Fra occasionalità e progettazione
Lasciar entrare in classe ciò che accende la curiosità e fa sorgere problemi nel quotidiano contribuisce a comunicare agli alunni l'idea che a noi stia a cuore il loro desiderio di conoscere
Maria Castelli
C’è una progettazione di Istituto e c’è una progettazione calibrata dall’insegnante sulla classe, a partire dalla precedente.
È opportuno tuttavia che l’insegnante si riservi con determinazione un certo grado di libertà nel muoversi fra i diversi temi, fra i diversi contesti di apprendimento e nella scelta delle attività laboratoriali più adatte, come specificano anche le “Indicazioni per il curricolo” nell’introduzione alle Scienze:
“È importante disporre di tempi e modalità di lavoro che consentano, in modo non superficiale o affrettato, la produzione di idee originali da parte dei ragazzi, anche a costo di fare delle scelte sui livelli di approfondimento e limitarsi alla trattazione di temi rilevanti”.
Accadono fenomeni naturali ed eventi che non si possono ignorare a scuola.
Un terremoto, una frana, un’eclissi, l’avvio di una missione spaziale, un cielo serale con alcuni pianeti facilmente osservabili, ma anche una nevicata, o l’arrivo a scuola di un interessante reperto naturalistico sono soltanto alcuni esempi.
Se l’insegnante non presta attenzione ad un fenomeno naturale che fa parte del vissuto personale degli alunni e non ne sollecita l’attenzione, trasmette l’idea che conoscerlo non sia significativo e che le domande che spontaneamente molti bambini si pongono nel merito non siano la via da percorrere per imparare.
Al contrario, lasciar entrare in classe ciò che accende la curiosità e fa sorgere problemi nel quotidiano contribuisce a far maturare negli alunni l'idea che a noi stia a cuore il loro desiderio di conoscere e che noi accoglieremo ciò che riterranno interessante condividere con noi.
Va da sé poi che arrivino a scuola reperti già visti o sollecitazioni che richiedono pochi minuti e che possono attendere di essere inseriti in un contesto più ampio, insieme ad altri che valgono da soli una, più lezioni o momenti davvero speciali.
Quella che segue è una selezione di brevi percorsi imprevisti:
- La neve, finalmente
- Soluzioni e cristalli
- Nidi
- Come uno scherzo di carnevale
- Reperti estivi e non solo
La neve, finalmente classe prima, 2010
Non mancano mai le occasioni quotidiane a scuola per incominciare a parlare degli aspetti dell’acqua, per conoscerne alcune proprietà e per sperimentare i passaggi di stato. Fra queste, una nevicata è certamente la più suggestiva, anche se una delle più complesse, dato che può far sorgere domande nel merito di molti temi non sempre affrontabili in modo adeguato alla scuola primaria. Come sempre infatti, partire dalla realtà richiede un'operazione preliminare di distinzione e messa a fuoco dei numerosi fili disciplinari che si intrecciano.
Stanotte è nevicato. Dopo aver dato spazio all’incanto del paesaggio e promesso un tempo per il gioco prima di andare a casa, la richiesta di uscire a raccoglierne un bicchiere pieno suscita entusiasmo insieme alle prime domande:
Come pieno?
La possiamo schiacciare?
Pieno fino all’orlo oppure anche di più come il gelato nel cono?
Propongo ad un gruppetto di uscire in cortile con bicchieri e vasetti da riempire fino all’orlo, schiacciando quanto basta a non lasciare troppo spazio senza neve nel bicchiere.
Foto 1-2-3-4-5 ricavate da ripetizioni dell’esperienza con classi diverse
Lasciamo i bicchieri con la neve raccolta sullo scaffale. Chiedo di prevedere che cosa accadrà.
Molti si aspettano che la neve “si sciolga” e che nei bicchieri resti l’acqua. Preciso che è meglio dire che la neve fonde, “sciogliere” si dice ad es. dello zucchero nell’acqua, nel latte, nel caffè oppure del sale nell’acqua.
