Lucca, o le città che ci aspettano
di Luciano Luciani
La mia idea di città? Una sintesi tra storia, natura e gente. Soprattutto gente, capace, perché messa nelle condizioni adeguate, di viverla, la città: goderla, utilizzarla, relazionarsi con essa e ritrovare, attraverso la sua organizzazione, il più possibile equilibrata e armoniosa, la propria identità. Per questo, più di trent’anni fa, mi era piaciuta Lucca, al punto da sceglierla per viverci e qui costruire, a due passi dall’“arborato cerchio” delle Mura, la mia storia personale, realizzare il mio progetto di vita. E oggi, con dispiacere, vedo la mia città d’adozione, “Lucca dalle belle torri”, destinata a diventare uno dei tanti luoghi dell’erranza diffusa. Le sue strade e le sue piazze non sono più le sedi privilegiate della sosta e dell’indugio, dell’incontro e dello scambio: piuttosto luoghi di tragitti, traiettorie, spostamenti sempre più caotici e repentini che impoveriscono la vita sociale, il rapporto con gli altri e con lo scenario urbano e ne preparano il declino, quando non addirittura la morte urbana.
Ormai ridotta a tapis roulant di mezzi e merci, anche la mia città d’adozione privilegia i percorsi veloci: per risparmiare, immagino, e così ottimizzare i tempi e quindi moltiplicare i quattrini, secondo l’antico detto per il quale il tempo è denaro. Anche Lucca sembra intenzionata a preferire un modello economicistico di città, senz’anima e senza cuore, ridotta a un’unica dimensione, abdicando all’immenso potenziale storico, artistico, culturale e creativo a sua disposizione. Così anche la città di Ilaria, la giovanissima signora padrona del cuore del Signore di Lucca, crede di individuare le sue future fortune nel solo formato economico, e non crede più di poter esistere come una compagine in cui sia ancora cosa buona e giusta realizzare l’identità affettiva ed emotiva di una collettività. “Lucca gentile, popolata e bella” ci appare sempre meno come uno spazio “sentimentale” e sempre più, invece, come nodo di intermediazione tra una rada industria che sopravvive a fatica, un artigianato omologato, un terziario lambito dalla precarietà economica e con essa confuso. Un centro urbano come tanti altri. In pratica un condominio in cui tutte le energie dei singoli sono impegnati solo a garantirsi, quando va bene, un’appena sopportabile contiguità.
Su tutto e tutti, poi, incombe pesantemente l’automobile e l’ideologia autolatrica che su di essa si fonda. Una vera e propria religione fondamentalista e intollerante che nonostante i suoi rituali insensati - code, ingorghi, parcheggi rigurgitanti - e devastanti - incidenti stradali e inquinamento - continua a reclutare proseliti, non sai se più scemi o complici. Simbolo metropolitano accettato e condiviso, l’automobile, cappa di metallo, plastica e vetro, che ti separa dagli altri, favorisce la sospensione delle relazioni, ti spinge all’isolamento. E Lucca che potrebbe trasformare il proprio straordinario patrimonio di bellezze urbane - non solo la splendida cortina delle Mura, ma anche i palazzi, le torre, le chiese, lo straordinario ordinato intrico di piazze piazzette, strade e vicoli... - in una inesauribile risorsa di contemplazione e di soddisfazione emotiva e intellettuale, boccheggia e rischia di morire soffocata in una squallida latta di lusso.
Perché le automobili non solo inquinano e ammazzano, ma devastano lo spazio della democrazia: quello del diritto, che è di tutti, di godere con pienezza delle città, di questa in particolare.