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Un avvistamento eccezionale

 

Cetacei del Mediterraneo

Un avvistamento rccezionale
 
Luca Filippi
 
Livorno, 7 ottobre 2019
 
 
Era una giornata di inizio estate di dodici anni fa. Con lo stesso entusiasmo di un bimbo, nonostante i miei quarantadue anni, organizzai l’uscita in catamarano con mio figlio Nicola, che ne aveva tredici, mia nipote Aurora undici, mia cognata Michela. 
Non ne sono sicuro, ma forse ero il più elettrizzato del gruppo. 
Arrivammo al porto di Viareggio  poco prima delle nove. 
 
Ci accolse lo skipper e biologo marino proprietario della barca. 
A bordo una piccola famigliai russa, un’altra milanese, noi. In tutto circa una dozzina di persone. Nella sala sotto il ponte, appeso alla parete, un grande manifesto plastificato raffigurante i cetacei dell’omonimo santuario: capodoglio, balenottera comune,  (per gli amanti dei “record” il secondo animale più grande al mondo, secondo solo alla balenottera azzurra), delfino comune, tursiope, stenella striata, globicefalo, grampo, zifio. Dopo dodici anni non ne ricordo altri.
 
Appena salpati, cominciai con le mie solite numerose, talvolta buffe, infantili, sfacciate domande:
-“Quante possibilità abbiamo di vedere un cetaceo? Intendo, per meglio dire, su dieci uscite quante volte vi càpita?”.-
 
Mi aspettavo che lo skipper e biologo risponda due, tre volte su dieci.
 
-“Mah, la stenella direi sei volte su dieci, il capodoglio abbondando direi una”.-
 
-“Mamma mia, mi aspettavo meno! Sei su dieci non è mica male!”.-
 
Le condizioni erano perfette; il mare una tavola, l’aria piuttosto calda ma secca, tirava un leggero maestralino che compensava la temperatura.
 
Usciti dal porto i motori furono spenti e andammo a vela.
 
Nonostante l’attenzione fosse tutta per eventuali avvistamenti, riuscimmo a goderci tutto; l’atmosfera estiva, la condivisione e comprensione, complicità nonostante lingue diverse tra persone sconosciute... Sì, perché non ci sentivamo turisti, si percepiva la consapevolezza del contributo alla scoperta, conoscenza, divulgazione di uno degli angoli di paradiso naturalistico di casa nostra.
 
Passavano le ore, niente in vista.
Qualche gabbiano corso, inconfondibile per becco rosso e minori dimensioni rispetto al gabbiano comune. Qualche medusa e, stranamente, un’aplisia, o lepre di mare, nera; in genere stanno vicino alla riva.
 
Il tutto condito da tanti, tanti tuffi e brevi nuotate.
Vabbè, era stata comunque una bella giornata di mare diversa dalle altre, con tante cose trasmesseci dal biologo, pur senza l’avvistamento di cetacei.
A metà pomeriggio prendemmo la strada del ritorno. A circa quattro miglia dalla costa, miracolo! Notammo a poche centinaia di metri uno spumeggiare, schizzare diffuso, esteso ma statico. Immediatamente dopo riconoscemmo i delfini! Erano qualche decina, stenelle. Permanevano nella solita area ristretta, saltavano moltissimo, agitati o giocosi, chissà.
 
Poco dopo iniziarono a seguirci, seppur a distanza. Ci tennero compagnia per una mezz’ora circa. Mi colpì l’apparente caos e contraddizione tra il loro agitarsi e giocare, o semplicemente mangiare, fermi in un’area precisa, e l’ordine in cui procedevano per starci vicini.
Ecco, ora la felice dozzina si sentiva appagata. 
 
Poco dopo, sfumate le espressioni di entusiasmo condivise e rimasta la gratificazione interiore, individuale, una voce con accento milanese esclamò, più incuriosita che, come ci si sarebbe dovuti aspettare, sorpresa (la costa della Versilia è notoriamente sabbiosa ed eravamo molto al largo):
-“Uno scoglio in mezzo al mare!”-
Il signore stranamente non era, appunto, stupito.
Io e lo skipper ci guardammo al volo, con gli occhi sbarrati, per poi fissare lo “scoglio”: una balenottera!
Lui ovviamente, in quanto biologo marino con esperienza, ne ebbe subito la massima certezza. Io invece lo dedussi per esclusione: i capodogli hanno la testa immediatamente riconoscibile, i delfini sono molto più piccoli.
 
Il catamarano esplose in un boato, ma il biologo sembrava impazzito. In tanti anni non gli era mai capitato un avvistamento del genere. Il tempo di precipitarsi a prendere la telecamera e ...  zac! La balenottera era praticamente appiccicata allo scafo di tribordo, mancavano centimetri al contatto. Non ci riuscì toccarla, ma .... non era sola, aveva con sé un piccolo di pochi metri. La più grande la stimammo sui diciannove, (possono arrivare a venticinque), comparandola con i tredici del catamarano. Dopo qualche minuto ne apparve una terza, credo adulta, ma abbastanza più piccola dell’altra.
 
Dalla sorpresa passammo a un entusiasmo irrefrenabile; qualcuno, io per primo, ad una forte e visibile commozione.
Mi scese qualche lacrima, cancellata e mescolata con gli schizzi di mare, ero tutto steso sullo scafo proteso verso la balenottera più grande, la più vicina.
Il biologo filmò e invio alla RAI.
Tornati a casa sapemmo che il TG3 regionale aveva trasmesso un breve servizio.
 
Voglio terminare questo racconto con un piccolo cammeo: quando il trio si allontanò, le tre balenottere comuni si trasformarono in tre sagome, che immediatamente si trasformano, per me, nelle “tre balene di Capoliveri”, ovvero il nome che la mia professoressa di scienze del liceo e oggi, se posso, grande amica Luciana Bussotti, dava ai tre promontori della costa meridionale dell’Elba visibili da questa località.
La mente collega ricordi altrimenti totalmente sconnessi, purché siano ricordi dell’anima e del cuore, oltre che della mente.
 
Grazie balene, grazie Luciana.