Le formiche nel riscaldamento globale
Piero Sagnibene
All’ultimo capitolo (due sole pagine) del monumentale trattato che Holldobler e Wilson dedicarono alle formiche, diedero un titolo emblematico: “Epilogo: chi sopravviverà?”.
La domanda è inquietante, sottende la competizione tra uomini e formiche per il possesso del pianeta e la scomparsa di uno dei due antagonisti. Forse oggi possiamo rispondere: “Nessuno dei due!”. Né uomini, né formiche, né altri viventi terrestri o marini, animali, piante o alghe, ecc., infatti, possono sottrarsi all’incremento devastante del riscaldamento planetario che sta già aggredendo le basi stesse delle loro esistenze. Secondo il IPCC (Organismo delle Nazioni Unite che studia il clima), i cambiamenti climatici profondi e a lungo termine sono già oltre la soglia di irreversibilità e prospettano la scomparsa tout-court della vita sul pianeta. La specie distruttrice, gli umani, trascina all’estinzione ogni forma di vita, oltre che sé stessa. “La soluzione umana, al vertice dell’evoluzione -scrive Remy Chauvin - non era né la sola soluzione, né, forse, la migliore”.
Le formiche, insieme alle api, rappresentano le più evolute società animali. Il grado di cooperazione e di solidarietà di questi insetti, finalizzati al benessere delle loro colonie e della prole, ne fa delle vere società, termine impropriamente utilizzato per la comunità degli umani. Vivono in colonie formate da femmine lavoratrici, rese sterili dal feromone di aggregazione emesso dalla ghiandole mandibolari della regina, unica riproduttrice. La loro socialità è prodigiosa; per citare un esempio di quanto sia raffinata e progredita, essa spinge le formiche fino alla cura delle compagne ferite, eseguendo trattamenti anti-patogeni prolungati (mediante le secrezioni della loro ghiandola metapleurica) ed amputazioni intenzionali per aumentare le possibilità di sopravvivenza della formica ferita, mostrando quindi la capacità di rilevare la posizione e la gravità delle ferite e di modificare ad hoc il trattamento e la scelta terapeutica.
Le formiche apparvero all’epoca dei Dinosauri, tra 140 e 168 milioni di anni fa. Diffondendosi sul pianeta, nel corso della loro evoluzione hanno dato luogo ad una straordinaria radiazione adattativa che ha comportato specializzazioni, polimorfismi, divisione del lavoro, straordinarie capacità di allevare altri insetti e di praticare agricolture, ed un grado altissimo di interazioni con gli altri viventi degli ecosistemi che popolano. Una formica operaia è grande meno di un milionesimo di un essere umano, eppure le formiche contendono all’uomo il possesso del pianeta. Si suppone che sulla Terra esistono tra 1 e 10 milioni di miliardi di formiche; la loro biomassa sarebbe pari, o addirittura maggiore, del peso dell’intera umanità, circa 100 milioni di tonnellate. Ne conosciamo poco più 16 mila Specie, raccolte in 472 Generi; il dato, probabilmente, è di molto inferiore alla realtà, ma ci dà una immagine, sia pure approssimativa, della loro sterminata popolazione e del loro potenziale di attività a beneficio degli ecosistemi terrestri, nei quali esse hanno un ruolo centrale.
Le formiche rimuovono più suolo, addirittura, dei lombrichi (come, ad esempio, le formiche Atta, che costruiscono il loro nido scavando fino a 40 tonnellate di terreno), areando i terreni e rimettendo in circolo grandi quantità di nutrienti; diffondono un gran numero di specie vegetali ed indirizzano l’evoluzione di innumerevoli tipi di piante e di animali. Sono le principali predatrici di insetti e ragni, raccolgono più del 90 % degli organismi morti delle loro stesse dimensioni e demoliscono quelli di mole maggiore, le cui carcasse divengono fertilizzanti. Inoltre proteggono le foreste, ed anche l’uomo si avvale di loro a questo scopo per la lotta biologica contro i lepidotteri defolianti. Se per qualche ragione scomparissero tutte le formiche, l’effetto sarebbe catastrofico, l’estinzione delle specie seguirebbe a cascata, gli ecosistemi terrestri si inaridirebbero più velocemente. La loro straordinaria efficienza è dovuta al fatto che agiscono e lavorano per cooperazione coordinata di milioni e milioni di individui, con una precisa divisione dei compiti.
