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Il diario spaziale

 

 

Stephen Hawking

Il diario spaziale

 

Guido Andruetto, collaboratore de la Repubblica (articolo del 22/1/2017 introvabile in internet)

 

Perché la divulgazione scientifica è così importante? E come farla apprezzare ai più piccoli? Lo spiega Lucy Hawking che insieme al padre Stephen, il più celebre fisico dopo Einstein, ha messo a punto un programma di astrofisica e astronomia adottato dalle scuole inglesi.

Un diario per apprendisti astronauti, supportato da una piattaforma multimediale accessibile gratuitamente per seguire lezioni di astrofisica e astronomia. Il “Principia Space Diary” è il nuovo programma di formazione adottato dalle scuole inglesi che prenderà il via il 30 gennaio. Promosso da Curved House Kids, Queen Mary University of London, UK Space Agency ed Esa, si basa sui contributi fra gli altri di Lucy Hawking, giornalista e scrittrice, e di suo padre, l’astrofisico Stephen Hawking, con cui ha già firmato cinque libri per bambini e ragazzi — la saga di George e Annie (l’ultimo, “I cercatori dell’universo”, è pubblicato in Italia da Mondadori) — dove, con rigore scientifico e semplicità nell’esposizione, si  presentano le più recenti scoperte della scienza sull’universo, spiegandone i misteri e divertendo i lettori.

Poco più di una settimana fa Lucy ha festeggiato nella sua casa a Londra il compleanno del papà, e insieme hanno completato i testi delle loro lezioni che saranno oggetto di studio per ottantamila studenti di millecinquecento scuole del Regno Unito.

Abbiamo conversato con la figlia dello scienziato, cosmologo e grande studioso dei buchi neri, per capire come deve cambiare la divulgazione scientifica quando si rivolge ai più giovani.

 

Quali sono gli ingredienti giusti per rendere più appetibile ai ragazzi la scienza?

«Potrei rispondere raccontandole di quando abbiamo deciso con mio padre di scrivere il nostro primo libro scientifico per i giovani lettori. Eravamo abbastanza soli in questa impresa. C’erano tantissimi testi e programmi televisivi per gli adulti, ma ben poco per i bambini e i ragazzi, e nulla che combinasse la fantasia con la scienza. Al tempo stesso notavamo che altri media stavano utilizzando sempre di più le informazioni sull’origine e l’evoluzione dell’universo, e che molti artisti, per esempio, si ispiravano alle foto del telescopio spaziale Hubble per le loro opere.

Insomma la cosiddetta scienza “pop” si stava diffondendo, ma c’era comunque una carenza di offerta per la fascia di età che volevamo raggiungere, cioè i bambini di età scolare. Così abbiamo deciso di inventarci noi un nuovo modello di divulgazione scientifica».

 

Da dove siete partiti?

«Da una domanda che è stata posta a mio padre da un suo fan molto giovane: “Che cosa mi succederebbe se precipitassi in un buco nero?”. Abbiamo trasformato questa domanda in una storia in cui, attraverso la narrazione, che si sviluppa come un’avventura elettrizzante di scoperta, abbiamo trovato il modo per unire informazioni fattuali e interpretazioni creative sulla scienza dei buchi neri. In fondo non abbiamo fatto altro che raccontare il modo in cui gli scienziati vedono il loro lavoro: come un’affascinante avventura appunto. Credo quindi che il segreto per attirare i giovani lettori possa essere quello di iniziare la narrazione con una domanda interessante e affascinante, ma semplice, che faccia riferimento a un universo che loro già conoscono. Tipo: come possiamo viaggiare attraverso l’universo? Oppure, perché assomiglio ai miei genitori? Partire dalle loro esperienze è sicuramente il sistema più efficace per avvicinare i bambini a questi temi».


Secondo lei che cos’è e che ruolo gioca la “meraviglia” nella scienza?

«Fenomeni come la vita sulla Terra o la stranezza del nostro universo possono suscitare grande meraviglia. Credo quindi che lo stupore di un bambino possa dipendere da un lato dalla complessità e dalla diversità del mondo naturale che ci circonda, e dall’altro dalla portata sempre più rilevante che sta assumendo la nostra conoscenza dell’universo che abitiamo. Ma, ancora più sorprendente secondo me, è il fatto che noi umani abbiamo la possibilità di comprendere l’universo. Trovo incredibile che dalla teoria, dall’osservazione e dagli esperimenti, siamo riusciti addirittura a capire come funziona. Naturalmente non abbiamo ancora un quadro completo, non sappiamo come sia iniziata la vita sul nostro pianeta per esempio, ma col tempo ci arriveremo. Il nostro compito come divulgatori è quello di partire dalla meraviglia per riuscire a dare una spiegazione, senza per questo togliere fascino, anzi aggiungendolo».

 

Che cosa serve dunque a un bambino per capire meglio la scienza?

«Un bravo maestro, senza dubbio. Ho fatto il giudice di un contest, il “Breakthrough Junior”, un concorso internazionale che chiede agli studenti delle scuole di realizzare un breve video che illustri una teoria scientifica ai loro coetanei. Un aspetto interessante di questo contest sta nel fatto che non ci limitiamo a  premiare il vincitore, ma estendiamo il riconoscimento anche agli insegnanti, che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’ispirare e motivare i loro allievi».

 

In che cosa consiste esattamente questo nuovo progetto per i ragazzi  previsto dalla scuola  inglese,  il progetto “Space Diary”?

«È un programma didattico-scientifico attraverso cui i ragazzi creano un proprio libro, seguendo la missione dell’astronauta Tim Peake. Si compone di testi digitali, scaricabili online gratuitamente, e di un libro stampato che ciascun studente può personalizzare inserendo informazioni e dati sull’incredibile esperienza che ha vissuto Tim in orbita».

 

Suo padre ha compiuto settacinque anni e ha contribuito non solo enormemente all’innovazione in campo scientifico ma anche alla divulgazione, fatto non meno importante. Che esempio rappresenta per le nuove generazioni?

«Nessuno avrebbe mai pensato che potesse raggiungere questa età. Da giovane, quando gli fu diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, gli venne detto che sarebbe vissuto solo per un paio di anni. Quindi è un miracolo non solo che sia ancora con noi, ma che lavori  così attivamente, portando  ulteriori contributi alla  fisica con i suoi  studi  sulla  gravità quantistica. Tuttavia è stata proprio la sua apertura verso il pubblico non specializzato a procurargli un’enorme popolarità in tutto il mondo. Attraverso i suoi libri, le conferenze, i programmi tv è entrato in contatto con persone che altrimenti non si sarebbero interessate alla scienza. Il suo senso dell’umorismo inoltre credo sia riuscito a conquistare i più giovani, perché lo hanno visto in cartoni animati come I Simpson e Futurama o nella sitcom The Big Bang Theory».

 

Ecco perché la divulgazione scientifica è fondamentale: un cartone animato dei Simpson può far innamorare della matematica in età precoce un futuro Hawking. Oppure anche, semplicemente, renderla meno ostica a un appassionato lettore di avventure.