Recensioni 2020
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Diario di bordo ≡ La formazione dei rifugiati e dei minori stranieri non accompagnati ≡ Il canto dell’Orinoco ≡ Halmahera, Nella Terra dei Togutil ≡ Brevi lezioni di meraviglia ≡ L’ambasciatore delle foreste ≡ Come si uccidono le anime ≡ Luz. E se la tua città nascondesse molto di più di ciò che vedi? ≡ Una narrazione della razza nella rincorsa coloniale ≡ L'enseignement scientifique ≡ Santo sudicio! ≡ Imparare ≡ Antropologia dei microbi ≡ Anna dei numeri ≡ "Il cielo è di tutti”, la terra è di tutti ≡ La Chimica nei Musei ≡ Il Passatore. Diabete e vita “asocial" ≡ Demenza digitale ≡ I giorni dell’Ombra e della Luce ≡ Helgoland ≡ Piante e insetti ≡ Antropologia dei microbi ≡ Contagi ≡ Andiamo a scuola...all'aperto! ≡ Le forme della persuasione e il sistema dei media ≡ La peste è colpa? ≡ Ilaria Capua, la salute circolare ≡ Leonardo e i filosofi ≡ Il professore e la cantante ≡ Il caso di G.
- Sofia Sabatti Diario di bordo - Una prof di matematica nell'anno del lockdown, Mateinitaly (Milano, 2020) EAN: 9788894474725
Lucia Stelli
Il libro mi ha attratto da quando ho l’ho visto pubblicizzato sulla seconda di copertina della rivista Pristem perché sapevo che l’autrice è insegnante di scuola secondaria di primo grado e da ex docente di questo livello scolare ero proprio curiosa di conoscere il suo viaggio, non più per ripercorrerlo, quanto per confrontarmici.
Ho quindi letto il libro con grande interesse calandomi facilmente nell’ambiente classe, riconoscendo dinamiche di conduzione che mi appartengono. L’ho trovato un bell’esempio di riflessione sul proprio lavoro, abitudine che fa crescere e che dovrebbe appartenere a tutti i docenti.
So quanto sia difficile navigare in un mare di difficoltà per il gusto di far conoscere, esplorare, capire, affrontare problemi ai propri allievi. Si deve essere preparati a sfidare l’incognito, a sperimentare la frustrazione dell’insuccesso, la tentazione di aggirare l’ostacolo, l’ansia dell’incertezza. Il rischio è di trovarsi intrappolati in un gorgo e non sapere come uscirne, oppure di concludere che non vale la pena spendere tanto tempo per prepararsi all’imprevisto e che è meglio navigare sempre lungo costa per approdare in porti sicuri.
Sono però convinta che un simile coraggio alla fine venga sempre premiato, semplicemente perché affrontare problemi, fare errori, discutere sulla loro comprensione e risoluzione, è una strategia vincente, non è possibile restare a guardare. Come non partecipare se il conducente ha così tante attenzioni per te e si preoccupa che tu ti senta parte dell’equipaggio? Se poi ti chiede aiuto per superare gli ostacoli e raggiungere la meta, come negarglielo? E come non partecipare anche da lettori?
Fin dalle prime pagine è evidente che la professoressa Sabatti sa come motivare i propri alunni: oltre a proporre loro problemi interessanti, li osserva, li ascolta, li sostiene nel dialogo, tutti ingredienti fondamentali per capire i loro comportamenti e da essi, i processi di pensiero messi in atto. La classe ha però una composizione variegata, è un contesto sensibile a tanti fattori interni ed esterni, spesso non controllabili. E’una gran fatica gestirla! Non a caso il diario di bordo trabocca di emozioni contrastanti, si va dallo scoraggiamento totale a sprazzi di ottimismo più o meno palesi. Per rendersene conto basta leggere alcuni passaggi:
“La realtà è che mi sento frustrata. A cosa è servita tutta la mia prevenzione? A cosa è servita la mia lezione?
...dove ho sbagliato?
Faccio fatica a concentrarmi...
Gli ultimi elaborati che guardo mi stroncano definitivamente...
Non capisco. A me sembra di girare sempre attorno allo stesso punto, mi sembra di convincerli tutti ogni volta e poi ogni volta scopro che invece non sono affatto convinti.
Forse le attività che ho proposto in quest’ultimo mese non sono state inutili ...
Sto meglio ora che ho capito. Non sono più così arrabbiata...
