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La comprensione del testo: un processo complesso e sottovalutato

 

 La comprensione del testo: un processo complesso e sottovalutato

Lucrezia Pedrali

 

Alcune premesse

[…] l’educazione linguistica non è confinata nell’ambito della lingua come materia. La formazione nella/e lingua/e di scolarizzazione è necessaria in tutte le altre materie, che talvolta sono considerate, a torto, come materie ‘non linguistiche’ (mentre si tratta in effetti di materie con ‘contenuto non linguistico’). Le materie come la biologia, la storia, la matematica, l’educazione fisica ecc. richiedono delle capacità di comunicazione diversificate, quali ad esempio: leggere e comprendere testi informativi, la cui struttura varia spesso secondo la disciplina, ascoltare spiegazioni date dall’insegnante su argomenti complessi, rispondere a domande orali o scritte, presentare i risultati di una ricerca o di uno studio, partecipare a dibattiti su temi precisi.” (1)

La citazione afferma in modo diretto ed esplicito che nulla si può apprendere senza la mediazione linguistica e che la competenza linguistica relativa a ciascuna disciplina è parte integrante della disciplina stessa. La prima e più ovvia osservazione è che l’educazione linguistica non costituisce un oggetto formale di indagine di una specifica disciplina e quindi il richiamo alle comuni responsabilità nei confronti della lingua non suona come un generico appello alla buona volontà dei docenti, ma è la richiesta di specifico coinvolgimento di ciascuno nel perseguimento delle diverse abilità linguistiche.

L’insegnante di italiano ha responsabilità specifiche esclusivamente rispetto ad alcuni aspetti della competenza linguistica quali l’apprendimento delle abilità di letto-scrittura, l’individuazione e l’analisi delle tipologie testuali, l’apprendimento di tecniche di scrittura di testi, la riflessione linguistica, lo studio della letteratura.

  

Di grande rilevanza sono gli esiti conseguiti dagli alunni dei vari ordini e gradi di scuola sottoposti alle prove INVALSI (anno 2023) e riportate nel rapporto di sintesi reperibile sul sito (2). Sommariamente i dati forniscono le seguenti indicazioni:

II primaria

  • In Italiano circa il 69% (era il 72% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Matematica circa il 64% (era il 70% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

 V primaria

  • In Italiano circa il 74% (era l’80% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Matematica circa il 63% (era il 66% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

 Scuola Secondaria Primo Grado

  • In Italiano circa il 62% (era il 61% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Matematica circa il 56% (era il 56% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Inglese-reading livello A2 80% (era il 78 nel 2022);

Inglese-listening livello A2 62% (era il 59% nel 2022)

 

Scuola Secondaria Secondo Grado

  • In Italiano circa il 51% (era il 52% nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Matematica circa il 50% (stesso risultato nel 2022) raggiunge almeno il livello base delle competenze valutate

  • In Inglese-reading livello B2 54% (era il 52% nel 2022);

In Inglese-listening livello B2 41% (era il 38% nel 2022).

La lettura completa del rapporto permette di decostruire e comprendere i dati sopra riportati, ad esempio, fa risaltare con grande chiarezza l’ampio divario territoriale che contraddistingue dolorosamente la condizione della scuola nel nostro paese. Il rapporto evidenzia comunque una situazione che dovrebbe interrogare l’intero sistema scolastico e i decisori della politica scolastica. Le cause che determinano esiti non brillanti nel percorso scolastico di numerosi allievi sono molteplici e interessano vari ambiti, a partire dalla condizione familiare di provenienza per cui, secondo un rapporto Ocse del 2022 “crescere in condizioni di svantaggio socio-economico ha effetti duraturi sulla vita dei bambini. I bambini provenienti da famiglie svantaggiate spesso rimangono indietro in molte aree del benessere e dello sviluppo, con effetti che continuano a limitare le loro opportunità e i loro risultati – compresi quelli relativi alla salute e al mercato del lavoro – anche molto tempo dopo il raggiungimento dell’età adulta”.

