Oltre il DNA?
La Redazione di Naturalmente
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Nella ricerca, come nella didattica delle discipline scientifiche, la ripetuta conferma dell’ortodossia fornisce una gradevole sensazione di sicurezza, ma alla lunga rende la vita noiosa. Nella pratica della ricerca scientifica, i dati sperimentali che mettono in discussione la teoria ortodossa, il cosiddetto paradigma dominante, sono confinati in una sorta di zona d’ombra. La conservazione dei dati imbarazzanti nella zona d’ombra consente l’utilizzazione corrente della teoria; allo stesso tempo, i dati eterodossi non vanno perduti e potranno contribuire alla formulazione, in un eventuale momento successivo, di una teoria più generale.
Una riflessione critica sul valore epistemologico del paradigma della moderna biologia è iniziata già da qualche tempo, in forma più o meno sommessa. Benché sia ancora prematuro, e forse inappropriato, parlare di rivoluzione scientifica, non mancano gli stimoli perché si avvii una riflessione di grande interesse anche dal punto di vista delle ricadute sulla didattica della biologia.
Su Naturalmente sono spesso comparsi articoli connotati da vivaci considerazioni critiche nei confronti del paradigma centrale della biologia contemporanea, che è come dire della biologia molecolare.
L’articolo cui è dedicato questo numero speciale rappresenta un contributo nella stessa direzione. Si tratta però di un contributo dalle caratteristiche molto particolari, non solo per la sua ampiezza. L’analisi critica della biologia molecolare è condotta, infatti, da un punto di vista inusuale, quello di un matematico e di un informatico della École Normale Superieure di Parigi, Giuseppe Longo e Pierre-Emanuel Tendero.
La redazione di Naturalmente ritiene che l’articolo di Longo e Tendero rappresenti un’importante occasione per avviare una discussione sui fondamenti epistemologici della biologia moderna. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare all’articolo un numero speciale e di chiedere ad alcuni docenti e ricercatori di fornire un primo contributo alla riflessione. Brevi commenti di Giovanni Barbiero, di Marcello Buiatti, di Luciano Cozzi, di Fabio Fantini e di Alessandro Minelli completano questo numero speciale.
L’ortodossia della biologia molecolare si esprime sinteticamente nelle affermazioni seguenti:
- i sistemi viventi, caratterizzati da variabilità, sono il prodotto di un lungo processo storico nel corso del quale le condizioni ambientali hanno determinato la sopravvivenza differenziale di alcuni individui, capaci di trasmettere ereditariamente le proprie caratteristiche ai discendenti;
- la trasmissione ereditaria dei caratteri avviene per mezzo di un substrato fisico passato con la riproduzione da genitori a figli e contenente informazioni codificate capaci di guidare i processi metabolici che portano ai caratteri responsabili della sopravvivenza differenziale;
- le informazioni sono codificate nel substrato fisico grazie alla sua natura discreta e sono soggette ad alterazioni accidentali casuali, cioè indipendenti dalle caratteristiche dell’ambiente, responsabili della variabilità dei sistemi viventi.
Queste tre affermazioni molto generali, che vanno lette come uno schema ricorsivo, sono integrate da una miriade di specificazioni riguardanti la natura del substrato fisico grazie al quale avviene la trasmissione ereditaria dei caratteri, le modalità di decodifica dell’informazione, la possibilità di trasmissione dell’informazione per via diversa da quella generazionale ecc.
La teoria del vivente, schematicamente riassunta nelle righe precedenti, ha incontrato un successo crescente nel corso del secolo passato, perché si è rivelata di grande valore euristico. Non esiste campo della biologia in cui le nuove ricerche che si andavano effettuando non abbiano contribuito, a volte in modo imprevisto, a consolidare l’edificio della biologia molecolare.
Come è bene noto, in particolare ai lettori di Naturalmente, i paradigmi della biologia molecolare hanno avuto il loro corrispettivo nella didattica della biologia. Si potrà criticare l’uso prevalente di modellizzazioni un po’ meccaniche, ad esempio per quanto riguarda il processo di sintesi delle proteine, così come la prudenza con cui si propone agli studenti il modello generale del vivente, che spesso sfugge alla consapevolezza perché coperto dai dettagli dei singoli processi metabolici studiati. E si può ugualmente convenire sul fatto che molti processi metabolici siano presentati, nella didattica corrente, in modo apodittico, mirando più all’accettazione poco o per nulla critica da parte dello studente che a una riflessione di ampio respiro. In un contesto, va ancora ammesso, dove il confine tra modello e metafora è sempre stato piuttosto sfumato. Tutto vero, sicuramente, ma crediamo che chiunque abbia vissuto come noi la «rivoluzione molecolare» nella scuola italiana consideri con favore il salto qualitativo nei contenuti offerti agli studenti nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
Si può ben capire che anche i docenti di biologia, per quanto spesso portati ad apprezzare posizioni eterodosse rispetto al paradigma scientifico dominante, siano legati al modello genecentrico del vivente fornito dalla biologia molecolare. Un modello, occorre non dimenticare, che ha contribuito non poco a sprovincializzare la cultura scientifica del cittadino italiano e a fare perdere ai sistemi viventi quell’aura di ineffabile separatezza rispetto al mondo fisico che la cultura idealista aveva loro attribuito.
Dagli anni Novanta nel campo della ricerca, e da qualche anno a questa parte anche nella didattica, alcune certezze del modello genecentrico hanno iniziato a incrinarsi. Inizialmente si è rivelata sbagliata una delle schematizzazioni forse più comode dal punto di vista didattico, cioè che gli organismi fossero diversi perché possedevano geni diversi. L’impatto della biologia molecolare nello studio dell’embriologia ha prodotto non solo la nascita dell’evo-devo, ma anche la consapevolezza che sono ben pochi i geni specie-specifici.
Allo stesso tempo è emersa una crescente quantità di dati in discordanza con il cosiddetto «dogma centrale» della biologia molecolare, da sempre una delle affermazioni più controverse dell’intera teoria. E non è il caso di ricordare in questa sede i risultati, a volte sorprendenti, ottenuti dal sequenziamento dei genomi di un numero crescente di specie, dati ben noti ai lettori.
In definitiva comincia a essere messo in discussione il ruolo del DNA come deus ex machina della biologia, garante unico e assoluto della dialettica tra fedeltà della riproduzione e variabilità. Se questa messa in discussione implicherà un ridimensionamento del ruolo del DNA oppure un suo ampliamento, la sua sostituzione con una pluralità di agenti oppure una impostazione completamente rinnovata del problema della trasmissione dei caratteri ereditari è troppo presto per dirlo. Ciò che sembra indubitabile è che si sta avviando un periodo di profonda riflessione scientifica ed epistemologica e che noi abbiamo la fortuna di assistervi.
Le riflessioni di Giuseppe Longo e Pierre-Emanuel Tendero mettono in discussione alcuni aspetti della costruzione del sapere biologico ortodosso che siamo abituati a dare per scontati. La confutazione di un modello dotato di solida coerenza interna, sviluppato in modo del tutto indipendente dalle teorie evolutive, ma perfettamente integrato con esse, fa sobbalzare il lettore e lo mette in crisi, ma lo stimola anche a ricordare che nessuna teoria scientifica è definitiva. Non si può dire che la lettura dell’articolo di Longo e Tendero sia agevole, ma non è mai noiosa e occorre riconoscere che la spesa vale l’impresa.