Teresa e Giacomo m’ hanno tolto la parola di bocca, anzi, forse sono stati anche più chiari di quanto avrei saputo essere io. Però mi sembra di poter dire che abbiamo fatto un buon lavoro tra ieri e oggi, senza il quale nessuno di noi sarebbe arrivato a queste conclusioni.”
Che cosa c’è di più gratificante per un’insegnante di vedere che i propri alunni arrivano da soli, ti tolgono le parole di bocca?
Insomma chi legge non può rimanere indifferente, si riconosce in questi stati d’animo altalenanti e finisce per essere conquistato da questo spaccato di matematica vissuta. Si convince anche che i ragazzi stanno bene mentre fanno matematica perché collaborano, hanno voglia di misurarsi con i problemi, si sforzano di comunicare nel modo più chiaro possibile.
E’anche per questo che viene voglia di provare le attività svolte, almeno quelle che appaiono più vicine agli argomenti che usualmente si affrontano durante la classe terza.
Personalmente mi ha conquistato “C’è scatola e scatola”, attività in cui si chiede di confrontare superficie e volume di solidi familiari (cubo e parallelepipedo) tra i quali c’è una particolare relazione tra gli spigoli. La parte più interessante è senz’altro la discussione sulla generalizzazione del problema per via algebrica, cosa che porta a ragionare sul significato delle formule. Basta leggere quello che dice un alunno alla fine del percorso per rendersi conto del salto di livello di comprensione che ha fatto. Di colpo una scrittura astratta viene ad assumere una concretezza prima di allora inimmaginabile!
“Io pensavo che le formule servissero solo per dire che numeri bisogna prendere per fare i calcoli. Come la formula dell’area del trapezio...Invece qui per rispondere e capire chi ha il volume più grande, non potevamo andare a buttare nella formula tutti i numeri possibili perché non avremmo mai finito. Praticamente bisogna guardare la formula così com’è, senza andare a calcolare con i numeri e così possiamo dire delle cose come per esempio che il volume della scatola fatta a forma di cubo di spigolo s è più grande di quella della scatola fatta a forma di parallelepipedo di spigoli, s, s + k e s – K.”
Utile per approcciare l’astrazione algebrica è anche la lettura di “Fra lettere e numeri “ il primo dei tre “Avvisi ai naviganti”, scritti da Maria Dedò. Vi si trovano indicazioni didattiche per costruire un retroterra significativo su cui ancorare le formalizzazioni future.
Indubbiamente l’esperienza nei corsi di formazione MathUp (https://www.mateinitaly.it/mathup/) e il ruolo di curatrice insieme a Maria Dedò del sito di “Problemi per matematici in erba” (https://www.problemi.xyz/ ) hanno permesso a Sofia Sabatti di costruire nel tempo materiali didattici preziosi. La competenza matematica però da sola non basterebbe se non ci fossero la preparazione e la sensibilità didattica per gestire il lavoro di classe. Ed è proprio l’ambiente classe la cosa più bella di questo libro. Un ambiente in cui come afferma l’autrice gli “...alunni possono sbagliare il modo “protetto” senza farsi troppo male”.
Condivido pienamente la riflessione sul ruolo dell’insegnante che ne consegue:
“Forse dare loro l’occasione di sbagliare è la cosa migliore da fare, se si vuole che imparino qualcosa!”
Ecco un altro pregio del libro: quello di offrire occasioni per riflettere sugli errori degli alunni, e anche degli insegnanti. Un’ occasione di formazione da non perdere!
Le persone che migrano dal Paese di origine, adulti o minori, incontrano notevoli difficoltà nella costruzione di un nuovo progetto di vita. L’istruzione di base e la formazione secondaria rappresentano un capitale inestimabile per i processi di integrazione.
In Italia cresce il numero degli adulti e dei minori stranieri non accompagnati che vengono a contatto con le strutture scolastiche attraverso i CPIA (Centri provinciali di istruzione degli adulti) e molti sono i progetti di apprendimento permanente, presso scuole, centri di formazione professionale, università e istituti di reclusione.
Quali processi sociali sono implicati in questa formazione ‘necessaria’? In quali condizioni si arriva a conseguire buoni risultati educativi? Come reagiscono gli attori scolastici alle sfide della multiculturalità? Cosa sarebbe urgente realizzare per migliorare l’efficacia di queste policy formative?
