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La Biologia in Italia e il contributo di Pietro Omodeo

La Biologia in Italia e il contributo di Pietro Omodeo

di Marcello Buiatti

 

Marcello Buiatti e Pietro Omodeo
Marcello Buiatti e Pietro Omodeo

Il contributo che Pietro Omodeo ha dato e sta dando, non solo alla Biologia ma a tutto il pensiero italiano, è grande; ho qui un suo ultimo lavoro che ancora non è stato pubblicato e di cui vi parlerò. Il 2009 è un anno di anniversari, ce ne sono moltissimi: Omodeo compie novant’anni, è l’anniversario di Darwin, di Galileo e di Lamarck - che in genere viene dimenticato - è anche l’anniversario del Manifesto Futurista. A parte quest’ultimo, che però segna una svolta nel pensiero collettivo che ha avuto forti riflessi anche sulle scienze della vita, i tre personaggi che citavo hanno contribuito profondamente allo sviluppo non solo del pensiero biologico ma di tutto il pensiero umano. La peculiarità della Biologia e delle Scienze naturali, le Scienze applicate alla Natura, è infatti quella di studiare la vita e quindi, di fatto, chi studia Biologia studia contemporaneamente sé stesso perché è vivo lui stesso.

Per questo da un lato la società influenza le scienze della vita, ma dall’altro queste influenzano, con i concetti che ne derivano, i nostri comportamenti individuali e collettivi. Ad esempio la Genetica, che poi è la mia disciplina, ha avuto effetti negativi o positivi sul nostro modo di comportarci con gli altri. Si pensi ad esempio agli studi sulla razza, che poi si sono rivelati falsi: sappiamo tutti come sono stati utilizzati dal Fascismo e dal Nazismo i dati che allora sembravano incontrovertibili sull’ereditarietà del comportamento. Ancora più significativi sono stati i contributi di coloro di cui viene festeggiato il centenario, sulla metodologia dell’osservazione della Natura e su come deve funzionare un cervello per osservare la Natura, tenendo conto che la Natura è “multiversa”, nel senso che ci sono moltissime caratteristiche che appaiono contraddittorie o meglio antinomiche ma in realtà sono e devono coesistere come ad esempio continuità e discontinuità, variabilità ed ordine, genotipo ed ambiente, e così via .
La mostra su Galileo che c’è qua a Pisa a Palazzo Blu e che è bellissima, è organizzata da Lucia Tongiorgi in modo originale, ci fa vedere non Galileo scienziato e nemmeno ciò che è successo tra Galileo e la Chiesa, ma Galileo com’era da un punto di vista culturale e mentale e l’influenza delle sue scoperte astronomiche sulla pittura. Galileo era infatti figlio di un musicista ed era lui stesso un ottimo musicista, un ottimo suonatore di liuto, disegnava meravigliosamente, era un pittore di grandissimo livello, era uno che leggeva e commentava la letteratura (per es. era innamorato dell’Ariosto e odiava il Tasso). Era cioè un personaggio rinascimentale nella sua interezza. In Italia abbiamo avuto un meraviglioso Rinascimento, non soltanto per le opere artistiche che in quella epoca sono state prodotte ma perché gli uomini del Rinascimento erano studiosi a tutto tondo e non davvero mono-disciplinari come purtroppo si tende ad essere adesso: basti pensare a Piero della Francesca per la Matematica e per il simbolismo raffinatissimo delle sue pitture, a Leonardo da Vinci ecc. Tutti i grandi ma anche i meno grandi - pittori, scultori - erano anche matematici, fisici, studiosi delle Scienze naturali, erano capaci di un pensiero non frammentato. Il vero pensiero, infatti, non può essere «spezzettato», si devono raccogliere concetti da tantissime discipline, metterli insieme e ne scaturiranno nuovi concetti che sono validi se hanno l’apporto di quante più aree possibili del pensiero umano. Chi insegna Scienze lo sa bene o almeno dovrebbe saperlo, quelli che lavorano per “Naturalmente” lo sanno benissimo, tanto è vero che tutta la storia della rivista testimonia questo modo di agire verso l’osservazione della Natura e anche questo modo di divulgarla, di raccontarla agli altri; chi studia la Natura deve sapere un po’ di filosofia, deve sapere qualcosa della metodologia, qualcosa ovviamente delle altre Scienze, un po’ di musica, un po’ di arte e di poesia; secondo me, perché se è così capirà molto di più di chi è strettamente legato alla sua disciplina, e credo che così fosse per Galileo.
