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Aboliamo la razza

 

Arcobaleno Gianni Rodari

Aboliamo la razza

 

di Carlo Alberto Redi e Manuela Monti

(*)

 

Il 12 ottobre 2017, presso il Collegio Ghisleri di Pavia, si sono incontrati biologi, antropologi, storici, filosofi, costituzionalisti e studiosi di altre discipline per discutere l’opportunità di emendare l’articolo 3 della Costituzione italiana dalla parola “razza”.

 

Siamo consapevoli ed è del tutto evidente che togliere la parola razza dalla Costituzione non significa eliminare il razzismo. Per raggiungere un tale fine è bene iniziare una capillare opera d’informazione dei cittadini sulla inesistenza biologica delle razze, così da ripulire il lessico da falsi termini. Tutti i dati scientifici – ultimo arrivato il sequenziamento del genoma umano – dimostrano che non è possibile identificare nella specie umana alcuna razza geneticamente distinta e provano che il concetto di “razza” è solo e soltanto un prodotto culturale; i dibattiti sulla realtà genetica della razza non sono scientifici, ma sociali.

Già lo aveva svelato nel 1871 Rudolf Virchow nel corso di una insuperata indagine demografico-razziale (quasi sette milioni di ragazzi coinvolti) effettuata nell’ambito dei lavori della Società Antropologica Tedesca, per studiare le differenze (Völkertypus) tra scolari ebrei e cristiani: misure antropometriche del cranio (di cui era maestro visto lo studio del 1857 che poneva le basi del moderno studio della crescita del cranio), statura, peso, colore degli occhi, colore della pelle, eccetera ... nulla ... nessuna differenza, non era possibile stabilire l’esistenza di alcuna razza e men che meno quella di una pura razza ariana. Tutti i caratteri considerati si distribuivano in modo ambiguo e continuo tra tutti gli scolari. Questi dati smascherano le ideologie razziste e rivelano, lasciandola nuda, la vera natura del razzismo che è quella della discriminazione per fini politici, sociali, economici attuata da sottogruppi nell’ambito di una popolazione, o tra popolazioni diverse, per instaurare o mantenere privilegi.

Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche è così possibile dar forza al lavoro di storici, filosofi, sociologi, giuristi al fine di tracciare gli eventi che hanno portato a formulare e mantenere in vita un concetto che non ha mai avuto alcun valore scientifico. E da queste analisi trarre suggerimenti e indicazioni per mettere in campo politiche educative capaci di sradicare dalla mente di tanti idee e concetti alla base di atteggiamenti razzisti. L’aver provato scientificamente che non esistono razze non mette infatti al riparo da quotidiani e ripugnanti fenomeni di razzismo, dal loro volgare impiego ai fini di conquista di consensi elettorali, dall’adagiarsi su posizioni lassiste di connivenza con fenomeni di razzismo e discriminazione.

Liberato il campo dall’imbroglio del concetto di “razza” dobbiamo ora chiederci cosa fare del nostro futuro, di quello che stiamo preparando ai nuovi nati che già vivono in un mondo multietnico e globale. In questo contesto le comunità non possono reggersi su discriminazioni basate su fattori genetici inesistenti (pena il ritorno nelle caverne); debbono invece organizzarsi su pratiche di partecipazione alla vita pubblica basate sull’inclusione: i disperati che arrivano oggi alle porte dell’Europa e chiedono aiuto sono migranti e non immigrati clandestini, migranti che abbiamo il dovere di accogliere non fosse altro che per i trascorsi colonialisti e imperialisti di tutti i Paesi europei, nessuno escluso. Noi europei abbiamo creato conflitti di cui non possiamo dirci innocenti e l’assunzione di responsabilità storica di quanto fatto passa per l’accoglimento senza se e senza ma dei migranti. E ciascuno di questi migranti, lo dicono la filosofia politica e la filosofia morale, porta con sé la dignità morale dell’eguaglianza: ciascuno di noi potrebbe essere l’“altro”, dobbiamo riconoscere nell’altro il noi stessi, pena la caduta stessa della nostra dignità. Solo il riconoscimento di questo dato di fatto può permettere di sviluppare strategie per contrastare, mitigare e sperabilmente eliminare ogni forma di discriminazione, cercando di promuovere valori positivi e l’idea che l’inclusione funziona come matrice di concezioni del vivere più ampie, è scambio di cultura, di idee, di stimoli, di storia, e che “meticciato è bello” anche perché favorisce la nostra salute aumentando il grado di eterozigosità genetica (si scusi il dettaglio tecnico!).

 

La biologia è alla base di questa riflessione: la genetica e l’ereditarietà dei mitocondri, ricevuti da tutti noi solo per via materna dalla stessa Eva africana, affermano chiaramente il concetto di eguaglianza. Ogni forma di discriminazione basata su false premesse scientifiche, su leggende, è sbagliata e falsa: la natura umana è la base indiscutibile dei diritti di tutte le persone ad essere trattate in modo eguale. Tutti gli individui meritano lo stesso grado di rispetto perché tutti accomunati dallo stesso percorso biologico che si fa sociale nell’assegnare pari dignità a tutti – tutte le persone sono eguali dal punto di vista morale altrimenti nessuno è persona.

