Quando lo sterco finisce...
Luciano Luciani
“Finché esistono i preziosi depositi di guano, il Perù ha denaro per tutti: per saldare i suoi creditori e per coprire la superficie del suo territorio con ferrovie, canali, telegrafi... ” Rispetto alla preziosa sostanza - sterco secco degli uccelli marini, accumulatosi per secoli sulle isole desertiche al largo delle coste peruviane, il cui sfruttamento intensivo come formidabile concime biologico, aveva regalato al giovane Stato latino americano un'insperata ricchezza - la classe dirigente peruviana aveva sempre oscillato tra due estremi: l’ottimismo un po’ sconsiderato, espresso nella citazione appena riportata, della Comision principal de Hacienda nel 1856, l’anno in cui le ricchezze ottenute dal guano avevano permesso al Perù di sostenere i costi dell’abolizione del lavoro servile, e il lungimirante e preoccupato pessimismo del ministro Pedro Galvez, che già nel 1862 metteva in guardia sul fatto che le risorse legate all’oro sucio (sporco) non erano destinate a durare all’infinito. Ed era stato facile profeta, se poco più di vent’anni più tardi, nel 1885, uno scienziato europeo, Ernst W. Middendorf prevedeva che, consumati gli ultimi depositi, il guano avrebbe conservato solo un interesse storico.
Dallo sterco ai superfosfati
Già intorno alla metà del XIX secolo, depredata e dilapidata, questa ricchezza, figlia di una curiosa generosità della natura, andava progressivamente e malinconicamente esaurendo le proprie riserve. Per di più, nuove, importantissime risorse di materiale fosfatico venivano individuate nei grandi giacimenti di fosforite e apatite, di cui si iniziò lo sfruttamento rispettivamente negli Stati Uniti dal 1868 e nel Nord Africa a partire dalla fine del secolo. Inoltre, fin dal 1842, poi, uno scienziato agricolo inglese, John Bennet Lawes aveva brevettato un metodo per produrre quello che chiamò “superfosfato”, iniziandone la produzione industriale e segnando la nascita della potente industria moderna dei perfosfati. Si trattava del primo fertilizzante chimico della storia e, rispetto a quelli naturali, presentava diversi elementi di novità: costava meno, puzzava meno, non era fonte di malattie infettive e come e più del guano, per la sua maggiore dotazione fosforica, aumentava ulteriormente la produzione agricola.
Più o meno un secolo e mezzo fa, l’età del guano si chiudeva, almeno nelle sue manifestazioni più avventurose ed esasperate... Da allora, però, milioni di cormorani, pellicani, alcatraces – inarrestabile e naturalissima fabbrica chimica - hanno continuato a riprodursi, a cibarsi di miliardi di pesci, a digerirli e a ricoprire dei loro escrementi i soliti isolotti distribuiti lungo la costa peruviana. Come prima, anzi meglio di prima se è vero che la Compagnia Amministratrice del Guano, fondata dal governo peruviano nel 1909, si è adoperata nel corso dell'ultimo secolo per soddisfare a un debito di gratitudine nei confronti degli uccelli guanayos: sono protette le loro isole costiere e tutelati alcuni promontori della terraferma dove i volatili nidificano; i turni di sfruttamento dei depositi ruotano con 27 intervalli di circa trenta mesi; tiratori scelti tengono lontani i condor, gli avvoltoi che distruggono i nidi e divorano le uova. Ai pescatori è fatto esplicito divieto di avvicinarsi a meno di due miglia dalle isole, agli aerei di scendere a meno di 500 metri nel raggio di un chilometro dai luoghi destinati alla produzione del guano, nelle cui prossimità è anche vietato alle navi l’uso della sirena: il guano sarà più abbondante e di migliore qualità se - come si esprime poeticamenteil grande americanista Antonello Gerbi (1904 - 1976) - sarà elaborato e realizzato “nei freschi silenzi dell’alba” o al più con l’accompagnamento di “un immenso fruscio d’ali”.
Lasciamo in pace i guanayos!
La Compagnia ha anche il monopolio della caccia ai lobos, cetacei che contendono agli uccelli il nutrimento rappresentato dai pesci: la difesa del patrimonio ittico è un altro importante terreno d’intervento dell’organismo governativo, che, avvalendosi delle competenze di un’agguerrita pattuglia di 28 oceanografi e ornitologi, è impegnata a salvaguardare il cibo dei guanayos. I loro interventi sono ampiamente diversificati: vanno da una lotta senza quartiere contro i pescatori di frodo con la dinamite, allo studio sulle abitudini, malattie, diete degli uccelli del guano, alle indagini sulla corrente marine che interessano quelle aree del Pacifico.
Così, attraverso queste doverose attenzioni, la produzione del guano è tornata a salire e oggi è prevalentemente indirizzata a soddisfare la domanda di fertilizzanti che proviene dall’agricoltura peruviana e dalle aree limitrofe: un esito modesto rispetto ai bagliori dell’epopea di un secolo e mezzo or sono, ma certo più rispettoso dei tempi biologici dei brutti uccelli che, disinteressatamente e inconsapevolmente, si sono adoperati per risolvere alcuni tra i più urgenti ed assillanti problemi dell’Europa di appena ieri.
Buon lavoro, guanayos!
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