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Padre Incarville, l’Imperatore e la sensitiva

Padre Incarville, l’Imperatore e la sensitiva

 

Silvia Fogliato

 

Incarvillea delavayi

Tra le perenni a fioritura estiva con radici tuberose (tanto che spesso viene venduta a tuberi nudi) spicca per i fiori vistosi ma raffinati Incarvillea delavayi, con i suoi grandi calici dai colori pastello che la fanno assomigliare a una bignonia terrestre. Originaria della Cina, nel suo nome riunisce due dei numerosi sacerdoti francesi che segnarono la storia dell’esplorazione floristica del Celeste impero: i padri gesuiti Pierre Le Chéron d’Incarville (1706-1757) e Pierre Jean-Marie Delavay (1834-95). Li potremmo quasi considerare l’alfa e l’omega di questa lunga avventura, che Incarville iniziò nel Settecento e Delavay portò al suo culmine alla vigilia del Novecento.

Per raccontare la storia di padre Incarville, partiamo da un quadro, un singolare dipinto eseguito nel 1753 e conservato nel Museo Nazionale di Taipei. Lo stile è perfettamente cinese ma chi lo dipinse, anche se in Cina lo chiamavano Lang Shining, era l’italiano Giuseppe Castiglione, un padre gesuita che fu pittore di corte di tre imperatori del Celeste impero. Un’altra curiosità sta non tanto nel soggetto generale (un bonsai in un vaso azzurro), ma nella pianta ritratta: è una sensitiva, Mimosa pudica. Questa piccola leguminosa è piuttosto nota – e molto apprezzata anche dai bambini - per una singolare proprietà: le sue foglie appena vengono sfiorate si chiudono. Dato che la sensitiva è originaria dell'America latina, è ovvio chiedersi come fosse arrivata alla corte dell’imperatore della Cina, tra l’altro in uno dei momenti di massima chiusura del paese a ogni influsso esterno.

È il momento di fare entrare in scena il nostro Pierre d'Incarville; era arrivato in Cina nel 1740, poco dopo la salita al trono dell’imperatore Qianlong, fautore di una politica di ulteriore restrizione dell'accesso agli stranieri e di ostilità aperta al cristianesimo. Da più di un secolo, tuttavia, i gesuiti erano riusciti a crearsi uno spazio a corte, non come missionari ma come tecnici e scienziati il cui sapere era altamente apprezzato. Lo stesso Incarville lavorava per la vetreria imperiale.

La sua formazione e la sua inclinazione andavano però alla botanica; formatosi a Parigi al Jardin des Plantes, fin dal suo arrivo nel paese si era reso conto che la Cina era uno scrigno inesauribile di tesori botanici ma che accedervi era praticamente impossibile. I pochi esemplari e i semi che poteva procurarsi nelle brevi ed occasionali escursioni nei dintorni di Pechino o poteva acquistare in città dai venditori di sementi offrivano una scelta molto ridotta, la cui novità aveva fatto presto a esaurirsi; molto frustrante, se si pensa che dentro le mura degli immensi giardini imperiali c'era un inaccessibile tesoro di piante, che l’imperatore faceva arrivare dai quattro angoli dell’impero per il suo esclusivo diletto!

Avendo scoperto che Qianlong, uomo di fine cultura, era amante dei fiori - l'arte del giardinaggio, del resto, in Cina era secolare e aveva raggiunto risultati di estrema raffinatezza – l’astuto Incarville elaborò una strategia (come scrisse in una lettera al suo maestro e corrispondente, Bernard de Jussieu (1699-1777), dimostratore del Jardin Royal di Parigi) che mirava a farsi riconoscere in primo luogo come "curioso dei fiori", quindi come "botanico". Chiese quindi sia al maestro sia a Cromwell Mortimer (ca. 1693-1752), segretario della Royal Society di Londra, di inviargli bulbi e semi di piante "occidentali" interessanti, con le indicazioni di coltivazione.