In più di un centinaio di milioni di anni hanno elaborato straordinarie strategie di sopravvivenza, ma le loro possibilità sono ristrette in un range di temperature ed umidità, in accordo con i vari ambienti planetari che colonizzano. Oggi il riscaldamento globale forza le temperature alle quali le formiche possono sopravvivere, dissecca ed arroventa i terreni nei quali vivono e rende inefficaci queste strategie, per comprendere le quali dobbiamo porre l’attenzione su due fattori: temperature ed igrometrie, cioè proprio quelli sui quali più insiste il riscaldamento planetario.
Generalmente le formiche costruiscono nidi di vari tipi, le cui caratteristiche sono sempre in funzione della temperatura e della umidità. I nidi sono scavati in verticale nel suolo; sono suddivisi in pozzetti, formati da camere e gallerie, cui si aggiunge la parte apicale aperta al mondo esterno. I pozzetti sono spazi vuoti, allungati, a sezione circolare o ovalare appiattita, con un asse lungo e solitamente inclinato, mentre le camere sono più ramificate, presentano estensioni lobate, tendenzialmente circolari e possono essere considerate come pozzetti orizzontali interconnessi tra loro. Questa architettura è funzionale all’allevamento e consente alle operaie nutrici di spostare rapidamente uova, larve e pupe per raggiungere le camere più adeguate allo sviluppo in modo da tenere tutti gli stadi della covata nelle camere più calde, tra i 25 ed i 35°C ed al giusto tasso di umidità. In profondità i nidi hanno temperature stabili , intorno ai 28-32°C. ed in questi ambienti avviene, anche, la deposizione di uova trofiche (sterili) da parte delle operaie che con queste nutrono le larve dei futuri individui.
L’analisi dei gas a raggi infrarossi ha mostrato che alcune specie di formiche scavano in risposta alla concentrazione di anidride carbonica nel sottosuolo. A concentrazioni inferiori, le operaie scavano più in profondità, smuovendo maggiori quantità di terreno.
Questa osservazione spiega la struttura più elaborata e intricata a profondità minori, come risposta delle scavatrici al gradiente di CO2 nel suolo, il quale indirizza il lavoro di scavo. Le concentrazioni della CO2 aumentano di 5 volte verso il fondo del nido rispetto ai primi centimetri di profondità. Lo scavo comporta il lavoro di molte decine di migliaia di formiche, le quali scavano mediamente fino a 2 metri di profondità ed in 4-5 giorni smuovono masse considerevoli di terreno. Diverse specie tendono a spostarsi una o due volte l’anno, per cui la mole di lavoro è raddoppiata o triplicata.
Le colonie di formiche governano e modificano costantemente il microclima del loro nido, creando le condizioni idonee per lo sviluppo delle loro uova, larve e pupe. Sotto i 20°C sono poco attive ed inattive sotto i 10°C, ma l’adattamento alla vita nel terreno ha dato loro una speciale opportunità di regolare la temperatura circostante in modo continuativo. I nidi di terra permettono loro di evitare il surriscaldamento nei climi più caldi, poiché anche le formiche specializzate per la vita deserticola muoiono se esposte per qualche ora alle radiazioni del sole estivo. Temperature superiori ai 50°C provocano la loro morte in pochi minuti, o addirittura in pochi secondi.