Che cosa c’è nei bicchieri? In sostanza com’è fatta la neve?
Vediamo i frammenti di ghiaccio, gli spazi “vuoti”, sappiamo che è gelata e soffice….
Dopo un’oretta, nei bicchieri c’è un blocchetto di ghiaccio pieno di bollicine, sospeso appena sopra la superficie e il vetro è freddo e bagnato.
Più tardi, i bicchieri sono asciutti e pieni fino a metà d’acqua.
Quando la lezione è finita, concordo di lasciare i bicchieri dove stanno. Che cosa si aspettano che succeda nei prossimi giorni?
“L’acqua andrà via”, dicono in molti, come quella che mettevamo nell’incubatrice sotto le uova, “ti ricordi maestra?” aggiunge una bambina.
Propongo a chi vuole di riprovare a casa nel pomeriggio, per vedere se succedono le stesse cose….
Di giorno in giorno fotografiamo, fino a quando tutta l’acqua si è asciugata.
“Un bicchiere è vuoto!” mi dicono una mattina…. “Guardiamo bene” suggerisco e faccio osservare che all’interno, sul fondo e sulle pareti c’è della polvere chiara.
Rappresentiamo le fasi dell’esperienza con il disegno e andiamo ad individuare le domande.
Nel quaderno è pronto un foglio con gli spazi opportunamente delimitati e con il bicchiere disegnato più volte. Discutiamo uno alla volta i disegni da realizzare e le brevissime frasi che andiamo a scrivere in corrispondenza.
Alla fine sintetizziamo il titolo nella prima pagina lasciata volutamente vuota:
PRIMA TANTA NEVE
POI POCA ACQUA
ALLA FINE SOLO POLVERE CHIARA
E dopo aver disegnato, cerchiamo le cose che non sappiamo. Facilmente, senza tanti interventi, arrivano i problemi:
- COME È SUCCESSO?
- PERCHÈ LA NEVE È FUSA E PERCHÈ L’ACQUA SI È ASCIUGATA?
- DOV’È ANDATA L’ACQUA?
L’esperienza è stata fatta, discussa e problematizzata; ora faccio spazio ad uno sviluppo narrativo, siamo in prima classe. Un’alunna ha portato alcune foto di cristalli di neve scattate con il papà e le guardiamo alla lim; da parte mia, completo il discorso con una narrazione riguardante Wilson A. Bentley e la forma dei cristalli di neve tratta da un vecchio numero di Airone Junior (1).
In seconda classe, si entrerà nel merito delle bollicine: l’aria che stava fra un cristallo e l’altro; si ragionerà intorno alla patina biancastra che è rimasta in fondo al bicchiere: in gran parte il pulviscolo che la neve raccoglie nell’aria mentre cade; si riporterà l’attenzione sul livello della neve e quello dell’acqua di fusione per notare che la neve occupa tutto il bicchiere, mentre l’acqua che ne deriva ne riempie più o meno metà, incominciando a ragionare intorno allo spazio occupato, cioè al volume.
classe terza, 2013
In terza, si è ripresa questa discussione, quando, acquisita una certa dimestichezza con la misurazione del peso, un’altra nevicata ha permesso di ripetere l’esperienza ponendo il bicchiere sulla bilancia a due piatti, per constatare che le grandezze in gioco sono due: il volume e il peso; il volume cambia, il peso no.
Foto 6-7-8-9-10-11
Tutti sanno che la neve fonderà (“si scioglierà” dicono ancora) e diventerà acqua. Ricordano l’esperienza svolta in classe prima.
Chiedo se è di più la neve che abbiamo raccolto per riempire il bicchiere o l’acqua che otterremo da quella stessa neve fusa.
Arrivano le diverse previsioni, qualcuno però intuisce che la domanda è generica e va precisata.
Di più che cosa significa? Che cosa devo guardare?