"La formazione dei rifugiati e dei minori stranieri non accompagnati" si propone di affrontare i vari aspetti di questa problematica formativa offrendo una selezione di studi sul rapporto tra migranti (in gran parte richiedenti asilo) e sistema scolastico-formativo pubblico, presentati alla Mid-term Conference “La sociologia e le società europee: strutture sociali, culture e istituzioni”, tenutasi a Catania il 5 e 6 ottobre 2018, nella sessione organizzata da AIS-Sociologia dell’Educazione.
Il volume è curato da Maddalena Colombo, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica (Milano e Brescia), dove insegna Sociologia dell’educazione e Sociologia delle disuguaglianze e delle differenze, e da Fausta Scardigno, presidente del Centro per l'Apprendimento Permanente di Uniba e ricercatrice di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, dove insegna Sociologia dell’Educazione.
Il volume fa parte di una collana del CIRMiB, il Centro di Iniziative e Ricerche sulle Migrazioni di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si occupa di indagare il fenomeno migratorio e le sue implicazioni nei contesti locali.
Gli studi e le ricerche ospitati nella collana, nata nell'ottobre del 2019, si pongono l’obiettivo di facilitare una comprensione dei processi migratori e delle società multiculturali. Leggere “dentro le migrazioni” significa non solo seguire le tradizioni teoriche ed empiriche più consolidate ma anche sviluppare nuovi metodi e approcci nella ricerca sul campo.
Cliccando sul seguente link si accede al secondo numero della collana edito dall'editrice milanese Vita e pensiero, scaricabile gratuitamente in forma di ebook: https://www.vitaepensiero.it/scheda-ebook/fausta-scardigno-maddalena-colombo/la-formazione-dei-rifugiati-e-dei-minori-stranieri-non-accompagnati-9788834340097-369460.html
Leandro Lucchetti, Il canto dell’Orinoco, Robin edizioni, Torino 2018, pp.358, Euro 18,00
Tra romanzo e reportage
Luciano Luciani
In equilibrio tra invenzione narrativa e reportage giornalistico, Il canto dell’Orinoco di Leandro Lucchetti, sceneggiatore e regista televisivo di lungo corso, prende le mosse dalle esperienze reali dell’Autore compiute in occasione di alcuni itinerari estremi percorsi per motivi di carattere professionale. Il libro, che si raccomanda ai viaggiatori, agli aspiranti e sedicenti tali, si avvale di una scrittura serrata, incalzante, mai noiosa. “Visiva” come deve essere quella di un buon documentarista che nulla concede ai facili esotismi del turismo di massa e si arricchisce di non pochi, interessanti, approfondimenti di carattere etnologico e antropologico. Le pagine del Canto dell’Orinoco, tra l’altro, con sottesa ma non per questo meno tagliente indignazione, danno testimonianza diretta di due misfatti, ambedue orrendi e ambedue attualmente in corso d’opera:
il primo, la devastazione di un ambiente incontaminato, quello dell’alto corso dell’imponente fiume colombiano-venezuelano, l’Orinoco, “el Cobra Grande”, come lo chiamano i nativi, un tempo
per i conquistadores, gli avventurieri d’ogni risma, i pirati, porta d’accesso al mitico Eldorado; il secondo, conseguente al primo, la distruzione di una intera comunità: il fiero popolo degli Indios
Yanomami, inaccessibile a ogni uomo bianco e colpevole solo di essere il millenario depositario di un territorio altamente appetibile perché ricco di miniere d’oro. Oggetto del desiderio oscuro degli
sfrenati cercatori del pregiato metallo, i garimpeiros: questi per raggiungere i loschi obbiettivi di una facile ricchezza non esitano a ricorrere a pratiche di vero e proprio sterminio nei confronti delle
popolazioni indigene infettandole con malattie per esse mortali come la tubercolosi, il vaiolo, la sifilide…
Il viaggio che Lucchetti racconta, sempre con apprezzabile ironia e autoironia e un condivisibile atteggiamento antieroico, avviene, però, non solo lungo remoti meridiani e paralleli atlantici, ma anche nella memoria e nelle insondabili oscurità dell’animo umano di ieri come di oggi. Ha inizio negli anni della guerra, del primo dopoguerra, nel tormentatissimo scenario del confine orientale italiano. Esala il veleno di quei tempi tormentati e giunge in luoghi remoti e sino ai nostri giorni. E per nessuno, protagonisti, coprotagonisti e comprimari sarà cosa semplice ritrovare pace.
