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Draghi
 Finalmente il ponderoso rapporto elaborato da Mario Draghi su richiesta del Governo dell'Europa è in circolazione e viene discusso dai giornali, dai politici e da tutti gli interessati all'Europa nel mondo. Draghi ha esaminato attentamente ogni aspetto che ha ritenuto importante per riuscire a valutare la politica europea di questi anni in un mondo in piena evoluzione.
Il giudizio complessivo non è tale da poter sperare in un ruolo di primo piano dell'Europa sia per quanto riguarda l'economia, la tecnologia, la formazione culturale,la tutela ambientale. Nè l'Europa riesce ad  avere un ruolo significativo lla soluzione delle guerre, almeno quelle più vicine a noi, che rischiano sempre più di crescere in estensione e pericolosità. 
Non è questo il luogo per tentare di esaminiare passo per passo quanto Draghi ha rilevato e conseguentemente consigliato di fare per rafforzare l'Europa nela speranza che possa garantire anche nel futuro altri 70 anni di pace. 
Nell’introduzione al suo Rapporto in “Prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile” Draghi ha scompaginato la conduzione della politica europea che deve avere un orizzonte mondiale per non risolversi una entità priva di prospettive. Di seguito due esempi.
 
L’Unione Europea deve garantire che gli europei possano sempre beneficiare dei questi diritti fondamentali. Se fallirà in questo compito però “l’Europa avrà perso la sua ragione d’essere”. Ma “l’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale”. La produttività, sottolinea, “è una sfida esistenziale per l’UE”, ma per diventare più produttiva l’Europa deve “cambiare radicalmente” e fare uno sforzo straordinario (dell’ordine di 800 miliardi all’anno) attraverso “strumenti di debito comune, da utilizzare per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza” europea.
Il principale di questi progetti di investimento è quello che riguarda il miglioramento delle competenze (skills) degli addetti alla produzione di beni e servizi in tutti gli Stati che compongono l’Unione Europea. Un compito comune che spetta prima di tutto ai sistemi scolastici e della ricerca europei e alle loro sinergie. Saprà l’Europa essere all’altezza di questa sfida che Draghi definisce giustamente “esistenziale”?  
  
 
Il livello di istruzione nell’UE, misurato dai punteggi OCSE PISA, è in calo. Le posizioni di testa nei recenti rapporti PISA sono dominate dai Paesi asiatici, mentre l’Europa ha registrato un declino senza precedenti. Il calo riguarda sia i dati medi che i risultati migliori: nel 2022, solo l’8% degli studenti dell’UE ha raggiunto un livello elevato di competenze in matematica e il 7% in lettura e scienze, come misurato dai punteggi standardizzati PISA. Sebbene il numero di laureati in materie STEM sia in aumento, il ritmo non è sufficiente a tenere il passo con la crescita della domanda di lavoro in ambito STEM e sono evidenti forti disparità di genere: gli uomini sono quasi il doppio delle donne. Le prestazioni insufficienti si estendono anche all’apprendimento degli adulti: nel 2016 solo il 37% degli adulti ha partecipato a corsi di formazione e da allora questo tasso non è praticamente aumentato. Per raggiungere l’obiettivo di una partecipazione alla formazione di almeno il 60% degli adulti ogni anno, fissato dall’Agenda europea per le competenze 2020, sarebbe necessario formare circa 50 milioni di lavoratori in più.