Insieme troviamo le variabili in gioco:
il livello raggiunto nel bicchiere
lo spazio occupato nel bicchiere (volume)
il peso (la massa, per essere precisi)
Sul livello nessun problema. Discutiamo invece come si chiama lo spazio occupato; naturalmente il primo e più noto significato del vocabolo VOLUME è riferito al suono; troviamo esempi per entrambi i significati; per quanto riguarda il peso si fa subito riferimento ad una bilancia che sta già in aula: è a due piatti con la classica pesiera.
Chiedo una previsione nel merito dell’andamento delle tre variabili:
- il livello della neve si abbasserà quando essa diventa acqua;
- il volume diminuirà: l’acqua occuperà meno spazio nel bicchiere;
- e il peso?
Qui i pareri sono fortemente discordi :
- pesa di più la neve (2 su 23)
- pesa di più l’acqua (12 su 23)
- il peso è lo stesso (3 su 23)
- non so (6 su 23)
Vengono notate le bolle d’aria che lasciano il blocchetto di neve e si vedono nell’acqua.
Ci si aspetta di trovare polvere sul fondo.
Si decide di scoprire il bicchiere per lasciar evaporare l’acqua.
Qualcuno spiega che la neve si è trasformata perché in aula fa caldo.
Quando la neve è tutta fusa e tutti hanno osservato che il peso dell’acqua di fusione è lo stesso della neve, togliamo il coperchio e lo lasciamo sul piatto della bilancia; i bambini sanno, anche dall’esperienza già svolta, che l’acqua se ne andrà via nell’aria e nel bicchiere resterà un po’ di polvere.
Di giorno in giorno si nota l’acqua diminuire nel bicchiere e il piatto della bilancia alzarsi.
Mi dicono che l’acqua se ne va perché è il calore dell’aula che la fa evaporare come dalle salviette bagnate che ogni giorno poniamo sui termosifoni per inumidire l’aria.
Il problema nuovo è che non sappiamo come questo accada, cioè come faccia il calore a far uscire l’acqua dal bicchiere e dalle salviette. È da qui che si ripartirà per i passaggi di stato.
(1) I segreti di un fiocco di neve, p. 22, Airone Junior, supplemento al n. 93, Editoriale Giorgio Mondadori.
Soluzioni e cristalli classi terze, 2013
È un percorso che prende il via su proposta di una delle due classi e prosegue con l’obiettivo di far riscoprire ai bambini che cos’è una soluzione.
Si ritorna dalle vacanze estive portando, com’è ormai abitudine, ciò che d’interessante viene trovato. Una bambina ha staccato dagli scogli alcune incrostazioni di sale marino che diventano oggetto di osservazione, come accade per tutti i reperti che arrivano in classe. Qualcuno chiede di poterlo anche assaggiare … ma in quelle condizioni, insieme a residui di alghe, a granelli di sabbia, passato in tante mani non è certo il caso. Un altro bambino chiede se non è possibile pulirlo. E qui si apre la discussione che dà il via alla ricerca.
Gli obiettivi sono parecchi, primi fra tutti, lo sviluppo dell’intraprendenza inventiva, la capacità di porsi domande e di cogliere problemi nelle situazioni operative, insieme all’abitudine alla correlazione tra FARE e PENSARE; nelle diverse discussioni occorrerà anche confrontare le proprie opinioni con quelle dei compagni, poi osservare, confrontare, descrivere, rappresentare, verbalizzare per scritto e a voce.
Per quanto riguarda i tempi, siamo intorno alle 7-8 ore, che risultano però frammentate anche in intervalli di mezz’ora - un’ora per la brevità delle numerose discussioni e delle esperienze.
1- Come pulire il sale marino
C. ha portato dal mare alcune incrostazioni di sale marino raccolte sugli scogli; qualcuno vorrebbe assaggiarlo, ma non è pulito. Si discute a più riprese. Ecco una sintesi:
Si scioglie in acqua? Allora potremmo lavarlo!