Nicola Messina "Halmahera, Nella Terra dei Togutil", Edizioni Nuova Prhomos, 253 pagine a colori (volume con testi, immagini e disegni)
Nel cuore dell’arcipelago indo-malese, a cavallo tra Asia e Australia, un’isola chiamata Halmahera emerge dagli abissi del Pacifico. Ricca di impenetrabili foreste abbarbicate su montagne impervie e franose, d’acqua limpida e di inquieti vulcani, nel suo remoto entroterra ospita una comunità di nomadi e seminomadi cacciatori-raccoglitori, i Togutil. Pur essendoci sconosciuti, probabilmente sono nostri parenti: l’ipotesi più accreditata è che siano i discendenti di gruppi di colonizzatori portoghesi che dal 1500 hanno perso ogni contatto con la madrepatria. L’isolamento geografico nei secoli ha forzato i Togutil a sviluppare una cultura capace di entrare in perfetta sinergia con la Natura, e a rendere reale un modello di sviluppo autenticamente sostenibile: una delle chimere che il mondo ricco va cercando da tempo. Dal cibo, al vestiario, alle medicine, i Togutil ottengono quanto a loro serve dalla foresta con cui rispettosamente convivono. Avvicinarsi alla loro cultura richiede di inquadrare la collocazione geografica, la storia delle lotte per il monopolio delle spezie, le fantastiche risorse naturali botaniche e zoologiche su cui i Togutil basano il loro stile di vita. Tutti argomenti trattati in questo volume, con taglio divulgativo, ma con l’occhio e la sapienza del naturalista esperto: la documentazione qui contenuta è infatti completamente originale, frutto di tre anni di spedizioni ad Halmahera condotte personalmente dall’Autore. L’incontro coi Togutil svelerà al lettore l’intrinseca fragilità delle società considerate “progredite”, che sono pochissimo reattive a grandi sfide socio-ambientali, come hanno tragicamente messo in luce le recenti epidemie. I Togutil rappresentano, quindi, allo stesso tempo, un monito per quello che potrebbe succederci se la nostra civiltà collassasse, e l’ultimo maestro in grado di insegnarci come rimettere su binari corretti il rapporto tra uomo e ambiente. Due ottimi motivi per imparare a conoscerli.
Rachel Carson "Brevi lezioni di meraviglia - Elogio della natura per genitori e figli" Aboca Edizioni, 2020, 44 p., Brossura EAN: 9788855230674
Maria Castelli
D’un fiato si legge questo delizioso brevissimo libro, perfettamente presentato da Linda Lear, storica della scienza e biografa americana, come “un piccolo gioiello senza tempo”. Pubblicato per la prima volta nel 1956 sulla rivista “Woman’s Home Companion” e ripubblicato nel 1965 da Harper, è un progetto considerato da Rachel Carson uno dei più importanti della sua vita, ma rimasto purtroppo incompiuto.
L’Autrice (1907-1964), biologa marina, è nota soprattutto per il bestseller internazionale “Primavera silenziosa”, che fece conoscere al mondo intero i pericoli derivanti dall’uso incontrollato di pesticidi e fertilizzanti, aprendo la strada al movimento ambientalista. L’idea di fondo di “Brevi lezioni di meraviglia” è che l’esplorazione della natura attraverso tutti i sensi e ”la condivisione della bellezza che di solito ci sfugge perché guardiamo troppo in fretta” suscitino emozioni intense e sentimenti profondi, che diventano le fondamenta motivanti dell’apprendimento di ciò che di conseguenza amiamo.
La narrazione si snoda attraverso i momenti indimenticabili condivisi con il nipote Roger di tre anni, come lei stessa da bambina aveva avuto modo di fare in compagnia della madre. Un bambino, il cui mondo “è fresco, nuovo, pieno di meraviglia ed eccitazione”, infatti ha bisogno di almeno un adulto con cui vivere questo tipo di esperienze, a condizione che l’adulto adotti l’atteggiamento del bambino, rimandando l’impulso di insegnare e spiegare. Per il bambino e per chi cerchi di guidarlo, conoscere non è neanche lontanamente importante quanto sentire.
