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Le domande dei problemi e ... sui problemi

 

problemi autentici e significativi

Le domande dei problemi e ... sui problemi

 

Lucia Stelli

 

Risolvere problemi di matematica è un’attività che mette in difficoltà molti alunni. Le situazioni artificiose descritte nei problemi scolastici li portano infatti a porsi domande su un contesto che non richiama le loro conoscenze ed esperienze.  Anche la domanda dei problemi appare artificiosa e lontana dall’esperienza. È quindi necessario che l’insegnante rifletta sulle domande che i bambini si pongono per riconoscere e proporre problemi autentici e significativi. 

 

Scrive Maria Castelli nel suo articolo “Le domande dell’insegnante”: “Le buone domande sono comprensibili dagli alunni, poste in modo da consentire loro di rispondere e sono seguite da un ascolto attento delle risposte”. Le domande dei problemi allora raramente sono ‘buone’.  Prima però di muovere critiche circostanziate, mi preme dire, in virtù della mia lunga esperienza di insegnante, che nella scuola l’attenzione alla comprensibilità delle domande e in generale alla comprensione del testo è rara, tutta da coltivare.

 

Eppure già da tempo ricercatori e neuroscienziati ci comunicano l’importanza di allenare a una lettura profonda del testo attraverso il porre e porsi domande.

 

Lettore vieni a casa  

Maryanne Wolf, una delle più note neuroscienziate cognitiviste ci esorta: “Ove sia possibile, un insegnante o un genitore dovrebbe porre domande che conducano i bambini a collegare le proprie conoscenze di base a ciò che leggono, sollecitando così il loro senso di empatia per la prospettiva di un altro spingendoli a fare inferenze a esprimere le proprie analisi, riflessioni, intuizioni”1.

Porre domande che permettano agli alunni di collegare le loro conoscenze ed esperienze a ciò che leggono  è cosa difficilissima se non si è capaci di identificare e ascoltare i loro bisogni. Ancora più difficile se si devono cambiare pratiche consolidate centrate sull’apprendimento di qualcosa a scapito dell’apprendimento da qualcosa. Ora, i problemi di matematica, tra tutti i tipi di testo affrontati a scuola, sono costruiti per porre domande a chi legge, ma nella maggior parte dei casi sono domande fittizie che assolvono allo scopo di mostrare all’insegnante quello che l’allievo ha imparato su ciò che è stato fatto in classe. Del resto anche le situazioni descritte sono in genere artificiose. Chi non ricorda i problemi sulla mamma che va a comprare uova che si rompono nel tragitto dal mercato a casa, su libri che vengono letti con lo stesso numero di pagine al giorno, su orti dalle forme geometriche più disparate da recintare completamente senza potervi entrare?

 

 

mio figlio ha paura della Matematica Come ragionano i bambini   

Il modello rigido di problema che pervade la pratica didattica, ben descritto da Rosetta Zan nel suo libro  “Mio figlio ha paura della matematica”2 è caratterizzato in definitiva dall’artificiosità del contesto, cioè dalla situazione descritta, e soprattutto dalla mancanza di un legame di senso fra la domanda e il contesto.

La ricerca ha messo in luce le difficoltà di comprensione poste dai testi dei problemi tradizionali che hanno queste caratteristiche.

In particolare l’importanza di un legame di senso fra domanda e contesto è stata evidenziata in modo efficace da Margaret Donaldson nel suo libro “Come ragionano i bambini”3.

Le ricerche citate dalla studiosa evidenziano che in mancanza di tale legame i bambini tendono a rispondere a domande diverse, più ‘naturali’ rispetto alla situazione descritta: in un problema standard raramente la domanda finale è una domanda ‘naturale’, cioè è una domanda che una persona si porrebbe nella situazione descritta.  

A questo punto proviamo a far chiarezza con un esempio: si tratta di un problema4 rivolto alla classe quinta della scuola primaria, che rende bene lo ‘scollamento’ evidenziato.

 

Elena come regalo di Natale per i suoi amici decide di fare dei biscotti al forno.

I biscotti che le serviranno sono: 48 al cioccolato, 68 alle mandorle, 40 con l’uvetta e 52 alla marmellata.

Per riuscire a consegnare i biscotti in tempo deve farne almeno 16 al giorno.

Quanti giorni le servono?

Elena però il primo giorno è particolarmente volenterosa e ne cucina già 32.

Quanti giorni in meno dovrà cucinare? 

 

Per avere un riscontro delle difficoltà a comprendere il testo del problema è stata posta a una classe quinta la seguente richiesta:

 

“Leggi il testo del problema e poi scrivi le domande che possono aiutarti a comprenderlo”. 

Ecco che cosa ha scritto Matteo:

1. 16 biscotti al giorno, a che cosa?

2. 32 biscotti, a cosa?

3. Non si sa quanti amici sono

4. Perché consegnare?

5. E POI COME FA A DIVIDERLI?

6. I biscotti non sono la stessa quantità, quindi qualcuno non prenderà dei biscotti?

7. Perché lo fa solo il primo giorno 32 biscotti?

Matteo è l’alunno che si è posto più domande e le ha anche numerate scrivendo in carattere maiuscolo la domanda n.5, che evidentemente era quella che lo metteva più in difficoltà dal punto di vista matematico.

