Prima scuola, naturalmente
Paolo Guidoni
Cari Amici di ‘Naturalmente’,
credo che sarebbe molto opportuno rispondere, ovviamente “ciascuno a suo modo”, alle sollecitazioni implicite nel recente “Almanacco” di Micromega dedicato al fare-scuola; qui e oggi. In particolare per il fatto che, insieme a tanti espetti ampiamente condivisibili, quella che secondo me complessivamente ne emerge è una visione abbastanza manchevole – a volte addirittura distorta – di quelli che sono i più ‘seri’ problemi che la trasmissione culturale si trova ad affrontare; qui e oggi. Così colgo ora l’occasione del commento di Maria Castelli, che condivido, per aggiungere qualche altra riflessione sul cruciale problema (sociale e culturale – ammesso che si possa distinguere) della ‘prima scuola’ (da zero a otto-nove anni, direi). Riservandomi di tornare su altre sollecitazioni presenti nell’”Almanacco”.
Prima, un ‘piccolo’ fatto. Quarta elementare. Per la terza volta si discute a lungo, in cerchio, su “cosa è un angolo”, sulla base di letture, esperienze, elaborazioni personali. A un certo punto Qualcuno prorompe, alzandosi in piedi “… ho capito … sì, ho proprio capito!”. [N.d.R.: ha veramente ‘capito’, a fondo, cosa c’è di ‘nascosto’ dietro questo difficile problema, ed è in grado di ‘spiegarlo’ bene agli altri - ma non è questo il punto]. Il fatto cruciale è che la prima replica proveniente dal cerchio non è “cosa hai capito?”, ma “come fai a sapere che hai capito?”; e che Qualcuno risponde prontamente “io lo so quando ho proprio capito … perché mi viene un calduccio dentro, e allora lo so …”.
Un “calduccio dentro”. La modellizzazione delle dinamiche cognitive di base parlerebbe della ineludibile ed essenziale controparte emotiva di ogni ‘risonanza’ cognitiva in grado di aprire l’accesso a una vera ‘appropriazione’; della assoluta necessità di una precoce, lungimirante ‘educazione’ a quella capacità di auto-percezione che coglie questa specifica dimensione dell’affettività, e gradualmente impara a gestirla; del ruolo esercitato dalle ‘primissime’ dinamiche di confronto fra la percezione interna ed esterna da un lato, e, dall’altro, i vincoli-supporti proposti e imposti dal mondo-come-è e dalla cultura-come-è. “Ma è troppo complicato da capire, e da far capire … “, e così non ci si prova neanche: né con i bambini futuri-adulti, né con i ragazzi futuri-insegnanti. Salvo poi accorgersi (quando va bene …) che in ambedue i contesti alcuni (molti …) possono essere “già perduti ancora prima di cominciare”. In altre parole. In relazione a tutto quello che ad ogni livello di ‘scuola’ si fa per “aiutarli a diventare quello che sono”, la mediazione della ‘prima’ interazione fra il sé e il mondo è quella che quasi irreversibilmente ne ‘mette in forma’ la relazione - sia globale sia contestualmente differenziata , sia affettiva, sia cognitiva, sia operativa, sia sociale … . (Il ‘quasi’ è necessario: ma al passare degli anni il ‘recupero’ diventa sempre più difficile, faticoso, improbabile. E solo decenni di esperienza concreta con i bambini delle scuole d’infanzia possono evocare-giustificare l’osservazione, rivolta alle matricole del ‘proprio’ corso verso una laurea in fisica, che “evidentemente a molti di voi è mancata almeno una buona scuola d’infanzia … e ora c’è da rimediare …”).
In definitiva, penso che il problema di una ‘prima scuola’ che sia risonante con le potenzialità cognitive affettive e comportamentali di chi si affaccia al mondo, in modo efficace e lungimirante, sia in realtà cruciale-ma-complesso: e che come tale andrebbe affrontato a livello sia culturale che sociale (ammesso che siano separabili …). Qui vorrei proporre solo due più specifici motivi di riflessione derivanti dall’evidenza, maturata nella ricerca, di quanto la ‘nostra’ prima trasmissione culturale sia in larga parte lontana da quello che potrebbe-e-dovrebbe essere: e non solo per precoci mancanze, ma spesso anche per precoci distorsioni, precoci induzioni al rifiuto, precoci elusioni dell’essenziale, …, precoci discrasie fra i diversi contesti ‘potenzialmente educativi’ … e così via.