Ascoltare la tempesta sulla spiaggia una burrascosa sera d’autunno nell’oscurità, cercare sulla battigia i granchi fantasma nel buio, guardare la luna piena calare dall’altra parte della baia, saltare nel tappeto folto del muschio di renna sotto la pioggia, ascoltare il coro degli uccelli all’alba in primavera…: “nessun bambino dovrebbe crescere senza” godere di esperienze come queste.
La meraviglia, lo stupore e la gioia che nascono dal contatto con il mondo naturale sono a disposizione di chiunque e lasciano tracce profonde in chi le ha provate, tanto che “chi contempla la bellezza della terra trova riserve di forza che dureranno quanto la sua stessa vita.”
Maria Castelli
Paolo Ciampi, L’ambasciatore delle foreste, ARKADIA editore, Cagliari 2018, pp. 160. Euro 14,00
George Perkins Marsh, “l’uomo che aveva la Natura dentro di sé”
Luciano Luciani
Con qualche divagazione di troppo, ma con una scrittura personale, cordiale e accattivante, l’Autore, Paolo Ciampi, delinea la vita e l’opera di George Perkins Marsh, autodidatta geniale, naturalista ed eclettico studioso nordamericano, uomo politico e ambasciatore dei giovani Stati Uniti a Torino e Firenze nella giovanissima Italia prima di Porta Pia, a Roma negli anni successivi. Lo volle in quel ruolo nientemeno che Abramo Lincoln e da diplomatico il Nostro incontrò Quintino Sella, con cui condivideva la passione per la montagna, Vittorio Emanuele II, Bettino Ricasoli e gran parte della classe dirigente e dell’intellettualità moderata e liberale cui toccò governare il Bel Paese: la cosiddetta “destra storica”, sensibilissima ai temi dello Stato e del rafforzamento delle istituzioni, molto meno, invece, ai problemi della povera gente. Incontrò anche Garibaldi e su mandato del presidente degli Stati Uniti, lacerati in quel momento da una feroce guerra civile, gli chiese di intervenire alla testa delle sue camicie rosse in favore della causa antischiavista. Ma l’Eroe dei Due Mondi in quel momento aveva in testa solo Roma e la sua liberazione dalla tirannide del papa-re. Così, un proiettile di piombo italiano ricevuto nel piede destro all’Aspromonte impedì al Magnanimo Guerrigliero sia di arrivare a Roma, sia di partecipare alla guerra di secessione americana, un evento strategico nella storia del mondo della seconda metà del XIX secolo.
Giornalista dal consumato mestiere, Paolo Ciampi racconta bene e la narrazione si snoda tra il ruolo pubblico e la dimensione privata e familiare di questo intellettuale atipico originario del Vermont; tra passato e presente; tra Nuovo Mondo, l’America dei pionieri e dei pellerossa, e il Vecchio, l’Europa e l’Italia dei Grand Tour, l’una e l’altra impegnate nel difficile decollo economico e sociale dopo le rivoluzioni nazionali e liberali e in piena seconda rivoluzione industriale. Ecologista ante litteram, molto prima ancora che questo termine venisse adottato sino a entrare nel senso comune, Marsh si rivela un instancabile viaggiatore, uno strenuo difensore dell’ambiente (foreste, alberi, fiumi, montagne) e anche un attento e acuto osservatore della evoluzione civile del nostro Paese. Padre nobile di una politica ambientale che riuscì a conseguire risultati importanti come l’istituzione del parco nazionale di Yellowstone, il primo dell’intero pianeta, Marsh fu lo sfrenato sognatore che intese popolare, senza riuscirci, le praterie del Far West dei cammelli le cui qualità aveva avuto modo di conoscere e apprezzare durante il suo lavoro di diplomatico tra Medioriente e Africa. Insomma, George a volte ci piglia e a volte no e scopre che la Natura è spesso restia a farsi manipolare sia pure da un entusiasta, eccentrico amante dei luoghi del Creato. Il suo scritto Man and Nature (1864), in cui lo studioso statunitense raccolse le sue osservazioni naturalistiche, costituisce ancora oggi un’opera in largo anticipo sui suoi tempi e in grado di riservare non poche sorprese anche a un Lettore di oggi. Per esempio, l’intuizione, allora quasi profetica, secondo la quale l’uomo, agendo senza criterio né misura sul proprio ambiente naturale, può mettere in discussione la sua stessa presenza sul pianeta Terra.
