ci ricordava Umberto Eco, è anch’essa – come il bosco di Eliot – il luogo privilegiato del racconto. Ma poi tutto l’impianto del racconto sembra risentire di una architettura dantesca e di un sistema tomistico che imprime solennità agli enunciati. Non a caso proprio Tommaso d’Aquino viene citato in una prolusione accanto al divino Platone.
Epperò, diversamente da Tommaso e da Platone e da Aristotele fino a Bergson, in questo lavoro, presentato come un romanzo, la filosofia enunciata è compatibile col linguaggio e le idee della scienza moderna e contemporanea, forse anche della scienza futura che si è appena iniziata a delineare con le recenti applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Staremo a vedere se è vero.
Piero Sammartino