 Altre domande emerse sono:

-  Perché così tanti biscotti?

-  Perché i biscotti sono a diversi gusti?

-  Quanti giorni mancano a Natale?

-  Chi consegna i biscotti? 

A proposito di quest’ultima domanda Giulia spiega: “Non capisco la parte in cui dice a consegnare i biscotti

perché all’inizio dice come regalo di Natale per i suoi amici, per me tornerebbe se ci fosse scritto per riuscire a regalare i biscotti (come del resto si chiede sinteticamente Matteo nella domanda 4: “Perché consegnare?”). Anche l’uso di una parola al posto di un’altra può generare difficoltà di comprensione!  

Indubbiamente dalle domande raccolte emerge il bisogno degli alunni di un realismo autentico e non solo di facciata: in una situazione reale la cosa più naturale sarebbe contare prima di tutto gli amici, stabilire quanti biscotti regalare a ognuno, decidere le varie tipologie e pianificare i tempi.

E infatti la domanda più ricorrente nelle risposte degli alunni è “Quanti amici ha Elena?”!

Innegabilmente il testo presenta una realtà artefatta. Chi mai deciderebbe di regalare 208 biscotti impegnandosi per 13 giorni facendone solo 16 alla volta, per giunta di tipologie diverse?

Anche la domanda Quanti giorni le servono? non è realistica.  Elena sa già quanti giorni le serviranno visto che sa di dover fare almeno 16 biscotti al giorno!

Ancor più inadeguata è la richiesta Quanti giorni in meno dovrà cucinare? Infatti la domanda naturale, suscitata dall’informazione che Elena il primo giorno ha cucinato 32 biscotti, è Quanti giorni dovrà ancora cucinare? Ed è questa la domanda a cui ha risposto Giacomo:                                                                                                       

 

La risposta di Giacomo conferma quello che hanno evidenziato le ricerche di Margaret Donaldson: se la domanda non ha un legame di senso con il contesto, i bambini tenderanno a rispondere a una domanda diversa, più naturale.

Più in generale la conoscenza delle cose del mondo posseduta dai bambini li porta a costruirsi una sceneggiatura realistica in cui il problema è decidere quanti biscotti fare e come farli, non ragionare su decisioni già prese e non giustificate. Nel testo originale invece è assente il problema reale: di reale appare solo la richiesta dell’insegnante che vuol accertarsi che l’allievo sappia quali sono le operazioni da fare con i dati numerici presenti nel testo.

Il messaggio che passa è che operazioni aritmetiche e realtà viaggiano su strade diverse, ma va percorsa solo quella della matematica. Così facendo si chiede agli alunni di rinunciare a comprendere e alla lunga si legittima una finzione che non solo non diverte, ma annoia perché confinata al contesto scolastico e legata a problemi sempre uguali a se stessi. Quel che è peggio è che si inducono i bambini a mettere in atto una lettura del testo finalizzata alla ricerca dei soli dati numerici e di parole chiave da collegare alle operazioni aritmetiche. Si induce quindi un’abitudine dannosa che porta a trascurare informazioni e relazioni utili per comprendere il testo di un problema e progettare un piano di risoluzione.

Sicuramente gli alunni che hanno capito le regole del gioco si adeguano e non si pongono tante domande, ma chi cerca di comprendere il testo resta imbrigliato nelle sue maglie di incoerenza e finisce per rinunciare a risolvere il problema. Alla lunga finisce anche per rinunciare a capire la matematica.

Da queste considerazioni emerge un altro aspetto importante dal punto di vista didattico: anche un problema artificioso può essere utilizzato in modo efficace, ad esempio analizzandolo insieme agli alunni. L’attività descritta ha permesso infatti di orientarli verso una lettura profonda, ma soprattutto li ha fatti sentire ascoltati dall’insegnante. Il fatto poi di condividere con i compagni le stesse domande li ha fatti sentire adeguati e inclusi rispetto alla richiesta che era stata loro posta, tutti buoni motivi per investire nella lettura come attività strategica che coordina azioni e strumenti in vista della comprensione. In ambito matematico tale attività acquista ancora più valore in quanto la comprensione è condizione irrinunciabile per utilizzare le informazioni in modo produttivo.

Anche l’insegnante trae un enorme vantaggio da tale attività, in particolare perché è costretto a riflettere sulle domande poste dagli alunni e indotto a riflettere sulla distinzione tra ‘buone’ e ‘cattive’ domande.