Potremmo lavarlo, ma nell’acqua non vedremmo più il sale.
Però troveremo l’acqua con sciolto dentro il sale e con la sporcizia.
Potremmo togliere la sporcizia usando un filtro e buttarla via.
E se non basta potremmo filtrare due o tre volte.
Così lo sporco sarebbe separato dal sale.
……
È rimasta l’acqua con dentro sciolto il sale.
Ci vorrebbe adesso un filtro sottilissimo…… ma il sale non si vede neppure nell’acqua… è troppo fine!
Si può separare l’acqua dal sale facendo evaporare l’acqua, come si fa nelle saline: si riscalda l’acqua, questa evapora e il sale resta.
Ci procuriamo:
- filtri (colino, stoffa, carta)
- acqua del rubinetto fredda
- un cucchiaino
- due vasetti di vetro bassi
Procediamo come segue:
2- Soluzioni con altre sostanze
Proviamo a sciogliere in acqua sostanze diverse dal sale marino. Propongo sostanze pure, alcune già note ai bambini.
Faremo delle soluzioni: il liquido, l’acqua, si chiama solvente, la sostanza che vogliamo sciogliere si chiama soluto.
Scioglieremo nell’ acqua tutto il soluto che si potrà sciogliere, cioè faremo delle soluzioni sature.
Ci serviremo di acqua calda che di solito scioglie una quantità maggiore di soluto rispetto a quando è fredda.
Come per il sale marino, aspetteremo che l’acqua evapori e poi osserveremo al microscopio.
TROVEREMO ANCORA I CRISTALLI?
E SARANNO ANCORA QUADRATI E CUBETTI?
Ecco i soluti che proveremo a sciogliere in acqua:
- solfato di rame
- bicarbonato di sodio
- amido
- zucchero
- solfato di magnesio (o sale amaro)
- allume di rocca
- carbonato di calcio
Chiedo le previsioni alle due classi.
I bambini si aspettano che si formino cristalli di solfato di rame perché si vedono già nel soluto, prima di scioglierlo. Qualcuno pensa che i cristalli avranno forma diversa da cubetti e quadrati perché ora abbiamo sostanze diverse dal sale marino. Qualcuno invece sostiene che i cristalli saranno ancora cubici.
Il bicarbonato di sodio e l’amido hanno un aspetto di polverina e forse non si vedranno cristalli. (3^A)
Noi prevediamo la formazione di cristalli dalle soluzioni di allume di rocca e, forse, di sale amaro perché i soluti avevano un aspetto cristallino. Il carbonato di calcio è una polvere sottile e non ci aspettiamo cristalli.
Pensiamo che i cristalli non saranno cubetti come il sale marino: forse ogni sostanza ha una sua forma. (3^B)
L’acqua è evaporata da tutte le soluzioni. Sul fondo di ogni contenitore è rimasto il soluto.
Ecco i risultati allo stereo microscopio:
Il solfato di rame si è cristallizzato in scagliette azzurro – verde acqua a forma di lancia, disposte
con l’aspetto di rametti.
Il bicarbonato di sodio ha formato spilli bianchi riuniti a ciuffetti.
L’amido (1a foto) non si è sciolto, ma si è depositato sul fondo del vasetto e si è coperto di una patina di muffe di diversi colori.
Lo zucchero (2a foto) ha l’aspetto di una massa più o meno trasparente e cristallina.
L’allume di rocca ha preso la forma di scagliette incolore e trasparenti esagonali
che sembrano triangoli con i vertici tagliati.
Il sale amaro (1a foto) ha preso la forma di bastoncini incolore e trasparenti raccolti a raggiera.
Il carbonato di calcio (2a foto) non sembra sciolto: sul fondo si sono depositati sassolini piccoli e più grandi.
Al momento, si conclude che
- alcune sostanze si sono sciolte, altre si sono depositate sul fondo;
- le prime hanno formato cristalli, ognuna in forma propria.