I nidi sotterranei, possono estendersi per molti ettari fino a raggiungere dimensioni incredibili. Ad esempio, nell'isola di Hokkaido, Giappone, la Formica Yessensis WHEELER 1913 ha realizzato circa 45 mila nidi interconnessi tra loro tramite corridoi sotterranei e che ospitano circa 306 milioni di operaie. Le formiche argentine, Linepithema humile MAYR 1868, hanno formato una super-colonia che si estende per circa 6.000 chilometri sulle coste europee di Italia, Francia, Spagna e Portogallo; tutte le formiche della colonia sono imparentate tra loro ed, in totale, potrebbero essere molti miliardi.
Nelle regioni temperate-fredde, ad esempio, i nidi sono costruiti sotto le rocce, perché queste hanno eccellenti proprietà termoregolatrici, soprattutto quelle appiattite ed appena infossate nel terreno e con una larga parte della superficie esposta al sole; quando le rocce sono asciutte hanno un basso calore specifico e basta una piccola quantità di irradiazione solare per innalzarne la temperatura.
La regolazione climatica più raffinata è realizzata dalle formiche che costruiscono monticelli (acervi); questi hanno una struttura intricata, di forma simmetrica, sono ricchi di materiali organici, sono perforati con fitti sistemi di gallerie e camere interconnesse, spesso vengono ricoperti con pezzi di foglie e steli, cosparsi di ciottoli e frammenti di carbone di legna. Sono minuscole città sopra il terreno, microcosmi pieni di formiche e della loro covata. Gli acervi possono trovarsi anche in habitat soggetti a condizioni estreme di temperatura ed umidità come paludi, rive di corsi d’acqua, boschi di conifere, deserti. Sono alti fino ad 1,5 metri ed hanno funzioni regolatrici per la temperatura e l’umidità all’interno del nido e di mantenere il terreno ossigenato. Lo strato più esterno, quasi una crosta, riduce la dispersione di calore e di umidità e l’ampia superficie aumenta l’esposizione del nido alla radiazione solare; gli acervi sono orientati e più lunghi a Sud, per aumentare la quantità di energia solare raccolta.
Il maggior pericolo che le formiche incontrano nell’ambiente fisico è la siccità; le formiche hanno bisogno di una umidità ambientale più alta di quella normalmente presente nell’aria esterna e muoiono in poche ore se esposte ad un’aria molto secca. Gli acervi mantengono temperatura ed umidità nel limiti di tolleranza; la loro spessa crosta, rivestita di materia vegetale, riduce l’evaporazione; l’umidità nelle camere del nido si avvale del lavoro attivo delle operaie che riescono ad innalzarla e regolarla apportando acqua. Inoltre le operaie nutrici spostano le forme immature su e giù attraverso i corridoi verticali per assicurare loro l’umidità migliore: nelle camere più umide mettono uova e larve ed in quelle meno umide, di solito vicino alla superficie, le pupe.
Secondo Forel la cupola dell’acervo è un accumulatore di calore solare: di solito è calda anche quando il cielo è a lungo coperto. Anche Raignier attribuisce grande importanza alla radiazione solare e la correla a quella della parte centrale del nido, la zona di allevamento, nella quale la temperatura sembra variare pochissimo, tra i 28 ed i 32 °C, come confermano anche gli studi accurati di Kneitz.
In condizioni di insolazione l’acervo fornisce calore, ma di notte la cupola impedisce la perdita del calore endogeno dovuto ai corpi delle formiche. L’igrometria del nido è prossima alla saturazione, ma, alle misurazioni, appare dissociata dalle variazioni termiche in conseguenza dell’apporto di acqua liquida dovuto alle operaie; di notte si abbassa in seguito al calore proprio del nido che riduce l’evaporazione e gli apporti di acqua liquida sono ridotti o nulli.