Primo. Da quasi mezzo secolo (da tanto è iniziata la mia ricerca-a-scuola) la ‘ricerca didattica’ nazionale e internazionale ha accumulato evidenze variate e via via sempre più condivise: in particolare, sia sul ruolo cruciale e ineludibile di ogni ‘primo approccio’ alla trasmissione culturale organizzata; sia sui problemi che emergono quando (in prevalenza …) la prima trasmissione culturale così com’è si rivela gravemente inadatta a questa sua responsabilità. (Solo p.es.: qualche anno fa a livello di ricerca europea si parlava di “stifling” – soffocamento – delle più pregiate potenzialità metacognitive, a cominciare da curiosità, creatività, flessibilità etc, prodotto dai “metodi prevalenti” nell’educazione matematica e scientifica sotto gli otto-nove anni). D’altra parte la situazione rilevata 25 anni fa dal CENSIS, che vedeva “a rischio” il 75% dei bambini alla fine della scuola primaria per le competenze di base in matematica e lingua (con il 25% “a grave rischio”), è rimasta ad oggi sostanzialmente identica – se non peggiorata. Con la doppia ‘aggravante’ che quei bambini sono nel frattempo diventati genitori e insegnanti (e ‘governanti’ …) di chi oggi è coinvolto nella trasmissione culturale ‘primaria’; e che nel frattempo chi ha avuto, e ha, la responsabilità sociale di metterla in forma (dalle ‘indicazioni’ alla formazione in servizio ai corsi di laurea in ‘formazione primaria’, dalla burocrazia ministeriale alla pubblicistica di ‘supporto didattico’ …) non ha ritenuto opportuno – oppure non è stato in grado – di affrontare esplicitamente (cooperativamente, coerentemente, responsabilmente … tenendo conto dei dati di ricerca …) il ‘problema-dei-problemi’. Per molti aspetti infatti la ‘nostra’ prima-scuola è ben poco decente: ma anche se anche dal primo gennaio del 2020 gli stipendi degli Insegnanti fossero, come sacrosanto, aumentati di 500 euro, e dal primo gennaio del 2021 gli edifici e le attrezzature scolastici fossero ridotte decentemente ‘a norma’, … etc, resterebbe da affrontare un problema gigantesco: quello della sostanziale inadeguatezza qualitativa della maggior parte della trasmissione culturale di base. E non è solo un problema di ‘soldi’, ma in primis di ‘risorse umane’ – di ‘responsabilità civile’ da parte di chi delle forme di trasmissione culturale ha diretta responsabilità, di chi di una trasmissione culturale in qualche modo non disastrante ha potuto fruire (e poi pensa ai fatti suoi). O siamo tutti in trepida attesa che qualche ‘metodo bortolato’ sigilli accuratamente la pietra tombale su tutti i problemi? (eccetto, beninteso, quelli di una “società del 20%”, ben descritta a suo tempo da Gallino?)
Secondo. Da un po' di anni la ricerca biologica ha portato esplosivamente all’evidenza le dinamiche che a livello di ‘epi-genesi’, interferente e cooperante con l’eredità genetica e le sollecitazioni ambientali, concorrono a definire (soprattutto nei primi periodi di vita) lo sviluppo (onto-genesi) individuale. E in queste dinamiche un ruolo importante viene sempre più spesso riconosciuto alla stessa prima ‘formazione culturale’ (in senso lato), che comincia a rivelare il suo ruolo anche a livello di ‘interpretazione evolutiva’ degli umani-che-siamo (cfr le cosiddette teorie ‘evo-devo’). Così, dopo i primi modelli ipotetici sviluppati su evidenze animali, si parla ora anche per gli umani di probabili dinamiche evolutive di ‘autoaddomesticamento’: proprio nel senso di una pressione formativa-selettiva (a cui sarebbero poi associate specifiche ‘marcature’ a livello genetico) esercitata dall’interno della specie per indirizzarla verso modalità di vita associata al massimo risonanti con l’ambiente esterno totale. Il ‘discorso’ che ne emerge è in vari modi affascinante, anche se ancora dibattuto, e complesso oltre le possibilità di questo intervento. Quello però che vorrei notare è una specie di carattere ‘paradossale’ di queste ipotesi, che sembrerebbe coinvolgere anche le nostre (più o meno evolute-raffinate) strategie di prima trasmissione culturale. Da un lato appare infatti evidente che una eventuale pressione nella direzione di ‘auto-addomesticamento’ esercitata dall’interno di una qualunque società non possa che tendere ad ottimizzarne-stabilizzarne le contingenti condizioni di funzionamento. D’altro lato ‘sembra’ sempre più evidente che proprio modalità di trasmissione culturale abbiano contribuito a innescare e sviluppare le ‘risonanze evolutive’ (basta pensare allo sviluppo del linguaggio) che hanno sostenuto i cambiamenti radicali per cui la specie umana nel tempo “è diventata quello che è”. Potrebbe ‘sembrare’, allora, che i modi di intervenire sui nuovi-nati siano in grado di incidere così profondamente sulla loro ontogenesi – e quindi, evolutivamente, su quella dei loro discendenti – anche al di là delle ‘intenzioni’ esplicite di chi li mette in opera (forse, come effetto ‘secondario’ ma cruciale di una diversità delle forme di ‘cura’, parentale e sociale); come potrebbe ‘sembrare’ (magari non alternativamente, ma in modalità concorrenti) che ‘strette’ (miopi) preoccupazioni di stabilizzazione tendano proprio a quell’addestramento-condizionamento che oggi di fatto avvelena l’”avvenire delle nostre scuole”; mentre più ‘larghe’ (lungimiranti) preoccupazioni di ‘intelligente’ assecondamento risonante delle potenzialità individuali – e, di conseguenza, del ‘benessere’ sociale – possano essere alla base di una ottimizzazione cognitiva, affettiva, comportamentale, operativa, tecnologica e quant’altro (in sostanza, ‘culturale’) della vita associata, che ne precondizioni anche profondi cambiamenti ‘positivi’.
Di nuovo, il problema è più complesso-importante di quanto possa essere discusso in poche parole: ma penso che valga comunque la pena di rifletterci.