Si apre un problema nuovo: come mai l’amido è ammuffito mentre le altre sostanze no?
Nota
Utilizzando poche gocce di soluzione, direttamente allo stereo microscopio, con l’aggiunta di una lampada accesa che riscaldi ulteriormente per accelerare l’evaporazione dell’acqua, è possibile osservare “in diretta” la formazione dei cristalli. È un’esperienza suggestiva che mostra ”la materia che prende forma”. Mi è stato detto, ma non ho provato, che si può fare la stessa esperienza con un proiettore per diapositive, mettendo la soluzione fra due foglietti di acetato racchiusi nel telaietto.
Nidi classe terza, 2013
I nidi sono fra i reperti più frequentemente portati a scuola dai bambini. (foto)
Da noi, la maggior parte appartiene al Merlo. Si prestano per osservarne la struttura, talvolta la cura nell’esecuzione e l’attenzione nella scelta del punto più adatto sui rami. Di solito, non c’è materiale che consenta di fare confronti diretti fra nidi di uccelli di habitat diverso, tuttavia i reperti sono in genere un buon pretesto per aprire proprio questo argomento. A meno che non arrivino suggerimenti meno prevedibili, come i due seguenti.
1- Perché i nidi sono tondi?
S. porta un bel nido su un ramo di quercia rossa (foto accanto).
E. chiede: “Perché i nidi sono sempre tondi?”
Bella domanda! Ne parleremo con calma……
Qualche lezione più avanti entriamo nel merito.
Con il supporto di immagini alla LIM, racconto che non tutti i nidi sono “tondi”. Quelli degli uccelli che vivono sull’acqua sono spesso depositi di forma irregolare di rami e foglie; molti uccelli scavano buche nel terreno o lungo le rive dei fiumi ….. Molti nidi, certo, sono tondi.
Lascio la parola ai bambini.
St. – Perché se è tondo si incastra meglio tra i rami, le uova ci stanno dentro meglio. I bastoncini che usano non sono proprio dritti e loro li infilano. Gli esce così, non è che vogliono loro.
C. – Ogni animale fa il nido diverso. Ha la forma giusta per loro, basso abbastanza per uscire.
S. G. – Perché loro sono un po’ rotondi, il nido è adatto alla loro forma.
R. e Ale. – Anche perché le uova sono un po’ rotonde.
S. – Ce ne stanno più tante, è la forma che ne fa stare di più, me l’ha spiegato la mamma.
G. M. - Voglio dire come fanno a fare il nido. Prendono fili d’erba e ramoscelli e li mettono insieme con il becco. Non so come fa a venire tondo.
G. C. – Io lo so, prima loro fanno le prove, infilano i fili, poi se non vanno bene li smontano, li buttano e li riprendono. Dicono sì va bene ….. no, prendiamo le misure e vediamo se va bene la lunghezza, se è troppo stretto devono cambiare di nuovo.
M. - La forma la decidono loro.
A. – Con il becco prendono i rametti e li girano.
L.Z. – Non tutti i nidi sono rotondi, forse prima decidono…
C. – Ognuno fa un nido diverso, in qualcuno ci stanno tante uova, in altri poche.
St.- Non hanno le mani, usano il becco, gli esce una forma più storta….
I bambini “si mettono nei panni” dell’uccello che fa il nido per capire perché è fatto in un certo modo. In modo semplice, s’avvicinano molto ad una spiegazione plausibile.
Noi adulti invece siamo portati a cercare una spiegazione in ciò che conosciamo.
In biblioteca troviamo una spiegazione convincente:
“…….La maggior parte degli uccelli delle nostre regioni costruisce nidi a coppa, i nidi “tondi”. Usano rametti e fili vegetali e anche artificiali flessibili; l’uccello li incastra con il becco da un’estremità all’altra, tra i rami che ha scelto per realizzare il nido, mentre già sta covando dentro la sua costruzione appena incominciata. Produce così gradualmente la tipica forma arrotondata. Alla fine, aggiunge il rivestimento interno più soffice e accovacciandosi, ruotando e schiacciandolo conforma il nido al suo corpo.