Le radiazioni solari, nelle condizioni storicamente date prima del riscaldamento globale, sembravano influenti ed importanti ma non determinanti. Nei suoi studi Kneitz rapporta sempre le temperature del nido delle formiche alle temperature del suolo; il riscaldamento globale incide pesantemente sul terreno, sia per la temperatura intorno al nido, sia per il disseccamento del suolo e dell’aria; ne consegue che il differenziale termico tra il terreno e le camere di allevamento richiede uno sforzo ben maggiore per raggiungere le temperature e l’igrometria richieste dalla colonia. La temperatura della cupola dell’acervo, che restava ottimale quando veniva riscaldata dal sole, viene surriscaldata dal riscaldamento globale e trasmette calore secco a tutta la struttura; può raggiungere e superare i 70°C Prima della emergenza climatica le temperature della cupola e del monticello, si abbassavano rapidamente appena ci si inoltrava all’interno. Le isoterme, tracciate giorno per giorno, mostravano la regolarità dell’andamento temperatura-igrometria nelle camere di allevamento, dove le formiche potevano realmente governare questi fattori; quegli ambienti erano dapprima molto piccoli e globulari e si ingrandivano via via che aumentavano la temperatura e l’insolazione, e potevano restringersi durante i periodi freddi. La caduta termica delle prime ore del mattino dava il segnale che mobilitava la partenza massiva delle raccoglitrici.
Durante la stagione secca, le colonie di Pachycondyla villosa FABRICIUS 1804, diffusa dal Messico all’Argentina, sono in costante pericolo di disidratazione e squadre di operaie compiono ripetuti viaggi per raccogliere rugiada o acqua; portano le goccioline d’acqua tra le mandibole fino al nido dove dissetano le compagne e l’acqua che avanza viene data alle larve, cosparsa sui bozzoli delle pupe o posta sul substrato.
Pachycondyla villosa Diacamma rugosum Prionopelta amabilis |
Nella boscaglia secca dell’India, le operaie della Diacamma rugosum LE GUILLOU, 1842 decorano l’ingresso dei nidi con materiali assorbenti e la rugiada che si condensa su questi materiali viene raccolta al mattino; durante la stagione secca sembra che per loro sia questa l’unica fonte di acqua. All’opposto, le colonie di Prionopelta amabilis, BORGMEIER, 1949 è costruita di solito nei tronchi ed in altri frammenti di legno marcescente, materiali saturi di acqua per gran parte dell’anno, ed anche troppa umidità può nuocere allo sviluppo delle giovani formiche. Le pupe hanno bisogno di un ambiente più secco e le operaie tappezzano le camere e le gallerie, dove queste stazionano, con frammenti residuali dei bozzoli delle pupe. Il suolo umido ed il legno marcio sono, però, terreni di coltura ideali per moltissimi batteri e funghi, ma è raro che le colonie siano colpite da infezioni. Questa eccezionale immunità, scoperta da Maschwitz, è dovuta al secreto delle ghiandole metapleurali del torace delle formiche adulte, che secernono di continuo sostanze funghicide e battericide.
Il riscaldamento planetario ha reso il clima della metà delle aree urbane europee adatto a specie aliene, che tentano di sfuggire alle condizioni impossibili degli ambienti in cui sono vissute finora, e queste si spostano più a Nord o a Sud via via che aumenta il riscaldamento. La migrazione degli organismi, per sfuggire alla morsa del riscaldamento, riguarda piante ed animali, ed è oramai un fenomeno planetario. L’invasione delle regioni temperate, o ex-temperate, è attualmente in atto; ad esempio, la Solenopsis invicta BUREN 1972, detta “formica rossa” ed anche “formica guerriera” o “formica di fuoco”, ha già cominciato a diffondersi in tutta Europa.