Anche Pietro Omodeo è una di queste persone. L’ho conosciuto negli anni ’90 con il prof. Somenzi, perché si è formato un gruppo a Roma di discussione con i suoi allievi, che si riuniva piuttosto frequentemente, in cui c’erano biologi e filosofi della Scienza che lavoravano sulla Biologia e sulle Scienze naturali. Questo gruppo è andato avanti, siamo ancora insieme grazie a Pietro e ad altri, abbiamo dato vita a un centro interuniversitario di Filosofia della Biologia che è ancora attivo, che lavora e che mi ha dato anche un enorme godimento intellettuale per il fatto di poter ragionare di Biologia in un gruppo di persone di formazione diversa dalla mia (i biologi sono relativamente pochi in verità: siamo io, lui e Aldo Fasolo, essenzialmente). Pietro ha sempre usato questo tipo di ragionamento, per questo ha dato un contributo enorme in questo senso, mentre il nostro Paese, invece, purtroppo lo utilizza molto poco, è tra i Paesi meno interdisciplinari che io conosca. In Francia, in Inghilterra ho constatato che c’è un pensiero interdisciplinare e lì ha una connotazione positiva l’uso di concetti che provengono da altre discipline, in Italia no, viene considerato negativamente. Tra i biologi, e anche tra i genetisti, se uno si mette a leggere, studiare e scrivere in modo interdisciplinare viene giudicato uno che si diletta in altri campi perché “non è più capace di fare gli esperimenti”. Studiare in modo non interdisciplinare, gli esseri viventi in particolare, porta a conseguenze ferali sui risultati perché gli esseri viventi hanno e devono avere contemporaneamente, caratteristiche contrastanti, e sono sopravvissuti proprio perché capaci di essere così; gli esseri viventi devono essere variabili, e vengono selezionati a vari livelli, non c’è solo la selezione da parte dell’ambiente che filtra “attivamente” solo i genotipi più favorevoli la selezione, come giustamente dice Omodeo, è un fatto dialettico, non in senso rigido, hegeliano, ma nel senso che c’è una dialettica tra l’organismo e l’ambiente, una interazione dinamica perché i viventi sono variabili ma hanno dei vincoli, si creano dei vincoli loro per la loro organizzazione e hanno dei vincoli in funzione dell’ambiente. Gli esseri viventi hanno caratteristiche continue, ma contemporaneamente hanno caratteristiche di discontinuità, perché il DNA funziona in quanto molecola complessiva, non in quanto pezzettini ciascuno dei quali dice un pezzetto di cose.
Questi concetti non si rifanno all’olismo classico, ma semplicemente portano a considerare la coesistenza di caratteristiche opposte, apparentemente opposte secondo il nostro cervello, ma non opposte in realtà perché insieme debbono esserci tutte. Questo fenomeno è stato studiato molto da Pietro anche quando parla di informazione, questione affrontata spesso nella sua storia di scienziato, con concetti che chiariscono a fondo che cosa si intende con questo termine, fatto questo estremamente importante nel nostro Paese dato che è purtroppo una caratteristica italiana dibattere sui termini e non sul loro significato.
Pietro Omodeo ha invece spiegato, in diversi saggi, il rapporto tra vita e cibernetica - anche in termini matematicamente corretti - che cosa vuol dire informazione, se questo concetto funziona o non funziona nel caso della vita, ha cercato di collegare questi elementi anche per evitare che il concetto di informazione sia usato in modo sbagliato o in modo troppo rigido come lo usano quelli che rappresentano gli esseri viventi computer dotati di un solo programma. Non a caso infatti Pietro si è riallacciato all’opera di Schrödinger e altri che hanno inserito in Biologia il concetto di informazione dando quindi un significato non alla lettera, ma legato a questa visione. Visione che è stata possibile grazie all’enorme cultura di Pietro Omodeo che deriva dall’aver letto i libri che prima sono stati presentati da Brunella Danesi, che formano la base per una caratteristica che ogni studioso della natura dovrebbe avere: conoscere la storia delle Scienze naturali. Pietro Omodeo alla storia si è dedicato moltissimo e continua a farlo perché è veramente importante studiare la formazione del pensiero scientifico, capire e imparare la metodologia, come ha fatto Darwin, per esempio, che metteva insieme e prendeva in esame tutte le caratteristiche che ha l’evoluzione. Come si vede ad esempio dal fatto che le leggi dell’evoluzione di Darwin avevano contenuti «lamarckiani», come l’uso e disuso degli organi e l’effetto diretto o indiretto dell’ambiente.
Questo tipo di pensiero è durato relativamente poco perché è stato colpito duramente da quello che è avvenuto nell’epoca moderna, che nelle scienze della vita ha avuto il suo apice negli anni ’50 - ’70 del secolo scorso, in cui si sono formati schieramenti opposti su tutta una serie di supposte antinomie. Omodeo parla per esempio di Jacques Monod come estremista di un certo pensiero meccanicista. Naturalmente ci sono elementi e processi che appaiono meccanici nella natura, però Monod ha estremizzato questa componente e soprattutto l’ha idealizzata arrivando a dire che il DNA è “l’invariante fondamentale”. Questo significa ridurre il DNA ad una idea, perché il DNA non è un’invariante fondamentale, che è un concetto filosofico, ma è una molecola che contiene alcune informazioni, è ben fatto solidamente di materia, non è un’invariante che sembra quasi un nuovo dio tanto è vero che Jacob, un vecchio amico di Monod che aveva