Una ulteriore riflessione preliminare si riferisce alla necessità di porre attenzione alla questione della motivazione. Anche in questo caso, recenti studi sul cervello suggeriscono che apprendiamo e memorizziamo meglio le conoscenze quando esse ci emozionano, cioè ci coinvolgono in qualche modo. (3) Riconoscere e legittimare le ragioni emozionali non significa aprire lo spazio per l’ennesima educazione - quella emotiva/affettiva- da collocarsi tristemente accanto alle altre che ormai saturano e traboccano dai PTOF. Al contrario, si tratta di considerare l’idea che nella scuola non ci sono soltanto menti da istruire, bensì corpi incarnati con il loro portato di differenze, di istanze, di bisogni e di storie e che proprio il riconoscimento delle incarnazioni di ciascuno consente di costruire la classe come gruppo - comunità. Riconoscere le incarnazioni significa anche pensare agli alunni come portatori di storie di vita che si manifestano fisicamente attraverso il corpo, il quale, quindi, non può essere relegato o pensato come legittimo solo nelle attività definite corporee o motorie. Il corpo è cognizione e affetti sempre, la componente emotiva non è residuale e interferisce costantemente nei processi di apprendimento. Anche l’insegnante, anzi, soprattutto l’insegnante, deve essere consapevole della sua dimensione emotiva e del peso che essa assume nella relazione con gli alunni e con la sua disciplina di insegnamento. Aldilà delle intenzioni e della pretesa di distinguere l’educazione dall’istruzione, le emozioni, i valori, i sentimenti, gli affetti si intrecciano con le conoscenze, le abilità, le competenze ed entrano direttamente nel processo di insegnamento/apprendimento e ne condizionano gli esiti. Non si tratta di enfatizzare uno psicologismo confuso e generico, ma di ammettere il bisogno di ripensare alla scuola e alla sua forma a partire dal riconoscimento del proprio sentire. Perché di senso si tratta, sia per chi insegna sia per chi apprende.

Isolando dalla complessità sopra evidenziata un singolo aspetto, fra le cause che contribuiscono alle fatiche di un percorso di apprendimento, come peraltro evidenziato dagli esiti delle prove Invalsi, vi è la difficoltà di comprensione di un testo scritto.

 

Comprendere

Capire le parole è un’operazione di grande complessità. Il fatto che questa operazione, sin dalla primissima infanzia, venga compiuta con apparente facilità non significa che possa essere considerata come scontata e lineare. In realtà, ciò che viene inteso solitamente come operazione elementare e scontata, è il risultato di un intreccio di atti mentali complessi. Capire significa molte cose diverse e soprattutto è sempre la ricerca di soluzione di un problema: la ricostruzione del senso di un enunciato comporta la necessità di comprendere e integrare altri dati non linguistici e rinvia alle percezioni, alla memoria, alle precedenti esperienze conoscitive del soggetto, alla sua vita. Operazione difficile e ampiamente sottovalutata nella pratica scolastica dove alla produzione linguistica si riserva tempo adeguato, ma scarsa attenzione ai meccanismi che generano la comprensione. Peraltro anche l’attività di produzione di testi dovrebbe diventare una pratica didattica intenzionalmente dedicata a favorire la comprensione di un testo scritto. Se il compito di insegnare/apprendere le regole di scrittura di un testo è affidata all’insegnante di lingua italiana, ogni disciplina può diventare oggetto di produzione testuale. In particolare, considerata la difficoltà nella comprensione di testi discontinui o misti, appare molto utile proporre la scrittura di tipologie testuali differenti. La frequentazione di testi discontinui e la loro transcodifica nel linguaggio verbale sono operazioni di grande rilevanza sul piano cognitivo e linguistico. Trasformare un testo in mappa e poi verbalizzare la mappa, tradurre verbalmente il contenuto di una tabella o di un istogramma, descrivere il contenuto di una foto, interpretare linguisticamente una formula sono attività complesse che implicano una serie di operazioni cognitive e linguistiche importanti. L‘idea che la scrittura a scuola sia essenzialmente legata alla invenzione creativa (il tema), o comunque connessa solo alle lezioni di italiano, ha generato qualche fatica nella comprensione, soprattutto di testi scientifici. La scrittura si collega alla comprensione del testo perché esige una organizzazione e una gerarchizzazione delle informazioni e contribuisce a costruire le caratteristiche del lettore competente.