Per allargare la coppa, spinge all’indietro con le zampe, fino ad ottenere una struttura confortevole, nella quale ci sia spazio per le uova. Aiutandosi con il collo e con il sottocoda, consolida e arrotonda anche il bordo.”
Testo adattato da Colin Harrison, Nidi, uova e nidiacei degli uccelli d’Europa, Franco Muzzio Editore, 2002
2- Un nido colorato classe quarta 2014
Dalla pianura nei dintorni di Mantova, è arrivato uno splendido nido di Codibugnolo. I ragazzi di quinta l’hanno portato in visione anche a noi, aprendo un’interessante discussione.
Lo stupore deriva dai colori del rivestimento che spiccano vivaci.
Qualcuno chiede:
Come mai il codibugnolo avrà messo quelle belle piume colorate all’esterno del nido?
Le ipotesi dei bambini sono:
- perché così è più bello
- per far festa…ci saranno le uova e devono nascere i piccoli
- per rendere il nodo più accogliente
- per rendere il nido più caldo….
Caldo fuori? Chiedo. Tocca, dentro ci sono le piume che tengono caldo!
Il nido deve stare in evidenza o ben nascosto? Chiedo io.
In evidenza - è la prima risposta, ma poi capiscono e si correggono - no nascosto, ci saranno le uova e vanno protette dai predatori.
- Allora verrà mimetizzato nel verde….
- Ma così c’è il rischio che anche gli uccelli genitori non lo ritrovino…
- Ma, i colori?
- Magari le piume aiutano a ritrovarlo, chissà…
In quale ambiente avrà costruito questo nido il codibugnolo? Nel bosco, al mare, in alta montagna, vicino al fiume …..
Non vedo nessuno prendere la parola, non sanno da dove partire nel ragionamento… provo ad indirizzare: Guardiamo quali materiali ha usato….
Muschio,
licheni,
è verde e grigio……
si nasconde fra le foglie…
In alta montagna dice qualcuno, ma lì gli alberi non ci sono…...
sarà stato costruito vicino al bosco.
Infatti è stato trovato in un boschetto, non in montagna ma nella pianura mantovana a Castiglion delle Stiviere.
Chiediamo aiuto a due ornitologi del Centro Studi Naturalistici Bresciani (Pierandrea Brichetti e Stefania Capelli). Ecco le informazioni che riceviamo e che ci permettono di interpretare correttamente quanto avevamo osservato
“Le piume vengono spesso utilizzate da alcune specie per rivestire l'interno del nido e nel Codibugnolo sono in effetti molto numerose e di varie specie (quella piccola azzurra e nera è di Ghiandaia). Il nido del C. è un inventario degli uccelli del bosco: guardando le piume usate si capisce quali uccelli abitano il bosco.
La funzione è quella di creare un rivestimento soffice e caldo e allo stesso tempo traspirante per le uova che sono piccole e molto delicate.
Guardando le foto penso proprio di avere capito il motivo delle penne visibili e appariscenti. Il codibugnolo costruisce il nido in punti dove l'albero o l'arbusto è molto intricato quindi i punti d'appoggio possono essere anche più di uno. Naturalmente dove appoggia il nido non c'è rivestimento esterno e le piume interne appoggiano contro la corteccia. Ho visto una coppia di codibù costruire il nido: sono molto meticolosi e usano le ragnatele come scotch per tenere unito il tutto.
Ne possiedo due anch’io e uno dei due l'ho staccato personalmente da un ramo (ormai era disabitato, ovviamente).
La zona con le penne esposte è quella sotto, cioè in basso rispetto all'ingresso del nido. Quella è la zona dove il nido era attaccato al ramo, quindi non era visibile quando il nido era posizionato sull'albero e abitato. In pratica era il "pavimento" interno. In effetti non avrebbe senso una zona non impermeabilizzata così ampia: si sarebbe inzuppata di pioggia e l'umidità sarebbe penetrata nel nido.
