Henry Dunant e le origini
della Croce Rossa
Luciano Luciani
Dicembre 1901: il comitato per il Nobel del Parlamento norvegese assegna il primo dei premi per la pace a Henry Dunant, un ultrasettantenne malato che da anni vive in un ospizio sul lago di Costanza. Fino a trent’anni prima, quell’uomo, ora sofferente, era stato il brillante protagonista di anni di febbrile attività in favore del disarmo. Poi, un lungo periodo di oscuramento delle sue idee, e, di nuovo, anni di ammirazione e di riconoscimenti. Ma, infastidito dalla fama, Henry si negava ai visitatori con una testardaggine pari solo all’entusiasmo giovanile con cui si era impegnato nella lotta per la pace. Ora scrive pagine premonitrici sull’avvenire di sangue che attende il mondo del XX secolo, riceve solo gli amici fidati e muore il 30 ottobre 1910, lo stesso anno in cui vengono a mancare due grandi figure per cui Dunant aveva sempre espresso ammirazione, Leone Tolstoi e Florence Nightingale.
Henry Dunant nasce a Ginevra nel 1828, da famiglia borghese e protestante. Fin dall’adolescenza usa il proprio tempo libero per portare soccorso ai poveri, agli ammalati, ai carcerati; Henry comincia a prendersi cura dei “feriti” del tempo di pace già parecchi anni prima di occuparsi dei feriti di guerra. Uscito dal collegio nel 1849 entra a far parte di un gruppo di giovani animati da una fede intensa e nasce così l’Alleanza Universale delle Unioni Cristiane, più nota sotto il nome di YMCA. Ma Ginevra ormai gli sta stretta: si trasferisce in Algeria, studia l’arabo e l’Islam e matura per questa religione ammirazione e rispetto. Si lega alle popolazioni indigene e un suo progetto di trasformazione di una grande proprietà agricola algerina fallisce per il disinteresse delle istituzioni. Deluso, ma non sconfitto, decide allora di recarsi da Napoleone III in persona per perorare la causa dei contadini algerini: il fatto che l’imperatore francese in quel momento si trovi in Italia, in Lombardia, alla testa dell’esercito francese impegnato a fianco del piccolo Regno di Sardegna contro le truppe austriache, non arresta lo zelo del giovane svizzero.
Quando Dunant raggiunge la Lombardia, le operazioni militari sono a un punto di svolta e incombe lo scontro decisivo. La battaglia di Solferino, la più sanguinosa che l’Europa abbia conosciuto dopo Waterloo, deflagra il 24 giugno 1859 e impegna l’intera armata francese e la più gran parte di quella austriaca. Più di 300.000 uomini e 25.000 cavalli si scontrano per oltre 14 ore, bombardati dal fuoco di oltre 1000 cannoni. Dunant percorre quei luoghi in carrozza, irreprensibilmente vestito di bianco per difendersi dal caldo, alla ricerca di un abboccamento con l’imperatore. Ode distintamente il rombo dell’artiglieria, ma non si spaventa. Inorridisce, invece, quando nel vicino borgo di Castiglione cominciano ad affluire le vittime di quella vicenda bellica: migliaia di feriti che arrivano dal campo di battaglia, ammucchiati in disordine senza la minima assistenza. Dunant quel giorno non prosegue oltre perché lo fermano la pietà e l’orrore. Migliaia di giovani uomini giacciono sulla nuda terra trapassati dalle pallottole, mutilati dalle schegge, schiacciati dalle ruote dei carriaggi, le piaghe infettate, tormentati dal caldo e dalla sete. Le intendenze hanno attrezzature inadeguate per curare quei disgraziati che per i loro commilitoni sono soltanto un peso da affidare alla pietà dei civili o alla solidarietà dei compagni d’arme.
Il ricordo di quella tragica giornata rimane incancellabile nella memoria del ginevrino. Per due anni si sforza di tornare ai suoi affari. Nel 1861 si ritira nella sua città natale con l’intenzione di rivelare all’opinione pubblica europea l’atroce verità del campo di battaglia. Alla fine del 1862 pubblica Un ricordo di Solferino che, inviato a politici, uomini di stato, intellettuali, suscita un forte sentimento di commozione. Dunant denuncia soprattutto l’assenza di soccorsi sanitari sugli scenari bellici e l’Europa democratica rimane profondamente turbata nel leggere le sue pagine.
Nel 1863 Henry pone all’ordine del giorno della Società ginevrina di Pubblica Utilità il problema “dell’aggregazione agli eserciti belligeranti di un corpo d’infermieri volontari”: ne deriva una commissione di cinque membri formata da Henry Dofour, capo militare dell’esercito della Confederazione svizzera; i medici Louis Appia e Théodore Maunoir; un giurista, Gustave Moynier e Dunant stesso.
Tale organismo, forte del consenso delle famiglie regnanti d’Olanda, Prussia, Assia, Baden e del giovane regno d’Italia, tenta la strada della convocazione a Ginevra di una Conferenza internazionale per dibattere del suo progetto filantropico organizzato in tre punti. Ogni governo si doveva impegnare: ad assicurare appoggio e protezione al proprio Comitato nazionale di soccorso ai feriti da crearsi in ciascuno degli Stati europei; a riconoscere la neutralità del personale medico militare e di tutti i soccorritori; a favorire durante le ostilità i trasporti del personale e dei materiali sanitari nelle zone di guerra.
Nell’ottobre del 1864 viene finalmente inaugurata l’assise voluta con tanta fermezza dal finanziere ginevrino. Vi partecipano i delegati di 16 Paesi: l’Italia non aderisce ufficialmente, ma invia come uditore il proprio console in Svizzera. Dopo quattro giornate di discussioni viene adottata una risoluzione in dieci punti che prevede la costituzione di un Comitato nazionale di soccorso in ognuno dei Paesi aderenti; la predisposizione in tempo di pace di attrezzature e la formazione di un corpo di infermieri volontari; la neutralizzazione delle ambulanze, degli ospedali e del personale sanitario agli ordini delle autorità militari. Unico per tutti i Paesi il segno distintivo della nuova organizzazione: una croce rossa in campo bianco, ovvero la bandiera svizzera a colori invertiti, Era nata la Croce Rossa Internazionale.
Dunant paga un prezzo personale molto alto perché le fatiche organizzative per trasformare in pratica concreta la sua idea lo portano a trascurare gli affari e lo avviano verso un pesante dissesto finanziario. Seguono circa vent’anni di povertà a cui fanno da contrappunto progetti sempre più grandi, e talora velleitari, sollecitati da una passione umanitaria che sembra divorare il compassato uomo d’affari di una volta. Dunant soffre la fame, dorme nelle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie e sulle panchine fino a ridursi nella piccola pensione ‘Paradiso’, nel cantone di Appenzell sul lago di Costanza. Qui scrive pagine tormentate in cui ricordi, digressioni, polemiche per le ingiustizie sofferte si mescolano a scritti profetici sui futuri disastri della guerra in Europa.
Quando ormai tutti lo credono morto un giovane giornalista lo scopre e ne racconta al mondo la storia, le sofferenze, l’ingiusto destino. Paragonabile a quella che aveva accolto Un ricordo di Solferino una nuova ondata di emozione percorre ora il mondo e “l’avventuriero della carità” torna a occupare il posto che merita nella coscienza planetaria: quello dovuto a chi, per primo, aveva intuito e tentato, tra scetticismi e boicottaggi di ogni genere, di mettere in pratica l’idea semplice e feconda di neutralizzare su tutti i teatri di guerra i sofferenti e i loro soccorritori.