I primi amici pisani
Luciano Luciani
Galeotta la festa di san Ranieri, quella del 17 giugno 1973, - patrono della città una volta marinara, e la luminara che ne accompagna la vigilia - i miei primi amici pisani furono calabresi. Li incrociai mentre furtivo mi aggiravo tra i resti di quella solenne ricorrenza, la ‘biancheria’ - i telai di legno verniciati di bianco a cui sono agganciati per mezzo di un anello di ferro bicchieri di vetro contenenti i moccolotti che accesi servono a profilare suggestivamente l’architettura luminosa dei palazzi del Lungarno pisano - dismessa in terra solo poche ore dopo la processione e i fuochi d’artificio. Scopo inconfessabile di quella sortita notturna? Dotarmi del primo servizio di bicchieri della mia vita: dodici lampanini in più o in meno sui centomila utilizzati dagli organizzatori, non avrebbero certo appesantito in maniera significativa il bilancio comunale. E poi si trattava di vetri Saint Gobain, mica robaccia: di una certa essenziale eleganza il design e, soprattutto, infrangibili.
Pensavo di essere solo ad attendere a quel modesto piano criminale, ma mi sbagliavo. Un terzetto di coetanei si muoveva tra le ombre fitte di quella tepida notte di giugno, palesando le mie stesse intenzioni delittuose. Come andavo facendo anch’io, sfilavano i vetri dai supporti, ne valutavano le maggiori o minori stratificazioni di cera, ne scartavano i pochissimi incrinati.
Gentilmente mi proposero di dividere il bottino: non a metà, ovviamente. Visto che loro erano tre (uno alto, uno piccolo e uno grande e grosso) mi sarei dovuto accontentare solo di un quarto del maltolto. Se, però, me ne occorrevano di più, mi servissi pure e loro - ‘Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!’ - mi avrebbero aiutato a selezionare i pezzi migliori. Intanto, sottovoce, ma non abbastanza perché ne percepissi le parole, nell’aria si alzava un motivetto esemplato su un antica melodia popolare. I tre cantavano: san Ranieri, san Ranieri/ te futtimmo/ tutti quanti/ li bicchieri!
‘Tra compagni’ aggiunse poi quello grosso con l’aria da Mangiafoco ‘questo e altro’! Da cosa Mangiafoco potesse aver ricavato la percezione delle mie simpatie politiche potrebbe apparire un mistero, ma non lo era: i miei capelli lunghi e poco curati, l’abbigliamento a dir poco casual e il fatto che mi aggirassi al buio, con aria circospetta, tra gli avanzi della festa patronale con la palese intenzione di rubare qualche lampanino, facevano di me almeno un proletario fuorisede, non certo il figlio con simpatie fasciste di qualche borghese pisano.
Disvelate e riconosciute le comuni appartenenze ideali, ne seguì il primo di una serie di innumerevoli inviti a cena: memorabile ognuno per la quantità e la qualità dei cibi e dei vini calabresi offerti con larga, stralarga generosità sudista. Per anni, per la gioia del miei sensi e di quelli di tanti, tanti altri ci fu sempre una valigia in arrivo dalla provincia di Reggio Calabria carica di ogni genere di leccornia, ghiottoneria, manicaretto... Per non rimanere nel generico stiamo parlando di capocolli, pomodori secchi, ‘frittole’ di cotenne di maiale, ‘zippole’ o ‘crispelle’, ovvero focacce fritte con l’acciuga dentro, ‘cuddhura cu l’ova’ - dolci pasquali a base di miele con un uovo sodo al centro -, dolci a base di frutta chiamati ‘petrali’.
Dal libro di incerta pubblicazione, Anche i pisani sono esseri umani?