Le uova schiudono all’inizio della primavera, pertanto occorre un nido molto ben protetto: isolato dalle piume, impermeabilizzato e mimetizzato da muschi e licheni.
Questi nidi sono spesso abitati da larve di tarme, essendo il nido un ambiente adatto allo sviluppo.
Vanno tenuti in congelatore per un paio di settimane per liberarsene.”
Queste due occasioni brevi di lavoro riguardano la stessa classe. Hanno preso entrambe il via da due domande “sbagliate” perché i nidi non sono sempre tondi e le piume colorate non vengono collocate all’esterno del nido dal codibugnolo. Si poteva chiudere rapidamente o non cogliere lo spunto dato. Capita spesso invece che ragionare insieme intorno ad un problema definendolo passo passo sia utile e interessante.
Come uno scherzo di carnevale classe quinta 2015
Da diversi anni, l’ultimo giorno di carnevale è vacanza, ma non è sempre stato così; quando lo si trascorreva a scuola, era abitudine organizzare attività diverse dalle solite.
Una volta ho proposto l’esperienza che segue, come fosse uno scherzo.
L’intenzione era di portarli ad interrogarsi su come avvenga un’operazione consueta qual è quella di lavarsi.
Prima della merenda, all’intervallo, i bambini si lavano le mani. Ho chiesto di farlo a piccoli gruppi, a turno, con il solito sapone, ma risciacquando anziché sotto il rubinetto aperto, con l’acqua delle bacinelle che avevo preparato e messo nei lavandini un attimo prima. A loro insaputa avevo versato nelle bacinelle un cucchiaio di soluzione di acido cloridrico (acido muriatico per uso domestico).
Quando i primi hanno cercato di risciacquarsi le mani, si sono accorti che non era possibile, sentendole rivestite da una patina grassa e si sono chiesti se nelle bacinelle ci fosse acqua, dato che quel liquido pur tanto simile all’acqua aveva un diverso “comportamento”.
La lezione successiva, si è ricostruita, rappresentata e verbalizzata l’esperienza. Poi si è entrati nel merito di che cosa significa lavarsi, scoprendo di sapere soltanto che lavarsi è la rimozione di microbi da parte dell’acqua con l’aiuto del sapone. La ricerca di informazioni, riassunte e opportunamente semplificate nel testo che segue, da imparare e riesporre, ha concluso la breve parentesi di lavoro.
La nostra pelle produce sostanze grasse protettive alle quali però si appiccicano polvere e batteri.
In questo modo la pelle si sporca e va pulita.
Sai come funziona il sapone?
Il SAPONE è formato da una parte grassa che simpatizza con il grasso della pelle e da un’altra che simpatizza con l’acqua. Quando ci insaponiamo, il grasso e la sporcizia si staccano dalla pelle e finiscono nell’acqua insieme al sapone. Se nell’acqua si aggiunge un acido, quest’ultimo scompone il sapone e cattura la parte del sapone che simpatizza con l’acqua, lasciando così sulla pelle la parte grassa del sapone e la nostra sporcizia.
Ecco altre informazioni più specifiche disponibili sul sito dell’Università di Ferrara:
http://dm.unife.it/matematicainsieme/schiume/perc_chimica00.htm
La storia del sapone
Conosciuto ed utilizzato prima dell’era cristiana, il sapone ha origini lontane ed incerte, forse da ricercarsi in Gallia.All’origine il sapone era una mistura di sego e ceneri.Restata a lungo ad uno stadio rudimentale, la saponeria ha subito un’evoluzione lenta. Poco alla volta la lascivia delle ceneri ha sostituito le ceneri vere e proprie, mentre i grassi vegetali, in particolare l’olio d’oliva, hanno sostituto il sego.Per molto tempo Italia e Spagna sono state le maggiori produttrici di saponi.