Senza entrare nel merito delle differenti tipologie testuali, vale la pena sottolineare che esiste una importante distinzione fra testi che richiedono una forma di pensiero piuttosto che un’altra. Nel suo libro dedicato al pensiero narrativo, lo psicologo Andrea Smorti (4) sintetizza efficacemente la distinzione fra pensiero narrativo e pensiero paradigmatico. Il pensiero paradigmatico (o logico-scientifico) è libero dal contesto, viene validato dalla falsificazione, costruisce leggi universali, è estensionale; il pensiero narrativo è tipico del ragionamento quotidiano, è sensibile al contesto, è validato in termini di coerenza, costruisce storie, è intenzionale. Non sono forme di pensiero in opposizione l’una all’altra escludentisi reciprocamente, ma due pensieri diversi che si integrano e che concorrono alla formazione complessiva della mente. La pluralità delle proposte sia di lettura che di scrittura fornisce elementi fondamentali alla costruzione delle capacità di comprensione descritte da Renzo Titone, linguista, esperto in particolare del bilinguismo precoce: “ […] sostanzialmente sono tre gli elementi fondamentali che interagiscono a livelli diversi nella comprensione: le conoscenze di base […], il contesto di situazione e il testo linguistico. Le conoscenze di fondo includono una specifica conoscenza dell'argomento, una conoscenza del mondo, una conoscenza delle regole di interazione sociale e della struttura del discorso […]. Il contesto include la situazione spazio temporale e personale-sociale dei soggetti (età, sesso, esperienze, ruolo, intenzioni, ecc.). Il testo include la natura della lingua nei suoi aspetti fonologici, morfosintattici, lessicali e semantici, la coesione lessicale e grammaticale del testo stesso, la struttura dei dati informativi, ecc… Dalla interazione di questi tre gruppi di elementi, il lettore diviene capace di comprendere e utilizzare ciò che è compreso, di convertire le parole in concetti, di capire non soltanto ciò che è scritto ma anche ciò che è significato. Vari processi cognitivi sono implicati in tale attività interiore: predizione, inferenza, completamento, verifica, selezione, accertamento di ipotesi, scoperta, ecc. Le micro-abilità sono numerose e difficilmente classificabili”. (5)

 

Il testo

Nella concezione più tradizionale, la comprensione è intesa come un processo di astrazione del significato posseduto dal testo e “ricevuto” dal lettore, quasi passivamente. Le recenti acquisizioni dovute allo sviluppo delle neuroscienze hanno evidenziato invece come il comprendere sia una interazione complessa che si stabilisce tra chi legge, le cose che vengono lette e come sono scritte e che il lettore deve poi ricondurre alla sua consapevolezza, in un’operazione attiva e intenzionale. Comprendere significa quindi connettere le nuove informazioni contenute in un testo alle conoscenze già presenti nella mente del lettore stabilendo una relazione fra il lettore e il testo.

In questa relazione intervengono numerose variabili dovute sia alle caratteristiche del testo sia alle caratteristiche del lettore. Un testo può essere più o meno difficile dal punto di vista lessicale, dal punto di vista morfosintattico, dalla esplicitazione dei legami logici fra le frasi, dalla struttura più o meno facile da identificare. Nel QUADRO DI RIFERIMENTO DELLE PROVE INVALSI DI MATEMATICA, a proposito della formulazione linguistica dei quesiti, si legge: “Le domande sono costruite con l’obiettivo di essere chiaramente comprese nel loro scopo. Per questo è posta un’attenzione particolare ai diversi aspetti della loro formulazione linguistica: in questo modo si cerca di evitare che una non necessaria difficoltà di tipo linguistico renda meno precisa l’informazione restituita relativa alla competenza matematica”. Cioè, per comprendere le consegne dei quesiti di matematica, come delle altre discipline, è necessario possedere una buona competenza linguistica. E questo pone interessanti questioni. Senza entrare nel merito degli aspetti teorici che analizzano le interazioni fra la “lingua comune” e “lingua specialistica” (ma in sede di analisi teorica si potrebbe parlare di macrolingua e microlingue) risulta evidente che la lingua comune fornisce alle diverse lingue disciplinari le parole, che depurate dagli elementi connotativi diventano “termini”, le regole morfosintattiche, le strutture del discorso che le rendono comunicabili.

 

Il lettore

Le variabili che si riferiscono al lettore sono molteplici, spesso intrecciate e separabili solo per esigenze descrittive; sono costituite dalla abilità di decodifica, dalle conoscenze preesistenti, dalle tecniche di lettura, dalle competenze cognitive, dalle capacità di metacognizione. Le conoscenze preesistenti riguardano tutto lo sviluppo linguistico dell’alunno: il suo vocabolario più o meno ampio, un linguaggio più o meno strutturato dal punto di vista morfosintattico, tutte le conoscenze acquisite nel proprio contesto di vita, le conoscenze acquisite nel percorso scolastico, l’esposizione a una lingua più o meno significativa e ricca di stimoli.

 

A questo proposito è opportuno introdurre una riflessione in ordine alla necessaria attenzione ai processi di comprensione da parte di alunni non italofoni e in fase di acquisizione/apprendimento dell’italiano come seconda lingua. Le indagini sulla situazione scolastica di questi alunni hanno rilevato che molti di loro acquisiscono tratti superficiali della L2 (fluidità nella comunicazione orale e fonologia corretta), ma faticano nella comprensione di testi sia narrativi che di studio. Tali fatiche sono da ricondursi quasi sempre a fattori di ordine culturale e linguistico e non a disagi di ordine cognitivo. Lavorare all’interno di un sistema culturale differente da quello d’origine rende difficile, e comunque non automatico, identificare i nodi critici posti dai testi o da altri materiali utilizzati a scuola. L’attenzione alla comprensione non può quindi centrarsi esclusivamente su questioni di tipo linguistico o cognitivo, ma deve fare riferimento anche alla stretta relazione esistente fra lingua e cultura.

