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Un “patto diabolico” per ripianare il bilancio statale

 

Faust e Mefistofele

Un “patto diabolico” per ripianare il bilancio statale

 

Luciano Luciani

 

Per secoli - e a quanto ci risulta in alcuni, rari, casi ancora oggi - alti prelati, pontefici, monarchi e potenti del mondo furono - e sono - affascinati dalle scienze occulte. Ovvero, dalla conoscenza delle leggi segrete della natura, nascoste agli occhi dei più, e del modo utilizzarle a fini di dominio: un dato culturale ricorrente senza soluzione di continuità dall’età greco romana sino alle soglie dell’età dell’illuminismo, conoscendo un numero infinito di trasformazioni e rielaborazioni. Fra i tanti cultori di questo tipo di saperi ricordiamo almeno l’imperatore e re di Sicilia Federico II (1194- 1250) e Giacomo d’Aragona il Conquistatore (1208-1276) che praticarono di persona l’alchimia, quell’insieme di pratiche e dottrine che si proponevano la trasformazione di metalli vili in metalli preziosi e implicavano profonde conoscenze di carattere insieme religioso e chimico. Essi ebbero quali consiglieri due fra i più grandi occultisti del tempo: Michele Scoto (1175-1236), divulgatore delle filosofia aristotelica ed averroista in Europa, e Arnaldo di Villanova (1241-1311), medico di formazione empirica, ambedue noti come maghi, esperti in conoscenze e pratiche di energie misteriose presenti in natura ma che esulano dalla moderna indagine scientifica.

Anche il tema del “patto col diavolo” è un elemento culturale ricorrente nella tradizione occidentale sia bassa, sia alta. Il più famoso? Ma quello che rimanda alla leggenda di Faust e alla figura di Mefistofele. Mai avere a che fare col demonio, meno che mai entrarci in trattative: perché il prezzo da pagare per i servizi diabolici è proprio l’anima del contraente. Il racconto può conoscere sia un finale moraleggiante, con la dannazione eterna dell’incauto avventuriero, sia una torsione in senso comico nella quale lo scaltro contadino inganna il diavolo, solitamente grazie ad un astuto cavillo.

 

Anche ad alcuni pontefici tocca l’accusa di avere stretto patti diabolici con Satana.

Il benedettino Gerberto d’Alvernia, papa col nome di Silvestro II (999-1003), fu accusato addirittura di essere salito al trono di Pietro grazie a un accordo col demonio. La leggenda vuole che Silvestro, scienziato e raffinatissimo intellettuale, comprese il significato di una frase incisa sulla base di una statua romana la cui mano tesa indicava un punto nello spazio: la frase hic percute consigliava di bucare il suolo nella direzione indicata e questo parecchi lo avevano fatto, ma senza risultato. Silvestro II, invece, fece scavare il terreno nel punto in cui il sole di mezzogiorno faceva risaltare nitidamente l’ombra del dito della statua: asportato il terreno in quel punto, a qualche metro di profondità si trovò un immenso tesoro di gemme e monili. Ovviamente Silvestro sarebbe stato messo sulla buona strada dal consiglio di Satana che, del resto, l’aveva già fatto ascendere al soglio più alto della cristianità. Ma quale era l’accordo tra i due? Gerberto, non ancora pontefice, avrebbe promesso a Satana di cedergli l’anima una volto morto e il diavolo aveva accettato: “Tu sarai papa” gli aveva detto, “e morirai in Gerusalemme”. Gerberto, però, una volta diventato Pietro in terra, si guardò bene dal mettere piede in Terra Santa: ristette a Roma, dove, secondo i patti con Satana, non poteva morire.Tuttavia, nel tempo di Pasqua, mentre celebrava messa, si sentì male e comprese che la sua ora era vicina, Com’era potuto avvenire? Realizzò, allora, che la funzione religiosa che stava officiando si svolgeva nella chiesa romana di S. Croce in Gerusalemme e si rese conto che la sua astuzia di uomo nulla aveva potuto contro la trama orditagli dal demonio.

Prima di morire, Silvestro II ordinò che una volta morto, il suo cadavere venisse posto su un carro trainato da due cavalli, senza nessuno sfarzo particolare e che, lasciati liberi i quadrupedi, il suo corpo venisse sepolto nel luogo nel quale gli animali si sarebbero fermati. Fu inumato, infatti, in Laterano dove le bestie ristettero dopo una lunga corsa per le vie di Roma.

 

Di Onorio III, Cengio Savelli, che regnò dal 1216 al 1227 e fu un feroce persecutore di Albigesi, si sa che scrisse un libro di satanismo con formule di evocazione del diavolo: secondo la tradizione esoterica un grimorio, un libro di magia, per l’evocazione demoniaca che, secondo quanto dice la sua bolla che introduce il libro, serve a insegnare come scacciare il demonio in nome di Cristo. Le sue pagine sono fitte di formule e descrizioni di rituali per evocare gli spiriti e dominarli. È probabile, però, che il suo autore sia un occultista vissuto nella seconda metà del Cinquecento. Pubblicato per la prima volta in latino a Roma nel 1629, col titolo di Grimorium Honorii Magni, di questo “libro maledetto” esistono diverse copie situate in varie biblioteche europee.

 

Alchimista, medico e filosofo aristotelico fu Giovanni XXI (1276-1277), di origine portoghese, ma cardinale a Tuscolo e per questo conosciuto come Piscator tuscus. Intellettuale tra i più eminenti del suo tempo si dice che anche questo religioso di altissimo rango possa aver dato occasione a molti per accusarlo di contiguità con la pratica dei malefici, delle stregonerie, dei patti diabolici. La leggenda infatti, l’accusa di aver “prodotto” l’oro alchemicamente, dopo aver stretto l’ennesimo patto scellerato con Satana. Infatti, morendo dopo appena un anno di pontificato, lasciò diciotto milioni di fiorini d’oro e sette milioni di gemme preziose: una somma così imponente e assolutamente impossibile da accumulare in un solo anno di regno.

Ecco, noi oggi avremmo bisogno di un ministro delle finanze proprio così: disposto anche al “patto diabolico” per ripianare i non rari e non piccoli buchi del nostro bilancio statale.