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19 marzo: san Giuseppe frittellaro

 

 

19 marzo: san Giuseppe frittellaro

19 marzo: san Giuseppe frittellaro

 

Luciano Luciani

 

Giuseppe, il santo babbo di Gesù, lo festeggiamo all’antevigilia della primavera. Padre putativo, certo, ma con la missione di proteggere e custodire il Verbo incarnato e sua madre. Insomma, un protagonista assoluto del progetto divino della Salvezza, esempio di pazienza e mitezza, castità e virtù paterne. Assai apprezzato in oriente prima, in occidente poi, dove in tempi relativamente recenti è stato proclamato protettore della Chiesa universale, Giuseppe risulta molto amato a Roma, probabilmente per l’influenza esercitata nel corso dei secoli sugli orientamenti ideali e religiosi del popolo capitolino dalla Confraternita dell’Arte dei Falegnami, potentissima lobby professionale e non solo, sorta a Roma nel 1540, con san Giuseppe a suo patrono. Santo lavoratore, anzi proletario, il suo nome è stato sempre ben presente nell’onomastica delle famiglie umili della capitale che, povere di beni ma non di figli, non si facevano quasi mai mancare un Peppe, un Peppino o una Pina. 

 

Le frittelle di san Giuseppe

Festa di precetto (19 marzo) istituita da papa Gregorio XV e mantenuta tale fino a non molto tempo fa, ha visto le sue solennità intridersi di remote usanze popolari legate al ciclo della primavera e risalenti, credibilmente, alle Liberalia romane celebrate negli stessi giorni dell’anno in onore di Libero, antica divinità italica della fecondazione, poi identificata col greco Bacco, inventore del vino, divinità della festa, dell’allegria, della trasgressione. Nell’antica Roma, in occasione di questa festività gli adolescenti romani sedicenni indossavano la toga virile, mentre giovani sacerdoti e sacerdotesse, il capo ornato da serti di fiori e fronde, percorrevano le vie della città offrendo al dio il foculus, una pasta dolce molto simile alle frittelle nostrane. Una consuetudine, questa, che si è ripetuta ogni anno sino almeno alla metà del secolo scorso: intorno alla metà di marzo, infatti, il centro di Roma (piazza Barberini, piazza Navona, Campo de’ Fiori) e la sua periferia nord-est, soprattutto il quartiere Trionfale dove sorge la Basilica minore di san Giuseppe, si popolavano di bancarelle provviste di pantagruelici calderoni d’olio bollente in cui, venivano fritti per essere ovviamente consumati, migliaia e migliaia di frittelle e bignè in onore del casto sposo di Maria. Giuseppe, infatti, secondo una originale versione tutta romana della storia sacra frutto della fervida fantasia del popolino, per campare la famiglia dopo la fuga in Egitto avrebbe esercitato per qualche tempo e con un certo successo anche il mestiere di friggitore. Così raccontano questa curiosa riconversione professionale del santo più importante di tutti quanti gli altri. i versi bonari e affettuosi del poeta romanesco Adolfo Giaquinto (1847-1937):

 

San Giuseppe faceva er falegname

e benché fusse artista del talento

nun se poteva mai levà la fame

pe cquanto lavorasse e stasse attento:

un giorno fece: “Alò! Ccambiamo vento.

Lassam’annà ‘sto mestieraccio infame!”

Prese ‘na sporta, messe tutto drento,

e ccaricò er somaro de legname.

Poi se n’annò in Egitto co’ Maria,

e doppo un par de giorni ch’arivorno

uprì de botto ‘na friggitoria.

Co’ le frittelle fece gran affari,

apposta in tutta Roma, in de sto ggiorno

sorteno fòra tanti frittellari.

 

 

Se per l’antropologia culturale il fuoco e il fumo rimandano a riti antichi di purificazione agraria tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, a noi, ragazzi di ieri che ci aggiravamo con curiosità e stupore - e un certo appetito proprio dei figli dell’immediato dopoguerra - per le strade e le piazze di Roma, rimane il ricordo, indelebile nella memoria, di un sentore, forte e solleticante, di fritto nel naso e di un sapore, dolce e unto, nel palato.

 

 

Ricette frittelle e bigné

 

Le frittelle di san Giuseppe

 

Dose per 30 persone.

In un litro d’acqua fate bollire 300 gr di burro, 100 gr di zucchero e un pizzico di sale.

Togliete la pentola dal fuoco e versate a piaggia un kg e 150 gr di farina finissima, ben attenti a non far formare dei grumi.

Rimettete l’impasto sul fuoco e per 5 minuti mescolate con energia.

Lasciate raffreddare l’impasto e poi una alla volta sempre sbattendo l’impasto unite 15 uova intere e 10 tuorli, 5 cucchiaiate di liquore e 5 cucchiaini di lievito in polvere. Sbattete forte fino a far diventare la pasta soffice e cremosa. Lasciate riposare per ¾ d’ora, quindi prendendola a cucchiaiate friggetele in olio bollente e abbondante. 

 

I bignè di san Giuseppe

 

200 gr di farina

4 uova

100 gr di burro

1 pizzico di sale

1 cucchiaio di zucchero a velo

Olio di arachidi per friggere

 

Per il ripieno dei bignè

 

2 tuorli d’uovo

50 gr di farina

70 gr di zucchero,

1/2 litro di latte

1 limone (buccia)

 

Poni sul fuoco 30 cl d’acqua raccolta in un tegame dal fondo pesante, a cui avrai aggiunto un pizzico di sale e unito il burro. Al momento dell’ebollizione, versa insieme la farina e lo zucchero a velo. Mantieni la casseruola sul fuoco a fiamma modesta e lavora energicamente il composto con un cucchiaio di legno fino a quando la pasta si staccherà dalle pareti della casseruola. Ritirala dal fuoco e aggiungi le uova, sbattendo vigorosamente, aggiungendo un uovo alla volta e solo quando ognuno di essi sarà stato ben incorporato alla pasta, da rendere soffice ma consistente. A questo punto lasciala riposare per circa un’ora. Metti sul fuoco la padella piena per 1/4 di olio e, una volta che risulti moderatamente caldo (160°C), friggi le palline di pasta. Poche alla volta, per carità, perché i bignè tendono a gonfiarsi. Rialza allora la temperatura dell’olio, lasciali dorare autonomamente da una parte e dell’altra e asciugali su un foglio di carta da cucina. Prima di friggere il resto dell’impasto abbassa di nuovo la temperatura dell’olio e quando i bignè saranno pronti non dimenticare di rotolarli nello zucchero. Una volta fritti, farciscili con una crema non troppo solida da introdurre con una siringa da pasticcere.