Prophet of Conservation, George Perkins Marsh, “l’uomo che aveva la Natura dentro di sé”, morì in Italia, a Vallombrosa, nel 1881 ed è sepolto a Roma nel cimitero di Testaccio, quello degli acattolici.
Giuseppe Lombardo Radice "Come si uccidono le anime" a cura di: Lorenzo Cantatore, Le spighe. Scritture tra scuola e educazione, 110 pag. 2020 ISBN: 9788846758972
«Non si uccidono le anime» è l’invocazione che risuona fra le pagine di questo pamphlet pubblicato da Giuseppe Lombardo Radice nel 1915, una sorta di “breviario pedagogico” coraggioso e caustico che denuncia i metodi educativi meccanici, nozionistici e nemici del nuovo. Nell’anno tragico della Prima Guerra Mondiale, il grande pedagogista siciliano si rivolge a tutti gli insegnanti affinché si impegnino in una scuola innovativa, collaborativa, basata sul rispetto dell’infanzia e sul principio problematico della ricerca didattica come punto di incontro fra la scuola e la vita. Il testo di Lombardo Radice è qui ripubblicato in una edizione critica che dà conto delle varianti apportate dall’Autore nell’arco di un quindicennio.
Giuseppe Lombardo Radice (Catania 1879 – Cortina d’Ampezzo 1938), è stato uno dei maggiori pedagogisti italiani della prima metà del Novecento. Vicino al neoidealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, affiancò quest’ultimo nella riforma della scuola italiana varata nel 1923. Precocemente sensibile agli orientamenti dell’attivismo pedagogico, valorizzò l’autonoma esperienza creativa del bambino in campo linguistico, grafico e musicale. Fondatore e direttore di riviste importanti come «I nuovi doveri» e «L’educazione nazionale», i suoi volumi Lezioni di didattica, Athena fanciulla e Pedagogia di apostoli e di operai oggi sono considerati classici della pedagogia contemporanea.
Emanuele Andreuccetti, Luz. E se la tua città nascondesse molto di più di ciò che vedi? Collana Sfumature, Verdechiaro Edizioni, 2019 Baiso (Re), pp. 345, Euro 18,00
Si scrive Luz, si legge ricerca di sé e di senso
di Luciano Luciani
Un impianto da feuilleton ottocentesco rivisitato alla maniera del celeberrimo Dan Brown; un romanzo di formazione che incrocia la contemporaneità con particolare riguardo al disagio giovanile e alla precarietà materiale e morale delle ultime e penultime generazioni; la memoria di un passato tragico ed efferato che ai nostri giorni ancora non si è spenta e si mescola con l’esoterismo cabalistico… E poi una setta cristiana new age dalle intenzioni opache almeno quanto le sue pratiche mistico-religiose, mentre su personaggi e protagonisti incombono misteriosi “poteri forti”, capaci di ogni malvagità per scopi che restano enigmatici ai più. Agitate bene il tutto, lasciatelo sedimentare, aggiungeteci un pizzico di Templari, quindi Santo Graal quanto basta, appena appena un filo di mistero della scomparsa di Majorana ed ecco definirsi sotto gli occhi del Lettore curioso le pagine di Luz, ampia narrazione avventuroso-filosofica dello scrittore toscano Emanuele Andreuccetti, sul tema dell’improba fatica di trovare se stessi e un proprio personale percorso nel mondo grande e terribile. Riusciranno i nostri eroi, Jonas, un inetto trenta/quarantenne, e la sua compagna e coetanea, Natalia, incerta, problematica e segnata da tante e tante ferite psicologiche, a essere, se non felici, almeno sereni e a conquistarsi un po’, solo un po’, di pace interiore? L’Autore risponde positivamente al quesito che, capitolo dopo capitolo, mistero dopo mistero, un disvelamento dopo l’altro, interroga il Lettore. Ancora una volta, dunque, almeno nella letteratura, il bene vince sul male. Ma, come accade nella migliore tradizione romanzesca, non sarà facile e i due protagonisti conosceranno non poche battute d’arresto e brucianti, dolorose sconfitte. Rendendosi, però, anche capaci di decisivi passi in avanti sulla strada della faticosa ricerca della propria libertà personale, fuori e dentro di sé, affrontando prove molto dure, al limite delle loro capacità fisiche e psichiche. Per fortuna, come avviene nella migliore consuetudine del romanzo popolare, i due eroi di Luz avranno la ventura, o forse l’abilità, di trovare e scegliere sulla propria strada dei “luogotenenti”, degli “aiutanti” straordinari e provvidenziali: il professor Pacifici, un pensionato dalla infinita erudizione, e Ariel, personaggio indecifrabile ma votato al bene, l’uno e l’altro capaci di sguardi lunghi sul passato e sul futuro e quindi in grado di riorientare Jonas e Natalia per di indirizzarli lungo la via meno impervia.
