Se permettete parliamo di cacca
Luciano Luciani
Un puzzo orrendo. Un fetore innominabile degno delle mitiche, puzzolentissime e malsane stalle di re Augia che solo Ercole riuscì a ripulire. Fu questa la più che sgradevole sensazione che provarono gli abitanti di Londra nel rovente agosto del 1858: il loro fiume, il Tamigi, si era trasformato in una nauseabonda fogna a cielo aperto, a causa della recente passione dei londinesi per il water closet a sciacquone, installato in decine di migliaia di abitazioni che scaricava direttamente nel fiume. Un classico caso di ‘eterogenesi dei fini’, un disastro igienico-olfattivo, un tanfo miasmatico che costrinse gli uffici pubblici ad accorciare gli orari e il Parlamento di Westminster a sospendere i lavori. Ma non furono questi gli unici provvedimenti presi a seguito della ‘grande puzza di Londra’. Sensibilmente toccati dal problema, i politici del tempo, in tutta fretta, si risolsero a stanziare l’imponente, per allora, cifra di tre milioni di sterline per una trasformazione del sistema fognario e un miglioramento della legislazione in materia di salute pubblica.
Un aneddoto maleodorante per introdurre un tema rimosso dai più, ma fondamentale per le sue implicazioni igieniche, sanitarie, di qualità della vita di milioni, miliardi di persone: quello della evacuazione degli escrementi e dell’inquinamento che ne deriva in mancanza delle necessarie strutture di smaltimento e depurazione. Più di un terzo della popolazione mondiale non dispone di gabinetti né dei raccordi tra questi e il sistema fognario. Per oltre due miliardi di persone la latrina è costituita da un buco in terra o al più fosse settiche prive di un regolare sistema di eliminazione. Così, solo una minima parte dei prodotti umani viene trattata, mentre i nove decimi di essi finiscono nei fiumi con le relative devastanti conseguenze sia sull’ambiente - vita vegetale, pesci - sia sulla salute della gente. Sì, perché quei corsi d’acqua, efficaci agenti di assorbimento e smaltimento, sono gli stessi fiumi che vengono utilizzati per fare il bagno, lavare i panni, attingere l’acqua per il consumo delle popolazioni e del bestiame: acque, va senza dire, infette per la presenza di miliardi di microbatteri presenti anche in una piccola quantità di materiali fecali. Nelle campagne del mondo (Africa, Asia, America Latina) e negli sterminati agglomerati urbani, superfetazioni metropolitane che sempre più numerose punteggiano il pianeta - township, bidonville, baraccopoli, slum - milioni di persone contraggono malattie a causa delle particelle fecali presenti nei fiumi, nel mare, nei campi e sulle strade. I germi patogeni si depositano sui corpi, sugli abiti, nei recipienti, nelle cucine ingeriti da tutti coloro che vivono nelle periferie del mondo. Non sorprende quindi che oggi la diarrea da carenze igieniche sia la seconda causa di mortalità infantile nel mondo e se ogni anno un milione e mezzo di bambini muore a causa di infezioni diarroiche. Milioni di altri, poi, soffrono di febbri e infezioni parassitarie: per esempio quelle dovute all’ascaride, un verme che si impianta negli intestini e assorbe gran parte degli alimenti e provoca asma e mancato sviluppo fisico.
Cosa fare, dunque? Le agenzie internazionali rispondono educazione e l’utilizzo di un po’ di modeste tecnologie. Dall’India, dall’Indonesia e dal sud-est asiatico giungono esempi di attività produttive in cui ragazzi e ragazze, anche con qualche interessante ritorno economico, fabbricano parti di servizi igienici, provvedono alla loro commercializzazione, inoltro e messa in opera. Si tratta di esperimenti con un’interessante ricaduta sociale su cui indirizzare le - se Dio vuole - sempre più numerose e diffuse iniziative di microcredito ben presenti anche nel nord del mondo. Da finalizzare, senza tabù, a gabinetti decenti, perché la strada della conquista della dignità passa anche di lì.