Fu Colbert (1619-1683) ad introdurre la fabbricazione del sapone in Francia. La prima manifattura fu installata, per decreto regale, a Tolosa. Il successo fu immediato e furono costruite altre manifatture a Marsiglia.Verso il 1840 ci fu una nuova evoluzione: nuovi oli furono utilizzati in alternativa all’olio d’oliva, allargando la gamma di prodotti. Al giorno d’oggi il "sapone di Marsiglia" resta un riferimento, nonostante l’apparizione di nuovi prodotti.
Che cos' é il sapone
Il sapone dal punto di vista chimico è un SALE ottenuto dalla reazione (detta di saponificazione) tra un grasso (per esempio olio vegetale) e una base (per esempio l'idrossido di sodio).Le molecole di sapone hanno:
- un estremo non solubile che può legarsi coi grassi (“catturandoli”) detto CODA IDROFOBA
- un estremo solubile che si lega facilmente all’acqua (ecco perché il sapone si scioglie in acqua) detto TESTA IDROFILA
Come fa il sapone a pulire?
Lo sporco è grasso e non si scioglie in acqua perciò ci laviamo usando acqua e sapone. La parte idrofoba della molecola di sapone si lega allo sporco mentre quella idrofila resta rivolta all'esterno. Lo sporco viene così completamente circondato dalle parti idrofile e può essere lavato via dall'acqua.
Per gli studenti della Scuola media si consiglia: Vi sveliamo perché il sapone scioglie i grassi di Tina Simoniello
Reperti estivi e non solo
Quando i bambini riscontrano curiosità da parte dell’insegnante e vedono ben accolta l’iniziativa dei compagni più intraprendenti che portano a scuola ciò che trovano interessante condividere, in aula incominciano ad arrivare numerosi i reperti naturalistici, soprattutto al ritorno dalle vacanze.
Negli anni, è arrivato un po’ di tutto, dalla pelle intera di un serpente al cranio di un coniglio cucinato e ripulito alla perfezione.
Ecco in foto alcuni esempi.
Alcuni oggetti sono stati portati a scuola in cerca di un’interpretazione, dato che a casa nessuno sapeva di che cosa si trattasse e talvolta sono ritornati senza che l’enigma si fosse risolto.
Altri invece, come è successo con il cranio forse di cervide, con il corno e con le pallottole di Posidonia, hanno innescano un bel processo investigativo, proseguito senza fretta parallelamente alle regolari lezioni.
Spesso i reperti hanno permesso sorprendenti osservazioni allo stereo microscopio sulla morfologia di molte specie animali o vegetali.
Le conchiglie, che contendono ai nidi il primato di frequenza tra gli oggetti che i bambini portano volentieri, meritano una parentesi. Sono infatti un materiale fantastico e graditissimo per insegnare a guardare, facendosi pretesto per i primi disegni dal vero. In prima classe, i bambini non hanno idea di che cosa sia un disegno dal vero, abituati come sono ad esprimersi attraverso un disegno in gran parte libero e personale. Guardare e rappresentare ciò che viene percepito è un’attività in genere nuova.
Ricavare dall’osservazione alcuni attributi sulla base dei quali fare seriazione e classificazione in Matematica utilizzandone uno alla volta è un’altra attività importante, contesto favorevole a riflessioni linguistiche cruciali. (1)
Inoltre, poiché i bambini si interrogano su come facciano i molluschi a costruirle, permettono proficui sviluppi per sperimentare con le soluzioni e per i primi accenni ai cicli biogeochimici.
Le foglie e i sassi sono altro materiale utilizzabile in modo analogo per osservare, classificare, ragionare e costruire i primi riferimenti cognitivi disciplinari condivisi dal gruppo classe.
(1) M. L. Altieri Biagi, Francesco Speranza, OGGETTO, PAROLA, NUMERO itinerario didattico per gli insegnanti del primo ciclo, Nicola Milano, 1980