Tante nocciole, tanta neve
Luciano Luciani
Ordine delle Fagales, famiglia delle Betullacaee, genere Corylus, il nocciolo, fin dalla preistoria, è presente allo stato spontaneo nell’Africa del Nord, in Asia occidentale e in Europa dove probabilmente è stata la prima specie arborea a fare la sua apparizione sulle terre abbandonate dai ghiacciai: stiamo parlando di un’epoca lontana tra i 10.000 e gli 8.000 anni fa, mentre ai nostri giorni è largamente coltivato in tutto il mondo per i suoi frutti. Resistente al freddo, ama i climi temperati e i terreni sciolti, un po’ freschi, non a pieno sole. Di solito non raggiunge grandi altezze, in genere 6-7 metri, anche se alcune specie, apprezzate per la produzione del legno, possono superare i 30 metri; non particolarmente longevo, di rado arriva a sfiorare il secolo di vita, la corteccia si presenta squamosa e lenticellata. Possiede foglie cuoriformi, doppiamente seghettate, pelose di sotto. I fiori unisessuali compaiono da gennaio a marzo: gli staminiferi sono in amenti cilindrici, pendenti; i pistilliferi sono racchiusi in una sorta di gemme di color verde, ascellari, sessili, poco appariscenti da cui sporgono soltanto gli stimmi di colore porporino. Questi fiori femminili diventano poi gli acheni o nocciole, che stanno dentro brattee frastagliate, ovvero un involucro erbaceo, campanulato, dentato e sono sovente riuniti a due e a quattro: la maturazione avviene di solito verso la fine dell’estate o nel mese di settembre. La specie Corylus avellana, che è quella che maggiormente interessa per gli usi alimentari che se ne fanno fin dal Neolitico, è oggi la più diffusa nel bacino del Mediterraneo e nel Bel Paese: in particolare nelle zone che vanno dai 300 ai 700 metri d’altezza anche se, negli ultimi decenni, è stato dimostrato che buone colture si possono realizzare anche ad altitudini superiori ai 1200 metri.
Per la sua fioritura precoce il nocciolo è ambìto dalle api che tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera sono già fuori dall’alveare alla ricerca di cibo e svolge, quindi, la funzione importante di pianta mellifera. I suoi frutti rappresentano il proverbiale nutrimento degli scoiattoli (chi non ricorda Cip e Ciop, i simpatici animaletti disneyani golosi di nocciole?) e sono graditi anche da colombacci, ghiandaie e fagiani… Nei boschi gli arbusti del nocciolo sono dimora dell’allocco, del gufo reale e tana invernale del ghiro, come ci ricorda anche un verso dei pascoliani Primi poemetti: “Che è? Crocchiava un ghiro sul nocciuolo?”
De nuce fit corylus…
Del nocciolo è, intanto, utile il legno: elastico, resistente è stato utilizzato fino a qualche decennio or sono, prima della Grande Rivoluzione Consumistica, per la realizzazione di gran parte degli oggetti d’uso propri della vita in campagna: per esempio, i rami dritti e flessibili venivano adoperati per realizzare fruste, le poetiche, dannunziane, verghe d’avellano; cerchi da barile; pali per recinti e staccionate; nasse, ovvero trappole per pesci e crostacei; manici di cesti, bacchette da rabdomante… Inoltre, dal carbone di nocciolo si producevano sia polvere da cannone assai apprezzata da artificieri e artiglieri almeno sino alla metà dell’Ottocento, sia eccellenti carboncini da disegno.
Il nocciolo selvatico produce un frutto bislungo, col guscio durissimo e di scarso valore alimentare se paragonato a quello di varietà coltivate che proprio dal primo hanno avuto origine: per esempio, la Nocciola franca a frutto oblungo dal guscio semiduro, con la sottovarietà a pellicola bianca, precoce, e quella a pellicola rossa; oppure, la Nocciola avelina, col frutto di forma ovoide, arrotondata, col guscio semiduro, anche questa con le sottovarietà a pellicola bianca e rossa; la Nocciola d’Inghilterra, adattissima per la tavola; la Nocciola del Piemonte o di Provenza dal frutto rotondo o allungato, a guscio tenero la cui coltura ha incominciato ad affermarsi nel Piemonte meridionale nella prima metà del XIX secolo e ha preso una definitiva consistenza negli anni Trenta del Novecento; ultima a essere valorizzata, ma non meno importante, la Tonda di Giffoni, in provincia di Salerno, dalla forma rotonda, la polpa bianca, consistente e dal sapore vagamente aromatico.
Se “il giorno della Maddalena (22 luglio) la nocciola è piena”, il frutto si raccoglie, però, qualche settimana più tardi, nel periodo di settembre/ottobre. Ma attenti alle improvvise piogge estive, perché secondo la saggezza antica dei romagnoli s’o piov per Sant’Ana, o péro l’avolana e o venz la castagna: “se piove per Sant’Anna (26 luglio), perde la nocciola e vince la castagna”. Di solito si aspetta che esse cadano a terra così da essere certi che la loro maturazione sia definitiva. Vengono poi accuratamente lavate e fatte asciugare al sole per qualche giorno. L’essiccazione viene completata per mezzo di forni.
Non si dimentichi mai, però, che, secondo la saggezza popolare, un abbondante raccolto di nocciole prepara un inverno particolarmente rigido: “tante nocciole, tanta neve”.