 

Una variabile significativa per quanto riguarda la comprensione dei testi è data dalla abilità di lettura come decifrazione dei grafemi e della loro trasformazione in fonemi. “La decodifica fonologica delle parole è la tappa cruciale della lettura. […] decodifica e comprensione vanno di pari passo: i bambini che sanno leggere meglio le parole e le pseudo parole sono anche quelli che comprendono meglio il contenuto di una frase o di un testo. […] la comprensione comunque passa prima di tutto attraverso la fluidità della decodifica. Quanto più velocemente questa tappa è automatizzata, tanto più il bambino riesce a concentrarsi sul significato del testo”. (6) Gli sviluppi delle neuroscienze forniscono indirettamente indicazioni su come procedere nell’insegnamento/apprendimento della lettura, ad esempio sconfessando il metodo “globale” molto seguito a partire dagli anni settanta e poi progressivamente abbandonato. Nello stesso tempo sono state ampiamente indagate anche difficoltà specifiche dell’apprendimento, la dislessia, ad esempio, che comporta fatica e carenza nella decodificazione dei testi e, solo in conseguenza, difficoltà di comprensione.

 

Per poter comprendere un testo non è sufficiente possedere un’adeguata abilità di decifrazione. Ogni parola decifrata deve poi essere associata a informazioni grammaticali e semantiche depositate nel nostro cervello. Solo quando questa associazione si stabilisce possiamo parlare di comprensione, cioè di attribuzione di significato a ciò che viene letto. L’ampiezza del vocabolario posseduto dal lettore, la sua conoscenza delle varie forme di costruzione della frase, la comprensione di particolari subordinazioni sono elementi decisivi per la comprensione di un testo. I prerequisiti che il lettore deve possedere per capire una pagina scritta si compongono quindi di competenze tecniche, competenze semantiche, competenze sintattiche, competenze testuali.

 

Anche l’atteggiamento di fronte al testo costituisce una variabile importante. Una lettura efficace richiede intenzionalità, motivazione e attuazione di strategie che devono essere apprese. Nel testo devono essere riconosciuti molti aspetti. Nella pratica didattica tutti gli insegnanti hanno verificato la differenza tra la comprensione di un testo da loro letto e lo stesso testo letto autonomamente dagli alunni. La lettura dell’insegnante aiuta la comprensione perché risolve tutti i problemi “tecnici” e della prosodia, diventa significativa nel fornire indicazioni circa lo scopo comunicativo e facilita anche la comprensione inferenziale. Ma un lettore autonomo deve avere la possibilità di porre attenzione a tutti questi aspetti, riconoscere quando fermarsi, ritornare a rileggere, fare ipotesi sul testo e porsi interrogativi sul significato.

 

I processi cognitivi interessati nell’attività di comprensione sono numerosi e interdipendenti e particolare rilevanza assume la memoria di lavoro, che è la facoltà di mantenere nella mente le informazioni sulle quali stiamo operando. “La memoria di lavoro oltre a immagazzinare informazioni per un breve intervallo di tempo è in grado di eseguire compiti cognitivi su di esse. La memoria di lavoro è costituita da una serie di processi in grado di raggiungere un obiettivo, come risolvere un calcolo mentale, comprendere una frase […]. Poiché è collegata a numerosi processi cognitivi quali l’attenzione, il controllo degli impulsi, l’archiviazione, il monitoraggio e l’organizzazione delle informazioni, coinvolge numerosi circuiti cerebrali in parallelo”. (7) Essa permette di mantenere presenti le informazioni significative rispetto al compito di comprensione e di eliminare quelle irrilevanti, giocando un ruolo fondamentale nell’apprendimento, perché consente di utilizzare le nuove informazioni per connetterle a quanto già appreso e per organizzarle nei concetti.

Diventare consapevoli delle proprie modalità di lettura, delle strategie messe in atto per comprendere un testo scritto implica anche lo sviluppo di competenze metacognitive e cioè la possibilità di darsi ragione del fatto di avere/non avere compreso un testo, di individuare i passaggi e le parti non comprese, di formulare domande, di cercare modalità proprie per manipolare i testi.