 

 

Mimosa pudica bonsai

Dopo averli amorosamente coltivati nel giardino della residenza dei gesuiti e nella sua stessa stanza, pensava di farne omaggio all'Imperatore in modo da destarne la curiosità. Il piano riuscì, proprio grazie alla Mimosa pudica. Quando d'Incarville gliene presentò due pianticelle e lo invitò a sfiorarne le foglie, il Figlio del cielo rimase meravigliato e divertito. Gradì talmente il dono (che egli considerava, secondo lo stile cerimoniale in auge alla corte del Celeste impero, un omaggio dell'Occidente alla sua augusta persona) da ordinare a Castiglione di ritrarre la meravigliosa pianta; al dipinto volle unire una poesia da lui composta e scritta di suo pugno in cui la sensitiva viene chiamata "Pianta dell'Occidente che dice il tempo" (l'imperatore aveva constatato che le foglie si riaprivano dopo cinque minuti al mattino e dopo dieci alla sera).

Grazie al suo brillante espediente, il perseverante gesuita ottenne così quanto si era ripromesso: gli vennero aperte le porte dei giardini imperiali, venne messo in contatto con i direttori di tre giardini e con il "Mandarino delle serre"; inoltre, venne incaricato, come botanico imperiale, del progetto del giardino all'occidentale che circondava i padiglioni in stile europeo progettati da Castiglione nei Giardini della perfetta Chiarezza.

Rimane ancora da chiedersi come fossero arrivati a d'Incarville i semi di una pianta sudamericana; l'ipotesi più probabile, secondo Jane Kilpatrick che ha studiato i primi scambi botanici tra Europa e Cina, è che gli fossero stati inviati da Mortimer o da altri corrispondenti inglesi con cui questi lo aveva messo in contatto, in particolare Peter Collinson (1694-1768), il celebre collezionista e mercante di piante britannico, che nel 1751 ricevette proprio da Incarville i primi semi di Ailanthus altissima giunti in Europa.

Va infatti sottolineato che il ruolo di mediazione di Pierre d'Incarville funzionò nelle due direzioni: non solo fece conoscere alla Cina piante coltivate in Occidente (l'elenco delle sue richieste a de Jussieu include papaveri dai grandi fiori, tulipani, ranuncoli, anemoni, garofani, narcisi, fiordalisi, nasturzi, gigli), ma con ripetuti invii di semi fu l’introduttore nei giardini d'Europa e America di numerose piante oggi molto comuni e popolari. Oltre al già citato ailanto, l'elenco comprende tra l'altro sofora del Giappone (Styphnolobium japonicum), il cui più antico esemplare europeo nel 1747 fu seminato da de Jussieu al Jardin des Plantes dove ancora vive, Koelreuteria paniculataGleditsia chinensis, giuggiolo (Ziziphus jujuba), astro della Cina (Callistephus sinensis), cuor di Maria (Lamprocapnos spectabile, più nota con il sinonimo Dicentra spectabilis), goji (Lycium chinense), indaco giapponese (Persicaria tinctoria).

Per arrivare a destinazione, missive e semi affrontavano viaggi lunghi e complessi: una lettera scritta da Incarville a Pechino nel novembre 1751 viene letta da Mortimer alla seduta della Royal Society del giugno 1753. Un primo itinerario era quello marittimo, attraverso i porti di Macao e Canton (l’unico porto del territorio cinese aperto, pur con rigidissimi limiti, alle Compagnie commerciali straniere); ma, poiché Incarville viveva nella capitale, il metodo più sicuro era affidare i pacchi agli unici occidentali che vi erano ammessi, ovvero alla carovana di mercanti russi cui ogni tre anni era concesso di raggiungere Pechino per scambiare pellicce siberiane con balle di tè. Dopo la prima tappa a san Pietroburgo, i semi proseguivano per Parigi e da qui per Londra, quindi, attraverso Collinson, per Filadelfia e Baltimora. In ogni caso, i rapporti di Incarville con studiosi russi furono abbastanza intensi, tanto che si pensa sia stato coinvolto nelle trattative diplomatiche per una revisione del contrastato trattato di Kyakhta.

