L’isola sul Tevere dove si guarisce
Il benefico serpente di Asclepio
Luciano Luciani
Racconta una leggenda che l ‘isola Tiberina si sarebbe costituita in un modo piuttosto fuori dal comune. I romani, intenzionati a rovesciare il regime monarchico degli Etruschi sempre più arroganti per darsi una costituzione repubblicana, tentarono la cacciata dei Tarquini con continue rivolte e manifestazioni di protesta. Nel corso di una di queste sollevazioni una gran quantità di messi tagliate e affastellate nel Campo Marzio finirono gettate nel fiume dal popolo esasperato. Questo primo addensamento venne successivamente incrementato dal limo e dai depositi fluviali che finirono per formare così un’isola lunga 270 metri e larga 70.
Prospezioni gologiche condotte successivamente hanno invece individuato che l’isola è fondata su un compatto banco di roccia vulcanica, simile a quella del vicino Campidoglio. Se ne servivano, sin da epoche antichissime le nazioni delle due sponde - i Latini, una popolazione di stirpe indoeuropea, e i Sabini, popolo di pastori calati dal vicino Appennino - per guadare il fiume, che in questo punto si presentava più agevole grazie anche ai fondali più bassi e alla presenza di ponti in legno sostituiti successivamente con quelli in muratura. Vantaggiosa era anche la vicinanza delle ricche saline della costa tirrenica che avrebbero rifornito gran parte dell ‘Italia centrale attraverso la via Salaria.
La sistemazione generale dell ‘isola viene fatta risalire dagli storici al I secolo a. C., periodo in cui questa venne ad assumere l’aspetto di una gigantesca nave al centro del fiume, con la prua rivolta verso valle. È possibile, però, che un primo appariscente e spettacolare adattamento a forma di trireme, fosse molto più remoto, dato che questa scenografia altro non era che una dedica al dio della medicina Asclepio, romanizzato in Esculapio.
Una vicenda che parte dal lontano 293 a. C., anno in cui una mortale epidemia affliggeva la città. In quell ‘occasione furono consultati i Libri Sibillini e gli oracoli rivelarono che un’ambasceria si sarebbe dovuta recare a Epidauro, sede del culto di Asclepio: siccome Apollo, suo padre e dio della medicina, lo aveva salvato bambino da un rogo, la sua formazione era stata continuata dal centauro Chirone perchè educasse il fortunato fanciulletto nell’arte difficile delle guarigioni. Compito precipuo di quella delegazione era portare a Roma una statua del dio, perché quel simulacro contribisse a tutelare la precaria situazione igienico-sanitari della città dei Romani. La missione ebbe luogo tra il 292 e il 291 a. C. e la legazione, composta da dieci membri e guidata da Quinto Ogulnio, ritornò risalendo il corso del Tevere con il suo prezioso carico: una statua del dio. In prossimità dell ‘isola, però, ambasciatori e marinai videro distintamente un grosso serpente che, scivolando nel fiume, nuotò fino all ‘isola, dove scomparve, indicando così, secondo gli oracoli il luogo in cui sarebbe dovuto sorgere il tempio.
La costruzione, iniziata subito dopo, fece sì che la peste si allontanasse a Roma con miracolosa celerità. In fondo al santuario una piccola cella custodiva la statua di Esculapio in piedi con una verga in mano sul quale si attorcigliava un serpente, oggi emblema dell’arte sanitaria. Il tempio possedeva ampi portici laterali per ospitare per qualche tempo o anche soltanto per una notte i malati che dovevano ricevere in sogno l’oracolo (incubazione), dal quale apprendevano quale tipo di cura seguire. In onore del dio si usava sacrificare un gallo bianco, animale caro ad Asclepio.
Con l’andare degli anni la frequentazione del tempio si limitò alle persone più povere o agli schiavi che, quando gravemente malati, venivano qui lasciati dai padroni, onde evitare le spese per le cure. Fu Claudio, nel 64, a emanare una legge per cui tutti coloro che lì venivano abbandonati, nel caso fossero guariti sarebbero tornati liberi, e non di proprietà del loro padrone. La posizione topografica del tempio coincide con l’attuale chiesa di S. Bartolomeo, fatta edificare dall’imperatore Ottone III, nell’anno 1000, che inizialmente la dedicò a sant’Adalberto e lì raccolse le reliquie dei santi Paolino e Bartolomeo. Oggi è venuto meno anche il nome di san Paolino e la chiesa. più volte ricostruita nel corso del secoli, è universalmente nota coma San Bartolomeo. L’altare medievale si sovrappone alla fonte dell’edificio romano dalla quale scaturivano le acque della fonte risanatrice.
Non è senza significato che nel medioevo proprio in quel luogo ameno sorgesse un ospizio per i pellegrini e che in età controriformistica san Giovanni di Dio vi fondasse, ispirandosi a modalità mediche e sanitarie particolarmente avanzate per l’epoca, una confraternita di soccorso ai malati: oggi ancora attiva, con criteri di eccellenza, con il nome di “San Giovanni Calibita Fatebenefratelli” assegnato all’ospedale nel 1972.