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Banchi di scuola, addio?

 

 

abbandono scolastico

Banchi di scuola, addio?

 

Luciano Luciani 

 

Perché tanti ragazzi abbandonano la scuola? Quali sono le radici del fenomeno che va sotto il nome di “dispersione scolastica”? Come interpretare i dati più recenti in materia? È possibile individuare adeguate strategie educative per arginarla?

Si tratta di un problema che riguarda non solo gli studenti e le loro famiglie, ma che è sociale, perché coinvolge l’intera collettività e richiede risposte al’altezza del problema da parte elle istituzioni scolastiche e politiche. Soprattutto oggi, in un momento in cui il rapporto tra formazione scolastica e occupazione giovanile rappresenta uno dei passaggi più complessi e delicati per lo sviluppo, non solo economico ma complessivo della società italiana.

Questione complicata la dispersione scolastica. Ha relazione con i mancati ingressi e l’evasione dall’obbligo; gli abbandoni e il proscioglimento dall’obbligo senza conseguimento del titolo; le bocciature, le ripetenze, le frequenze irregolari, i ritardi … Riguarda soprattutto quegli adolescenti per cui “i processi intellettivi più semplici, un’elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovraumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio”: così denunciava allarmato già una decina di anni fa lo scrittore – insegnante Marco Lodoli, sulle pagine della “Repubblica”, lamentando nei giovani una perdita di abilità e competenze, di “pensiero”, che fa presto a trasformarsi in emarginazione, potenziale e reale, marginalità, devianza. E lo testimoniano i tanti, troppi episodi negativi provenienti dal ‘pianeta scuola’ e recentemente emersi alle tristi cronache della violenza, dell’intolleranza, della sopraffazione.

Una crepa allarmante nel nostro tessuto civile su cui educatori, amministratori, politici, genitori sono chiamati urgentemente a riflettere e a indicare soluzioni adeguate.

 

I numeri della dispersione

 

Ieri

In Italia, nell’anno scolastico 2004/2005, ogni anno, quasi uno studente delle superiori su quattro si perdeva per strada, ossia conosceva l’esperienza della bocciatura o lasciava la scuola. Si trattava di 460 mila ragazzi: il 21,9 % sul totale degli studenti contro una media continentale del 10%. Ambizioso e irrealistico l’obiettivo che ci si dette allora di riportare, entro il 2010, a valori europei il gap di scolarità.


Oggi

Dieci anni dopo, nel nostro Paese, per quanto riguarda la riduzione del tasso di abbandono precoce, si sono registrati importanti miglioramenti: la percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che lasciano la scuola prima del termine del ciclo formativo, non conseguendo diplomi di secondo grado né attestati di formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel 2014. Un risultato significativo ma che rimane ancora distante dal livello europea del 10%, obiettivo da conseguire entro il 2020.

 

Da uno studio pubblicato recentemente sui “Quaderni di Eurydice” apprendiamo che l’abbandono precoce incide diversamente sulla popolazione studentesca a seconda del genere e, soprattutto, a seconda dello status di cittadino nato all’estero oppure indigeno. In molti Paesi europei, infatti, gli studenti nati all’estero che abbandonano prima del loro compimento i percorsi di istruzione e formazione costituiscono la maggioranza, di chi “lascia”, con l’eccezione del Regno Unito I tassi sono particolarmente alti in Grecia, Spagna e in Italia, dove gli abbandoni degli alunni stranieri sono più del doppio rispetto a quello degli alunni italiani. In Italia, il 34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di formazione professionale è nato all’estero, mentre tra gli studenti indigeni la percentuale scende al 14,8%; cifre entrambi superiori alla media europea, che è rispettivamente del 22,7% e 11%. L’Italia compare anche tra i Paesi con le più forti disparità tra tassi di abbandono maschili e femminili: la percentuale è del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le femmine (media europea 13,6% maschi, 10,2% femmine). Accanto all’Italia, i Paesi che registrano marcate disparità di genere sono Cipro, Estonia, Spagna, Lettonia, Portogallo e Islanda... E, ovviamente, la maggiore propensione all’abbandono scolastico da parte degli alunni di sesso maschile nel nostro Paese è particolarmente marcata nelle aree più disagiate. Insomma, stiamo parlando di un fenomeno preoccupante e non indolore economicamente, se è vero che dieci anni or sono costava ogni anno alle casse dello collettività ben 2 miliardi e mezzo di euro... Ma l’aspetto economico del problema non è quello più significativo: ci sono, piuttosto, i costi umani e sociali di cui è assolutamente necessario tener conto. Si scopre l’acqua calda, infatti, affermando che i giovani “dispersi”, oltre che preda della precarietà economica, soprattutto nelle aree a rischio possono facilmente trasformarsi in protagonisti di quella microcriminalità che ormai avvelena la vita quotidiana di tante nostre strade, piazze, città.

 

Una solitudine che fa paura

Unaltra considerazione ovvia, ma non per questo meno inquietante, è la condizione di solitudine che sempre di più sembra caratterizzare il mondo degli adolescenti. Ormai quasi esclusivamente figli unici, privi della rete di relazioni e ludica una volta offerta da fratelli, cugini, amici di caseggiato, strada, rione; lontani i genitori, superimpegnati nel lavoro e nelle professioni; privi spesso anche della presenza costante e rassicurante dei nonni, i nostri apprendisti adulti passano gran parte del loro tempo assistendo a spettacoli televisivi non adatti alla loro età, assorbiti in videogiochi spesso violenti, perennemente attaccati ai telefonini… Sino a qualche tempo fa la società civile, dalle organizzazioni giovanili dei partiti alle parrocchie, si occupava ancora dei giovani e giovanissimi, offrendo loro occasioni e opportunità. Oggi, non solo questa attenzione sembra essere venuta meno, ma ormai la società considera i giovani soprattutto come utenti, clienti, consumatori e loro si sono facilmente adattati al ruolo che veniva loro richiesto.

Prima che lattuale situazione di dissipazione di intelligenze, di potenzialità, di risorse si trasformi nel genocidio culturale e morale delle attuali giovani generazioni si rende necessario un deciso intervento delle istituzioni. Nessun progetto faraonico, solo buon senso e misura: offrire occasioni e spazi di incontro, partendo dalle scelte urbanistiche; fare delle scuole davvero dei luoghi di cultura, lasciandole aperte anche in orario extrascolastico; compiere scelte finanziarie capaci di sostenere quegli enti e quelle associazioni che dimostrino di saper operare positivamente nel proporre modelli di vita e di comportamento altruisti e solidali.