studiato insieme a lui il primo sistema di regolazione scoperto in biologia, aveva un approccio molto diverso. Confrontando La logica del vivente di Jacob con Il Caso e la necessità di Monod si vede che c’è una visione molto diversa, molto più complessa nel caso di Jacob ed è questa complessità che ha commentato Pietro Omodeo nel suo saggio di prossima uscita sulla storia naturale delle cellule. Questo vuol dire che studiare gli antichi, studiare la storia dei concetti biologici, ci permette di comprenderne di nuovi, non esistono dubbi. Nella sua nuova opera, che ho appena scorso perché l’ho avuta poco fa., Omodeo affronta un tema di enorme importanza: l’evoluzione delle cellule. Non è chiaro infatti come si è passati dalla cellula procariota a quella eucariota e anzi questo è ancora un dei maggiori problemi rimasti insoluti, che è stato affrontato molte volte ma mai completamente. Ho letto quindi con grande gioia la storia della evoluzione della cellula, come è cambiata durante l’evoluzione con notizie aggiornatissime che ci daranno senza dubbio e questo ci dà senz’altro delle indicazioni per ricerche future. Lavorare in questo modo significa avere una mente libera, essere il meno possibile influenzati da idee extra-scientifiche e combattere anche, e questo Omodeo lo ha fatto per tutta la vita, la negativa intrusione di dogmi nelle scoperte scientifiche e nel lavoro della scienza. Questo è uno degli scopi della vita di Omodeo, non è il solo, ma lui l’ha perseguito con grande determinazione anche studiando le storie di vita dei biologi. Ha scritto così una serie di saggi, alcuni dei quali si possono leggere in un libro che si chiama Gli abissi del tempo, che raccontano quello che è successo nelle vite di una serie di personaggi che hanno voluto dire delle cose eretiche, eretiche in senso stretto, nel senso che andavano contro le Scritture o andavano contro la visione dominante di quello che le Scritture dicono. C’è per esempi un bellissimo saggio su Lamarck che, prima ancora di Darwin e in modo forse anche più deciso, parlava del cambiamento evolutivo affermando che avviene esclusivamente per ragioni fisiche ed era fra l’altro uno dei pochissimi eretici che ammetteva il cambiamento nella evoluzione. Conoscete bene le persecuzioni che Lamarck e tanti altri, come Diderot ad esempio, hanno subito per aver dato delle spiegazioni anticreazioniste del cambiamento, posizioni ancora attuali perché sappiamo che la storia non è ancora finita. Omodeo si pone anche in questa circostanza in modo molto pacato, come pacata deve essere una persona che fa Scienza che non ha bisogno di bandiere ma che reagisce quando cercano di impedirgli di pensare. Impedire di pensare si fa in tanti modi, in questo momento uno dei modi che non ci fanno pensare nel nostro Paese è per l’appunto la frammentazione e l’agitazione delle bandiere: oggi si parla di chi è per i cloni e chi è contro, chi è per gli OGM e chi no, chi è per la creazione e chi no, ma non si discute più nel merito di cosa sono OGM e cloni né tanto meno sulla evoluzione o sulla esistenza di Dio. Naturalmente essere creazionista o no è un fatto religioso e quindi individuale e non si discute in quanto tale, ma il fatto di volere discutere nel 2009 del «disegno intelligente» in termini scientifici per me è pazzesco. In Italia non c’è discussione, si agitano solo bandiere. L’Italia è particolarmente sfortunata da questo punto di vista perché in questo Paese, con il fatto che abbiamo la Chiesa che ogni tanto ci tira bastonate, noi stessi abbiamo reagito, non come fa Omodeo, cioè ragionando e andando a vedere come stanno le cose, ma semplicemente dicendo no ad una visione e contrapponendone un’altra. Ognuno ha diritto di reagire in questo modo, ma non risolve il problema, soprattutto quando insegna, quando parla agli altri deve parlare da scienziato perché, come diceva Darwin, noi abbiamo bisogno di una spiegazione, noi non diciamo: «Voi non dovete credere a quelle spiegazioni», ma noi diciamo: «Noi non abbiamo bisogno di dogmi, abbiamo la nostra Scienza che ci spiega perfettamente, ci permette di spiegare quello che è successo. Stiamo continuando a capire sempre di più perché noi procediamo in questo modo, non per dogmi!» Il termine dogma, dice Omodeo, si può fare a meno di usarlo; anche Francis Crick avrebbe potuto fare a meno di usarlo il suo “dogma centrale” della biologia molecolare. Avrebbe dovuto tener presente quanto afferma Darwin, nella Autobiografia, in cui dichiara di essere fiero di avere sempre avuto una mente libera tanto da poter rigettare qualsiasi sua ipotesi, anche quella più amata. E’ questo quello che devono fare gli scienziati ed è questo che ci differenzia, non la bandiera. Dobbiamo combattere perché la Scienza non venga data soltanto a pezzetti, ma venga fatta comprendere e ci sia un dialogo tra chi ne parla in modo che se ne comprendano le implicazioni.

