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Antonio Raimondi, il milanese che per amore della scienza divenne peruviano

 

 

Cereus peruvianus

Antonio Raimondi, il milanese che per amore della scienza divenne peruviano

Luciano Luciani

 

“Qual è la nazione moderna che per efficacia di opere ed energia di spirito non vinca l’Italia?... Quali sono le nostre prodezze di mano e di senno... L’Italia può ella dire di essere al mondo”? Così sconsolatamente lamentava nel 1843 l’abate Gioberti nel suo celeberrimo Del Primato, esprimendo nelle sue interrogazioni retoriche un senso di scacco e di frustrazione ampiamente condiviso dagli intellettuali italiani suoi contemporanei. Massimamente dagli scienziati, una categoria che la ritardata costituzione dell’Italia in stato unitario penalizzava pesantemente: in nessuna regione del Belpaese, infatti, erano garantite le condizioni minime – libertà innanzitutto, ma anche risorse economiche – necessarie a un’autonoma sistematica indagine del mondo della natura.

La Francia, l’Inghilterra, la stessa Russia zarista, perfino l’arretrata e bigotta Spagna in forme e misure diverse si dimostravano interessate e capaci di promuovere sia ricerche, sia istituzioni accademiche finalizzate a studiare coerentemente la geografia, la biologia, le fisica, la chimica... Niente di tutto ciò si dava nella Penisola schiacciata tra l’autoritarismo asburgico, l’oscurantismo clericale e la politica paternalistica dei Borboni. E così alle migliori intelligenze, per partecipare in qualche modo al nuovo clima culturale di fiducia nel progresso e di fede nella scienza e nella tecnica che già in età romantica si andava diffondendo in Europa, non rimaneva che emigrare: il fanatismo reazionario, l’intolleranza politica e culturale e la conseguente repressione di ogni forma di autonomia e originalità di pensiero mal si conciliavano con lo spirito scientifico.

Furono probabilmente queste le malinconiche conclusioni a cui dovette giungere il giovane naturalista Antonio Raimondi quando nel 1850, poco più che ventenne, decise di allontanarsi dall’Italia per emigrare in America latina, nel lontano Perù.

Alle sue spalle lasciava un’intensa partecipazione agli entusiasmi quarantotteschi, le speranze deluse del ’49 e un Paese di nuovo preda dell’arcigna dominazione di austriaci e austriacanti, che trovavano negli orientamenti ultrareazionari della Chiesa un indubbio sostegno ideologico. Nello stesso anno 1850 in cui Raimondi era costretto a partire per cercare di realizzare all’estero una libertà intellettuale negata in patria, iniziava le sue pubblicazioni La Civiltà Cattolica, rivista della Compagnia di Gesù portavoce dei settori più retrogradi e passatisti del cattolicesimo.

E così più di un secolo e mezzo or sono – era esattamente il 28 luglio 1850 – quasi sperduto nella marea di migranti che già da qualche anno alla ricerca di facili e veloci guadagni investiva disordinatamente il porto peruviano del Callao, c’era anche Antonio Raimondi.

Figlio di una numerosa e agiata famiglia lombarda, era nato a Milano il 19 settembre 1826. Aveva studiato Scienze naturali presso l’Università di Pavia, nelle cui aule, da circa un secolo, gli umori giansenisti erano soliti allearsi con la volontà illuminista di conoscere ed elaborare una religione non tradizionale, ispirata alla ragione e alla natura. Interessato fin dall’infanzia alla botanica, alla chimica, alla geologia coltivò la sua vocazione scientifica attarverso la letteratura del viaggio, la lettura della Storia naturale di Buffon e frequentissime visite all’Orto Botanico di Milano, le cui piante Raimondi dipinse in pregevoli acquerelli a colori.

Nel primo libro autobiografico della sua monumentale opera El Perù, così Raimondi racconta la nascita della sua vocazione “peruviana”: “Un giorno, stando come d’abitudine nel conservatorio dell’Orto Botanico di Milano mi accadde di assistere per un caso singolare al taglio del gigantesco Cactus peruvianus (Cereus peruvianus)...

Un’immagine che conteneva un destino: se ne ricordò il giovane scienziato e patriota quando, di fronte agli impacci e agli ostacoli frapposti alla sua attività di ricerca, scelse di emigrare. Forse ai suoi occhi di appassionato figlio del Romanticismo, l’abbattimento di quel patriarca tra i cactus acquistava il valore di un simbolo di sconfitta: una condizione che Raimondi ben conosceva per aver partecipato alle Cinque Giornate di Milano e – pare – anche alla sfortunata difesa della Repubblica romana. Sicuramente, e per sua stessa ammissione, agivano su di lui l’eco della antica fama delle proverbiali ricchezze del Perù e le notizie più recenti di nuove straordinarie risorse concentrate nel paese latinoamericano. Rimbalzando da una capitale all’altra del vecchio continente, queste voci creavano un viluppo inestricabile di aspettative e speranze, interessi e appetiti tra gli avventurieri e gli illusi, gli irregolari e gli esuli che l’Europa delle rivoluzioni nazionale sconfitte produceva a frotte in quegli anni.

Appena messo piede a Lima, nel luglio 1850, lo scienziato lombardo è accolto con simpatia dalla piccola comunità latina che gli fa conoscere il dottor Cayetano Heredia e che era destinato a diventare l’iniziatore della nascente clinica peruviana, che dirigeva il Colegio de la Indipendencia. In questo istituto, che negli anni a venire grazie alla collaborazione tra scienziati italiani e peruviani si doveva trasformare in apprezzata scuola di medicina, Raimondi iniziò a classificare le collezioni di geologia e mineralogia raccolte nel gabinetto di storia naturale: un lavoro oscuro ma svolto con dedizione e competenza, che gli aprì le porte della prestigiosa università di San Marco a Lima, la più antica dell’intero continente, dove insegnò botanica e storia naturale. Ma le tranquille attività didattiche mal si confacevano all’ex garibaldino che già nel 1851 intraprendeva il primo di quei due viaggi scientifici che tanto contribuirono alla conoscenza di quelle regioni per lo più ignote agli stessi peruviani.

Da allora e per oltre vent’anni Raimondi percorse in lungo e in largo il Perù, sempre più sentito come la sua nuova patria. Nel 1853 per conto del governo peruviano visita i depositi di guano e di salnitro. Tre anni dopo preparò il campionario dei minerali metallici presenti in Perù da mostrare all’Esposizione di Parigi per attrarre sul paese latiniamericano l’interesse di “curiosi e capitalisti”: come per tanti altri personaggi di formazione garibaldina anche per questo figlio dell’operosa e pragmatica Lombardia il massimo di idealismo si coniugava con uno spiccato senso dell’iniziativa economica. Nel 1864 il geografo milanese riconobbe la regione delle sorgenti del Rio delle Amazzoni e fece ritorno nella capitale con una messe impressionante di note, appunti e osservazioni scientifiche. Pubblicò anche una carta del Perù in 34 fogli alla scala 1: 500.000 e dette inizio alla sua monumentale opera El Perù rimasta incompiuta a causa della guerra cileno - peruviana (1879 - 1884), terminata con la pesante sconfitta della patria d’adozione di Raimondi costretta a cedere i territori più ricchi di rame, salnitro e guano: il petrolio di allora.