 

Per concludere

Il processo di comprensione di un testo scritto prevede quindi di attivare una molteplicità di fattori cognitivi, culturali, sociali e si sviluppa gradualmente durante tutto il percorso scolastico. Per comprendere è necessario possedere differenti abilità:

  • Saper decifrare i segni grafici che compongono il testo

  • Possedere la capacità lessicale che permette di comprendere il significato delle parole abbinandole ad una rappresentazione mentale (comprensione lineare)

  • Trarre delle inferenze, cioè comprendere il significato di parole sconosciute o ricavare informazioni non esplicitate ragionando sul contesto e ricorrendo anche alle conoscenze pregresse e alla propria enciclopedia mentale

  • Riconoscere progressivamente la struttura morfologica e sintattica della proposizione indipendentemente dal valore semantico (ragionare cioè sul codice linguistico oltreché sul significato)

  • Individuare lo scopo del testo, la sua tipologia, e rispondere correttamente a eventuali consegne operative.

Tutti i processi elencati e brevemente descritti procedono gradualmente e sono fra loro strettamente connessi e diventa quindi difficile comprendere in quale fase della comprensione si verifichino degli intoppi.

Le fatiche più comuni registrate nell’osservazione in classe si riferiscono alle lacunose abilità di decifrazione con tempi e ritmi di lettura troppo lenti, alla povertà lessicale, alla difficoltà di operare inferenze recuperando le conoscenze pregresse da connettere alle nuove informazioni.

 

Pur se non esplicitate, le implicazioni didattiche riguardanti la comprensione di un testo sono molte e riguardano la pluralità dei docenti e delle discipline. Ogni intervento sul testo richiede l’attivazione di operazioni cognitive che sono proprie di tutti i processi di insegnamento/apprendimento: riconoscere, denominare, selezionare, classificare, ordinare, confrontare, generalizzare, dedurre, inferire, ipotizzare. E, soprattutto, richiede una intenzionalità e un impegno non episodici o collegati solo alle cosiddette “verifiche sulla comprensione”.

 

A proposito dell’impegnativo lavoro di riflessione sull’operatività dell’insegnante in classe e nella sua formazione in itinere, Stanislas Dehaene scrive: ” Man mano che emerge un consenso scientifico sui meccanismi della lettura, il suo insegnamento dovrebbe progressivamente trasformarsi in una autentica “neuropsicopedagogia”: una scienza unificata e cumulativa in cui la libertà dell’insegnante non è negata ma è rivolta alla ricerca pragmatica di un insegnamento meglio strutturato e più efficace. L’esigenza di sperimentare è una delle più belle idee che la scienza possa apportare alla pedagogia. Sperimentare non è provare il mattino stesso un’idea che vi è venuta la sera prima. Sperimentare esige invece di concepire, con pazienza e minuzia considerando tutte le conoscenze passate una nuova stratega di insegnamento che sarà confrontata con una situazione di controllo (un altro giorno, un altro esercizio, un’altra classe).” (op. cit.)

 

Riportando la riflessione sui dati INVALSI presentati all’inizio del presente lavoro e prendendo spunto dall’ultima citazione, si pone una questione che investe la scuola in modo quasi emergenziale: la formazione continua dei docenti. Gli ambiti da investigare sono sempre gli stessi e si possono sintetizzare in tre nuclei fondamentali: conoscenza delle caratteristiche cognitive e personali dei soggetti in apprendimento, conoscenza della struttura epistemologica della disciplina oggetto di insegnamento/apprendimento, capacità di operare le opportune mediazioni didattiche.

L’apporto degli studi nell’ambito delle neuroscienze e la ricerca sul grado di formatività delle nuove tecnologie possono aiutare a sperimentare modelli pedagogici e didattici inediti che trasformino le grandi esperienze del passato in una proposta significativa per il presente.

 

Note 

(1) Coste D e altri, Un Documento europeo di riferimento per le lingue dell’educazione, Sette Città, 2007. Traduzione a cura di Calò R e Ferreri S, 2009.

https://rm.coe.int/16805a31e6

(2) https://www.invalsi.it

(3) Matteoli M, Il talento del cervello, Venezia, Sonzogno, 2022

(4) Smorti A, Il pensiero narrativo, Firenze, Giunti, 1994

(5) Titone R, Bilinguismo precoce ed educazione bilingue, Roma, Armando ed., 1972

(6) Dehaene S, I neuroni della lettura, Milano, Raffaello Cortina ed., 2007

(7) Fabro F, Cargnelutti E, Neuroscienze del bilinguismo. Il farsi e disfarsi delle lingue, Roma, Ed. Astrolabio, 2018.

(8) Dehaene S,op.cit.