 

Marcello Buiatti e Pietro Omodeo
Marcello Buiatti e Pietro Omodeo

Anche il fatto di insegnare - voi lo sapete benissimo, ma tanti altri no - non vuol dire appiccicare delle nozioni ai cervelli ma insegnare i concetti; se si insegnasse un pochino anche la storia della Biologia tutto sarebbe più semplice. È un fatto confortante che a Firenze ci sia uno storico della Biologia, Giulio Barsanti, ordinario nel nostro dipartimento, non credo che altri ce l’abbiano, ma penso che sia importante ripercorrere nell’insegnamento anche le vite di alcuni scienziati e raccontarne la storia, capire il loro metodo di lavoro e come hanno compreso i fenomeni studiati perché questo aiuterebbe i ragazzi a capire qual è il metodo insieme induttivo e deduttivo del sapere.
In questo momento noi siamo in una situazione peggiore rispetto a qualche anno fa. Attualmente la frammentazione e la agitazione delle bandiere stanno diventando sempre di più una consuetudine che è d’altra parte stimolata ed indotta da quelli che ci governano, lo dico con molta chiarezza perché adottare un dogma come quello del creazionismo, ha implicazioni anche su altri piani non razionali, mentre ritengo che si debba reagire come scienziati contro la frammentazione, contro le bandiere agitate, contro la non discussione che è sempre stata il preliminare delle dittature. Il non pensiero ha delle ragioni, il cercare di far «non pensare» la gente ha delle ragioni, noi che insistiamo e cerchiamo di pensare abbiamo difficoltà a farci sentire ora come sempre perché quelli che ragionano come noi non sono pochi, ma sono sempre stati minoranza anche perché ragionare costa un po’ di fatica a volte. Ragionare però è molto bello, è una delle cose più belle della vita. Ecco perché io ammiro Pietro e siamo molto amici da molto tempo, e spero che continui così a godere del pensiero ancora per moltissimo tempo e che ci faccia godere come ha fatto fino ad oggi.

 

Marcello Buiatti
Genetista, Firenze