La Dichiarazione d’Indipendenza americana del 4 luglio 1776 per prima afferma che «... tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità ...». Verrà poi il 1789 con la Rivoluzione Francese ad affermare categoricamente che libertà, eguaglianza, fraternità sono valori inscindibili e non serve una laurea in filosofia per capire che senza eguaglianza e fraternità nessuno può dirsi libero. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Parigi, 10 dicembre 1948) precisa questi valori già nell’articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».

I recenti fatti di Charlottesville sono paradigmatici. Gli USA sono un Paese dove nel 1857 i giudici della Corte Suprema (7 contro 2) dichiarano che Dred Scott è uno schiavo e come tale non ha diritto di cittadinanza: abbattere a Baltimora la statua del giudice Taney (che scrive la sentenza) è un fatto decisamente tardivo che spiega meglio di tante sofisticate analisi il contesto attuale [1]. Contesto attuale che è facile analizzare – non servono studi di sociologia, storia, economia, americanistica, basta aver fatto un paio di viaggi in macchina (nel nostro caso da Seattle a Sioux Falls, da Baltimora a Chicago) ed essersi fermati a dormire, mangiare, parlare con gli abitanti per capire che il razzismo negli USA (come altrove) è figlio della questione sociale (disoccupazione, bassi salari, assenza di assistenza medica ...). Per i bianchi – di qualsivoglia origine – i neri sono nemici perché storicamente impiegati dal complesso industriale per fiaccare e piegare le lotte sociali – quante analogie con il razzismo in Gran Bretagna verso gli immigrati polacchi, e quindi tutti gli immigrati, che rubano il lavoro, ecc. ... (buon argomento  per fomentare  la Brexit!).

 

Il concetto di razza si è andato modellando su ciò che il pubblico di tempo in tempo ha creduto fosse l’“evidenza scientifica” (i tratti somatici per esempio) a sostegno della presunta verità dalla quale dunque appare naturale far scaturire politiche sociali di discriminazione e segregazione (raramente di inclusione) che vengono così giustificate e invocate per legittimare differenze di rendita economica basata su privilegi di potere. L’uso sociale delle conoscenze sul DNA (la “vita” sociale del DNA) ci pare un buon strumento per un ennesimo tentativo, a livello nazionale e internazionale, di risolvere i lasciti del business della schiavitù con le sue terribili ricadute attuali, discriminazione razziale e diseguaglianze economiche. Oggi sperabilmente questo tentativo può lasciare il segno in considerazione dell’interesse e della curiosità sempre crescenti verso la propria costituzione genomica, cioè la struttura del nostro DNA. Questo per una serie di ragioni, dal successo dei test genetici fai-da-te a fini terapeutici (medicina di precisione) a quella per tracciare la propria genealogia (siti come www.ancestry.com conquistano utenti alla ricerca dei propri alberi genealogici).

Dunque vi è oggi più che in altri momenti l’opportunità di chiarire i fraintendimenti che si vengono a creare quando si concettualizzano aspetti quali la differenza di colore della pelle o altri tratti somatici. E ciò è ancora più valido oggigiorno quando anche il comune cittadino sa che il DNA porta con sé le nostre storie passate ed è condiviso, poiché lega a diversi livelli di parentela sia individui sia gruppi di individui.

Il concetto stesso di razza storicamente si modella sulla correlata comprensione da parte della società delle evidenze scientifiche invocate per giustificare l’impiego per fini di politiche di eugenetica e di discriminazione: e dunque, giustizia sociale e progetti di “riconciliazione razziale” passano per il dovere da parte dei biologi di far conoscere i dati delle ricerche in modo chiaro. Le evidenze scientifiche negano l’esistenza delle razze.

 

Note

(*) Pubblicato nel n. 1/2018 de l’Ateo –bimestrale dell’UARR per gentile concessione della Redazione

 

[1] Il riferimento è agli scontri dello scorso agosto. L’11 agosto a Charlottesville alcune centinaia di manifestanti di estrema destra hanno marciato verso la University of Virginia per protestare contro la decisione di rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee. Il giorno successivo un’auto guidata da un suprematista bianco si è lanciata su un corteo antirazzista uccidendo una persona e ferendone una trentina. Nei giorni successivi a Baltimora sono state rimosse le statue dell’altro generale sudista Thomas Jackson e del giudice Robert Taney.

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Carlo Alberto Redi è professore di Zoologia presso l’Università di Pavia. Accademico dei Lincei, è stato membro della Commissione Nazionale di Studio sulla utilizzazione delle cellule staminali presieduta da Renato Dulbecco.

Manuela Monti, dottore di ricerca in Bioingegneria e Bioinformatica, svolge ricerche presso la fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e insegna Biologia delle Cellule Staminali presso l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia.