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Due uomini in barca, il terzo arriva dopo

 

Due uomini in barca, il terzo arriva dopo

Due uomini in barca, il terzo arriva dopo

 

Vincenzo Terreni

 

Agosto verso la fine di un anno imprecisato tra il ’50 e il ’60.

Ero in barca con mio padre ed un lontano cugino in quel momento sott’acqua. La barca, rigorosamente di legno in elegante fasciame, era un piccolo tender a remi di un tre alberi mai conosciuto. A poppa, sotto la panca, sfoggiava un piccolo cassetto con un pomello di legno. Conteneva qualche amo, un po’ di sagola avvolta in un rocchetto, piombini e roba varia per una pesca improbabile. Meglio affidarsi al fucile a molla o alle mani per i polpi. Ma il cassetto custodiva anche un ausilio allora indispensabile per la pesca e per correggere l’aria di mare per i polmoni abituati tutto l’inverno a respirare l’aria di un bar – biliardo di provincia. Un pacchetto quasi pieno di “Esportazioni” senza filtro colorava di verde il piccolo spazio accanto all’immancabile scatola di cerini (fiammiferi, per i troppo giovani). Il cassetto esisteva soprattutto per quello, il resto si poteva anche buttare, ma le sigarette in mezzo al golfo erano una presenza rassicurante, preziosa e protetta, ragione per cui il cassetto rimaneva rigorosamente chiuso e l’asciugamano serviva solo per asciugarsi le mani per evitare di sciupare le sigarette.

Non mi ricordo per quale motivo il cassetto era rimasto aperto e le sigarette prendevano il sole accanto ai cerini.

Sentimmo il consueto sciacquio prima dell’emersione: le due mani del lontano cugino in quel momento vicinissimo, avevano afferrato il cordolo di poppa per tirar su il resto del corpo elegantemente e in fretta riuscendo in un unico movimento a sedersi di fianco al cassetto. Con mossa istantanea si tolse la maschera e il boccaglio riversando la non poca acqua contenuta direttamente nel cassetto affogando con precisione millimetrica il pacchetto delle sigarette e quello dei cerini. I cerini avevano una confezione un po’ protetta da un sottile strato di cera, ma le sigarette no: solo carta sottile le separavano dall’esterno. Fu un lampo e un grido di dolore lacerò la calma piatta del mare: mio padre in un afflato irrefrenabile di stupore e irritazioni arrivò a paragonare la più alta divinità delle religioni monoteiste a un “tubolare con le mani in tasca!”

Non rimasi stupito per lo sfogo, che in fin dei conti considerai appropriato per una azione così sconsiderata, ma sicuramente l’epiteto era inconsueto e, per certi versi, poco comprensibile. Di solito una espressione di stizza, rabbia o disperazione aveva come conseguenza l’emissione di parole semplici e incisive con delle associazioni del nome della divinità con un termine dispregiativo tratto da un campionario abbastanza ristretto di animali da cortile (prevalentemente suini o rettili), ma anche selvatici (lupi o belve feroci) o da epiteti legati a compartamenti aggressivi e mortali (assassino) oppure a comportamenti sconventi sul piano sessuale, tralascio subito.

Ma qui no, si trattava di sei parole messe in fila come se avessero un senso, una sorta di piccolo affresco sospeso nell’aria per un attimo e dileguatosi subito lasciando una scia di stupore e incomprensione. Qual è il significato di “tubolare”? Letteralmente il tubolare è il pneumatico della bicicletta da corsa che non ha bisogno delle camera d’aria, ma che c’entra? O forse il tubolare vuole rappresentare il cerchio? Figura regina delle coniche per la sua perfezione: non come l’iperbole che non si sa dove va a finire, o la parabola che dai dai poi ribatte il grugno in terra e neppure dell’ellisse che è tanto più schiacciato quanto più si allontanano i fuochi, ma quando si avvicinano fino ad essere uno solo si ha la perfezione: il cerchio! E allora il cerchio è la divinità un’immagine astratta ma adeguta della perfezione assoluta. E fin qui va bene, ma le mani e poi le tasche che rappresentano? Be’ le mani non possono che essere di un uomo, non un primate qualunque, un uomo. Questo non è detto esplicitamente, ma si lascia intendere dalla loro collocazione: le tasche stanno nei vestiti e i vestiti solo un uomo può averli. Bene, ma questa roba come sta insieme?

Il cerchio si umanizza attraverso l’atteggiamento rilassato e bonario di una persona con le mani in tasca: le tiene lì perché temporaneamente non gli servono, ma stanno protette e inattive mentre si guarda un tramonto, una bella ragazza che passa, uno spettacolo di pace e di bellezza.

E allora quelle parole gettate lì quasi a caso da un umano erano state suggerite, non si sa come, da una benevola divinità che voleva dire: non ti arrabbiare guarda che la perdita di quello che consideri un bene importante - le sigarette – è solo un bonario invito a smettere di fumare per sempre.

Purtroppo questo invito che gli uscì preconfezionato dalla bocca non scalfì neppure il troppo consolidato tabagismo a cui mio padre rimase attaccato fino alla fine che fu certamente anticipata dalle sigarette.