La Solenopsis invicta è una specie aliena, tra le più invasive al mondo; è una minaccia immediata per l’agricoltura e un problema sanitario per i lavoratori agricoli ed il pollame e bestiame neonati. Le Solenopsis attaccano in modo aggressivo con morsi e punture molto dolorose, ferite che causano una dolorosa pustola bianca circondata da un alone di colore rosso ed una sensazione di bruciatura. Il rischio di anafilassi è notevole. La Solenopsis invasiva può avere conseguenze devastanti sulla biodiversità e sulle piantagioni. La costruzione dei suoi formicai danneggia le radici delle piante coltivate ed può provocare la perdita di intere piantagioni. Il veleno della puntura è composto da alcaloidi insolubili con una fase acquosa minore che contiene circa 46 proteine, di cui almeno 4 sono conosciute come allergeni. In Sicilia, provincia di Siracusa, sono stati scoperti i primi nidi, almeno 88. Inoltre si verifica una competizione mortale, una sorta di genocidio da parte degli invasori sulle specie autoctone, già falcidiate e debilitate dal riscaldamento. Una ricerca della Università Rockefeller (New York) mostra la dipendenza delle migrazioni dal riscaldamento globale; infatti, sottoposti a variazioni di temperatura per studiarne le reazioni di fronte all'emergenza climatica, formicai di diverse dimensioni, all’aumentare della temperatura, e superati i 36°C, sono abbandonati collettivamente dalle formiche. L'estate del 2024 è stata la più calda mai misurata sul pianeta; ha superato tutti i record di temperatura; la previsione è che la prossima estate sarà anche peggiore, con l’intensificarsi delle ondate di caldo, siccità e inondazioni. L’Europa, e in particolare l’Italia, hanno registrato temperature estive che raggiungono picchi di 50 °C, con valori di 40°C in numerose altre località, superando i valori registrati nelle stagioni estive del 2022 e quelli più elevati del 2023.
Per spiegare come funziona il meccanismo di regolazione del micro-ambiente del nido, supponiamo una piccolissima colonia di formiche di un milione di operaie che abiti in un nido di volume di 100 litri. Se supponiamo che il quoziente respiratorio sia 1 (molto vicino al reale), il metabolismo del glucosio dà luogo alla emissione di 5.05 calorie per litro. A 20°C le operaie consumano 200 millimetri cubi di ossigeno l’ora per grammo ed un milione di formiche (cioè 9.500 g) 6,65 litri , quindi 33,58 calorie. Ma è a questo punto che interviene una peculiarità delle formiche: esse traspirano enormemente e non sono in grado di trattenere l’acqua del loro organismo. Quando l’igrometria dell’ambiente è al di sotto della saturazione, 95% di igrometria e 21°C di temperatura, ogni operaia espelle 0,05mg di acqua l’ora, cioè per un milione di formiche 50g che, per evaporare, richiedono 29,3 calorie. Restano quindi 33,58 – 29,30 = 4,28 calorie all’ora disponibili per il riscaldamento, e ciò basta a riscaldare convenientemente 100 litri di acqua, ma a condizione che l’igrometria resti molto elevata, poiché al 75% di saturazione ed a 21°C le operaie perdono 1 mg di acqua all’ora ad operaia, cioè quasi tre volte più di quando si verifica al 95% di saturazione, cioè 130 g/ ora e 76,18 calorie per un milione di operaie ed allora la colonia si raffredda rapidamente. A temperatura più alte, restando l’igrometria nei limiti opportuni, l’equilibrio piò essere mantenuto. Ad esempio, a 25°C il consumo di ossigeno è di 950 millimetri cubi per grammo di formiche ogni ora, cioè 45,38 calorie per milione, ed a 30°C è di 1200 millimetri cubi e di 57,57 calorie per milione di formiche. Da qui si vede la funzione della cupola dell’acervo di impedire la dispersione del calore endogeno e di mantenere all’interno un microclima molto umido indispensabile per la regolazione termica. Quando il clima è molto caldo e secco, la cupola, dato che è porosa, non può più rispondere alla sua funzione e se questo clima si presenta all’inizio della primavera, come accade a causa del riscaldamento globale, le colonie non possono procreare sessuati. Si spiega così perché le colonie delle regioni calde e secche sono principalmente o completamente sotterranee, senza alcuna cupola; per conservare l’umidità bisogna sprofondare nel suolo.