Incarville contribuì alla conoscenza della flora cinese anche con le sue lettere e sue comunicazioni scientifiche: nel 1740, ancora a Macao, tappa d’obbligo per i missionari che raggiungevano la Cina, vide e descrisse una pianta di Kiwi (Actnidia chinensis); qualche mese dopo, a Canton, dove era in attesa del necessario permesso imperiale prima di raggiungere Pechino, fu la volta di una pianta di tè in fioritura; nella citata lettera a Mortimer, descrisse tra l'altro l'albero della lacca (Toxicodendron verniciflua), alcune piante usate per fare la carta e il giuggiolo. Inviò all'Académie royale des Sciences, cui fu ammesso come corrispondente estero dal 1751, diverse memorie, tra cui una sui bachi da seta selvatici (bombice dell'ailanto). Compilò inoltre vari cataloghi di piante cinesi, il più ampio dei quali nell'Ottocento era conservato nella Biblioteca del Museo asiatico di San Pietroburgo. Per risolvere il problema dell'identificazione delle piante (spesso doveva accontentarsi di inviare semi o esemplari d’erbario con indicazioni vaghe come arbor cinesorum incognita "albero sconosciuto dei cinesi") curò la realizzazione di due copie del Yuzhi bencao pinhui jingyao, un catalogo delle piante medicinali cinesi con circa quattrocento disegni a colori, la prima con la traduzione dei testi, la seconda con le sole tavole accompagnate dal nome in cinese; tuttavia, a parte poche tavole, l'opera è andata perduta. Parziale è anche la conservazione dei suoi erbari, che furono inviati a Jussieu prima della morte di Incarville, avvenuta a Pechino nel 1757 in seguito a una febbre perniciosa contratta assistendo un malato. Alcuni sono andati perduti per la distanza, i naufragi, gli eventi bellici; uno ragguardevole (con 144 esemplari raccolti a Macao durante il viaggio d’andata e 149 della regione di Pechino) è conservato al Jardin des Plantes, ma è stato studiato e pubblicato solo alla fine dell'Ottocento, quando l’interesse per la flora cinese fu riacceso proprio dalle raccolte dei missionari francesi.

  

Callistephus chinensis disegno 

Tra le piante di questo erbario, una era identificata come "Bignonia". Una quarantina di anni dopo, nel 1789, un altro Jussieu, il celebre tassonomista Antoine-Laurent (1748-1836), nel suo Genera Plantarum ne riconobbe l’appartenenza a un nuovo genere, che denominò Incarvillea con la seguente motivazione: "Ne ho ricavato le caratteristiche da un esemplare essiccato dell'erbario inviato nel 1743 a Bernard de Jussieu dal Padre d'Incarville, missionario gesuita a Pechino, esperto di botanica, insieme a moltissimi semi di nuove piante, in particolare degli astri della Cina (= Callistephus chinensis), prima di allora sconosciuti in Europa".

 

Il genere Incarvillea, che comprende 16-17 specie originarie dell’Asia centrale e orientale, appartiene alla famiglia Bignogniaceae; al contrario delle sue cugine più note che sono alberi (come Catalpa) e soprattutto rampicanti (come BignoniaCampsisPodranea), sono erbacee perenni con grandi fiori dalle vistose corolle imbutiformi a lobi arrotondati, nei colori bianco, rosa, rossa, giallo. La specie di nota da noi è senza dubbio I. delavay, originaria dello Yunnan, la regione dove padre Delavay la raccolse nuovamente e la introdusse in Europa intorno al 1890; ancora a un altro missionario è legata I. mairei, originaria dell’area himalayana, omaggio a Edouard-Ernest Maire (1848-1932).

 

 

 

 

Bibliografia 

 

 

L. Allorge, La fabuleuse odyssée des plantes, Paris, Lattès, 2003

Botanistes des Lumières. Pierre Chéron d’Incarville, http://www.lafoliedix-huitieme.eu/histoire-naturelle-exploration/botanistes-des-lumieres-t324-10.html

J. Kilpatrick, Gifts from the Gardens of China, London, Frances Lincoln, 2007

A. Palumbo, Padre Cheron e la Sophora japonica L., https://studylibit.com/doc/1190520/un-uomo-una-pianta---corpo-forestale-dello-stato

Yu-Chi Lai, Overview the Network of European Botany in the Imperial Palace of Qing Dynasty via Giuseppe Castiglione’s “Time-telling Plant from the West”, Academia Sinica of Modern History, “ASDCE Newsletter”, 6, 10/06/2015