L’attenzione alle ‘buone’ domande e al realismo del contesto caratterizzano i problemi proposti dal progetto di Giunti Scuola “Problemi al centro” curato da Rosetta Zan e Pietro Di Martino dell’Università di Pisa.5

Come traspare dal titolo, il progetto, rivolto alla scuola primaria, mette al centro dell’insegnamento della matematica i problemi, come del resto era già stato raccomandato nei programmi ministeriali del 1985 6 che puntualizzavano: “...le nozioni matematiche di base vanno fondate e costruite partendo da situazioni problematiche concrete, che scaturiscono da esperienze reali del fanciullo e che offrano anche l’opportunità di accertare quali apprendimenti matematici egli ha in precedenza realizzato, quali strumenti e quali strategie risolutive utilizza e quali sono le difficoltà che incontra”.

Più recentemente le Indicazioni nazionali 7 rimarcano la centralità dei problemi nella pratica didattica e specificano che “devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana”.

Purtroppo, come abbiamo visto, raramente le situazioni concrete descritte nei problemi sono realmente problematiche: il problema semmai è esterno, nasce per il bambino che deve rispondere alla domanda, con le gravi conseguenze che questo ha sulla costruzione del rapporto con la matematica.

Un regalo per la nonna  

Con “Problemi al centro” i curatori intendono colmare tale vuoto per promuovere negli allievi un atteggiamento positivo verso la matematica intervenendo fin dall’inizio della scuola primaria per evitare che costruiscano un’idea distorta di problema, in particolare la convinzione che i problemi di matematica non hanno nulla a che fare con la realtà.  

A titolo di esempio ecco un problema proposto per la classe prima.

Con questo tipo di testo - che conclude il percorso introduttivo all’idea stessa di problema - si vuole promuovere l’idea di problema di matematica quale problema reale la cui soluzione richiede l’uso della matematica. Il testo non chiede in modo esplicito “Quanti soldi hanno insieme Anna e Marco” come farebbe un problema standard, ma l’autenticità della situazione farà sì che i bambini si pongano spontaneamente tale domanda per decidere se i soldi bastano per acquistare il profumo.  Come sottolineano i curatori del progetto, la scelta di chiamare in causa l’alunno con la domanda “Secondo te, bastano i soldi che hanno Anna e Marco per comprare il profumo”? è strategica. Permette infatti di richiamare il vissuto del bambino, favorire la comprensione del problema, mobilitare le sue risorse, tutti obiettivi fondamentali dell’educazione matematica, a prescindere dalla correttezza o completezza della risposta.

Inoltre la scelta di una somma totale maggiore del costo suscita un’ulteriore domanda, che può attivare riflessioni e processi significativi: “Secondo te, quanti soldi dovrebbe mettere Anna e quanti Marco?”.

Non ci sono risposte giuste o risposte sbagliate a questa domanda e questo permette ai bambini di mettere in gioco e poi argomentare le proprie opinioni personali e i propri valori, e di prevenire lo stereotipo che ogni problema di matematica ha esattamente una soluzione.

Non tutti i problemi del progetto (al momento 50) sono di tipo narrativo con protagonisti reali o fantastici, ce ne sono anche altri tutti interni alla matematica.

conta le stelle  

L’esempio che segue “Conta le stelle“ è uno di questi. Prende le mosse da una domanda di livello 2 del test Invalsi 20138 a cui è stata aggiunta una seconda domanda sulla modalità di conteggio suggerita dalle diverse risposte messe in atto dagli alunni.  Si tratta di una ‘buona’ domanda perché favorisce lo spostamento dell’attenzione dalla risposta corretta alle strategie di conteggio e contribuisce a potenziarle.

Le buone domande aprono nuove prospettive e fin dall’inizio della scuola primaria, ma anche della scuola dell’infanzia, gettano le basi per costruire una matematica ricca di idee, ragionamenti, spirito critico, collaborazione, in definitiva un mondo nuovo tutto da esplorare e da cui si impara moltissimo.

Inoltre, sia che si tratti di problemi narrativi che di problemi matematici che pongono sfide per la mente, la condivisione e discussione delle risposte raccolte, momento cruciale dell’attività di problem solving, permette di lavorare anche su competenze trasversali significative, quali la capacità di esplicitare le strategie adottate, la capacità di ascoltare e valutare le strategie altrui.

 

Per concludere, se vogliamo un insegnamento/apprendimento autentico, coerente con le Indicazioni nazionali e con i bisogni degli alunni, dobbiamo prima di tutto essere disposti a mettere in crisi le nostre convinzioni e le nostre abitudini, ad accogliere le domande dei bambini, a fare nostre le loro curiosità e superare la paura di non saper gestire le incognite. Nella ricerca di buone domande, i nostri alunni hanno molto da insegnarci.

 

 

Note

 

1. Wolf M.,  Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, Vita e Pensiero, 2018.

2. Zan R., Mio figlio ha paura della matematica, GiuntiEdu, 2021.

3.  Donaldson M., Come ragionano i bambini, Springer Verlag,2009

4. Cornoldi C. et al., AC-MT 6-11, Trento, Erickson2012.

5. Di Martino P., Zan R., Problemi al centro. Matematica senza paura

6. Programmi della Scuola Elementare

7. Indicazioni nazionali per il curricolo, Annali della pubblica Istruzione, pag. 60, Firenze, Le Monnier, 2012

8. Archivio interattivo delle prove Invalsi