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Topo di campagna e topo di città

 

Picchio testarossa

Topo di campagna e topo di città 

 

Valentinina Vitale

 

Topo di campagna e topo di città scriveva Orazio nelle sue Satire, anticipando inconsapevolmente un tema che solo da poco tempo è stato approfondito dalle scienze naturali. In effetti non è una fantasia che popolazioni o individui che vivono in un ambiente non antropizzato si diversificano da altri della stessa specie che si trovano in città; non si tratta solo di differenze comportamentali ma proprio di caratteri morfologici come la colorazione. Uno dei casi più noti e studiati è quello di Biston betularia, la geometride delle betulle (un lepidottero) caratterizzata da polimorfismo. Prima della Rivoluzione Industriale la forma più diffusa era la typica, biancastra con delle macchiettature scure quindi perfettamente adattata per mimetizzarsi sopra ai tronchi degli alberi ricoperti da licheni; uno studio recente (Avian vision models and field experiments determine the survival value of peppered moth camouflage, Communication Biology) ha inoltre dimostrato che sotto la luce UV, a causa dell’alternanza di scaglie nelle ali bianche e fortemente riflettenti e altre nere in grado di assorbire l’ultravioletto, la typica appare maculata con un pattern estremamente simile a quello dei licheni crostosi e quindi è difficilmente identificabile dagli uccelli suoi predatori, in grado di percepire l’UV. La varietà carbonaria, nera puntinata di bianco quindi capace di mimetizzarsi più facilmente sui tronchi scuri privi di licheni, era invece rarissima. L’inquinamento atmosferico derivato dalla diffusione delle fabbriche a carbone ha portato negli ambienti urbani o industriali ad una scomparsa dei licheni e alla formazione di uno strato di fuliggine sopra alle cortecce degli alberi. Di conseguenza a partire dal XIX secolo le abbondanze delle due varietà di sono invertite: la carbonaria è diventata dominante mentre la typica si è rarefatta a seguito dell’aumento della pressione predatoria. Solo con le leggi di contenimento dell’inquinamento dell’aria e il ritorno dei licheni, nella seconda metà del Novecento, la typica si è nuovamente diffusa. È un classico caso di melanismo industriale in cui il successo della pigmentazione nera è causata proprio dall’ambiente industrializzato che ospita gli individui. Un meccanismo diverso ma sempre collegato ai colori si è osservato nelle popolazioni cittadine di cinciallegra (Melanin- and carotenoid-dependent signals of great tits (Parus major) relate differently to metal pollution, 2008 e Metal exposure influences the melanin and carotenoid-based colorations in great tits, 2015). In questa specie la pigmentazione del petto, di un giallo acceso con una fascia centrale nera, è da considerare un carattere sessuale secondario importante che viene valutato dalle femmine nella scelta del partner e che quindi influisce sulla fitness. Gli studi sono riusciti a dimostrare che la presenza negli ambienti urbani di metalli pesanti ha un effetto misurabile sul piumaggio di questa specie: la quantità di carotenoidi è associata negativamente alle concentrazioni di mercurio nelle penne mentre la quantità di melanina è legata positivamente alle concentrazioni di rame e negativamente a quelle di cromo. In altre parole, la presenza di mercurio fa sì che la colorazione gialla risulti sbiadita e la striscia pettorale nera è più larga e visibile a causa del rame e più sottile per effetto del cromo. Nel caso dei carotenoidi è stato ipotizzato che questi ultimi non vengano depositati nelle penne ma utilizzati come antiossidanti naturali contro i radicali liberi (in aumento a causa delle sostanze inquinanti) oppure è possibile che i metalli pesanti influenzino negativamente la sintesi dei pigmenti nelle piante e che, a catena, siano i bruchi, di cui le cinciallegre si nutrono, ad essere poveri di carotenoidi (Carotenoid diet and nestling provisioning in urban and rural great tits Parus major, 2007). Per quanto riguarda la melanina è plausibile che la presenza di metalli pesanti aumenti i livelli di testosterone che a sua volta incrementa la produzione di melanina; infatti i maschi con la striscia pettorale più estesa sono anche più aggressivi e territoriali. Oltre al melanismo industriale e alle variazioni dei pigmenti nel piumaggio esiste anche un'altra modalità in cui un ambiente urbano può modificare la colorazione degli animali come dimostrato in un interessante studio del 2017, Bird specimens track 135 years of atmospheric black carbon and environmental policy. Tra i principali fattori che hanno causato l’attuale riscaldamento climatico ci sono le emissioni di black carbon, l’insieme delle particelle carboniose derivanti da combustioni incomplete di combustibili fossili e biomassa; le principali fonti di produzione di questo inquinante, normalmente noto come fuliggine, sono quindi il traffico veicolare, il riscaldamento domestico a legna, gli incendi o in agricoltura le fascine bruciate. Quantificare con precisione le emissioni all’inizio dell’era industriale è estremamente difficile a causa degli scarsi campionamenti ambientali diretti ma la recente ricerca ha sperimentato un nuovo ed efficace metodo basato sull’osservazione di campioni tassidermizzati di uccelli conservati in varie collezioni di storia naturale. In questo caso però non si tratta di modifiche della pigmentazione interna ma di depositi sopra il piumaggio di fuliggine; in effetti utilizzando la microscopia elettronica a scansione (SEM) è stato dimostrato che piume e penne del petto dei campioni più scuri erano ricoperte da particelle di carbon black. Poiché la muta del piumaggio negli uccelli è annuale l’esemplare fotografa con esattezza il livello di diffusione della fuliggine in atmosfera nell’anno in cui è stato raccolto e quindi è un perfetto e preciso campione ambientale. Misurando i valori di riflettanza (il black carbon assorbe la luce quindi ha bassa riflettanza) delle penne del petto e del ventre di più di mille esemplari raccolti tra il 1880 e il 2015 in un’area degli Stati Uniti densa di industrie si è riusciti ad ottenere un andamento delle emissioni di fuliggine nell’arco dei 135 anni considerati. Le specie esaminate dovevano ovviamente avere il petto chiaro e uniforme come ad esempio il passero campestre, il passero locustella, l’allodola golagialla e il picchio testarossa. I dati hanno evidenziato che il picco delle emissioni è stato raggiunto nel primo decennio del XX secolo, poi fino al 1950 circa i livelli erano correlati al consumo di carbone ma successivamente le concentrazioni di black carbon hanno iniziato a diminuire drasticamente nonostante il carbone fosse sempre molto utilizzato. Questa discrepanza si deve all’efficientamento delle combustioni e successivamente alla transizione verso nuovi combustibili. Tutto ciò non solo dimostra che il colore degli uccelli è influenzato in modo diretto dall’ambiente urbano, con effetti a cascata sulla biologia, sullo stato di salute e sulla fitness, ma anche che adottare politiche di tutela ambientale e di miglioramento dei processi industriali e non solo non è affatto inutile, come a volte può sembrare, ma porta a miglioramenti concreti. Ancora una volta è grazie all’osservazione di altre specie animali che riusciamo a comprendere meglio la storia e le caratteristiche dell’ambiente che ci circonda e ad alimentare la speranza di poter ancora agire per contenere l’emergenza climatica che stiamo vivendo e per rallentare la perdita di biodiversità. Ci siamo già riusciti e dobbiamo farlo di nuovo.