Una trama complessa quella di Luz, ricca di anfratti narrativi, improvvise accelerazioni, forti contrapposizioni e continui colpi di scena, priva, però, degli effettacci horror/splatter di tanta narrativa contemporanea. Per raccontarla con pienezza, Andreuccetti, come avveniva un tempo nel romanzo d’appendice, ricorre intelligentemente a una lingua semplice, diretta, fruibile per proporci, in direzione ostinata e contraria con i tempi depressi che stiamo vivendo, un finale al tempo stesso combattivo, agonista, e pieno di speranza. Queste le parole conclusive di Jonas all’amata Natalia: “Ho compiuto un viaggio nel profondo di me stesso e ho scoperto la gloria che stavo nascondendo per paura della vita. Non andrò più dietro alla vanità e alla menzogna. Sono un angelo ormai, non canto più… Ora grido”.
Le narrazioni del lemma razza dalla formazione risorgimentale dello Stato agli albori del nazionalismo
Ufficio Stampa Edizioni ETS
L’ideologia del principio nazionalitario e l’idea di nazione, dunque, si erano mostrati funzionali al movimento storico-politico italiano nella sua fase risorgimentale, ma, giunti al momento cruciale del gioco colonialista, imposto dalla congiuntura internazionale, perdono la loro valenza “universalistica” e vedono restringersi la loro applicazione all’ambito dell’Europa.
Una narrazione della razza nella rincorsa coloniale
Mazzini, Gioberti, Balbo e altri che cosa pensavano del concetto di razza?
Questo libro affronta le distinte narrazioni del lemma razza dalla formazione risorgimentale dello Stato agli albori del nazionalismo, includendo le istanze della politica italiana di potenza. Dalla puntuale rilettura di testi fondamentali emergono le posizioni di figure rilevanti del Risorgimento e della fase postunitaria: Mancini e Mazzini, Gioberti, Balbo e Campo Fregoso, Bovio e Marselli, poi gli antropologi Mantegazza, Lombroso e Sergi fino a Morselli. Si mettono inoltre in risalto i protagonisti della lotta per la seconda emancipazione ebraica e valdese e, sul fronte dell’antirazzismo, Ghisleri e il suo gruppo, Colajanni e il dreyfusardo Paulucci di Calboli fino a Mondaini. Attraverso queste diverse prospettive Rigione delinea così i tratti diversificati di una «mitografia italiana della razza», rappresentando il lascito teorico più gravido di conseguenze del laboratorio politico italiano tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, che confluirà nel nazionalismo imperialistico e nel razzismo fascista.
Salvatore Rigione, dottore di ricerca in Teoria e Storia del Diritto, è Cultore di Filosofia del diritto presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze. Ha svolto inoltre la professione di educatore nel carcere di Pisa e con ruolo direttivo presso il PRAP toscano. È autore di numerosi contributi scientifici apparsi su riviste specialistiche e in volumi collettanei. Ha curato, con Giorgio Concato, la ricerca Per non morire di carcere (Franco Angeli, 2005).
Sulle tracce di una mitografia italiana della razza nella rincorsa coloniale di Salvatore Rigione, pp. 304, euro 25,00.
Gérard De Vecchi, André Giordan, L'enseignement scientifique, OVADIA Collezione: Oltre le apparenze, 10/2018 Rilegatura: Brossura, pagg. 251 dim. 14,2 x 20,5 x 1,5 cm, 350 gr, 25€
ISBN 10: 236392276x
ISBN 13: 9782363922762
Prefazione: Wilson KNIGHT, Marcel DOISY
Questo libro è una guida pratica. Tiene conto delle scoperte più recenti nella didattica e nell'epistemologia della scienza. È rivolto principalmente a docenti, professori e responsabili di attività scientifiche che desiderano trovare ricette, idee e strumenti didattici, ma che desiderano anche avere una riflessione sull'insegnamento, sulla cultura scientifica e sulla propria pratica. Questo libro si propone anche di testare determinate situazioni, di fare una serie di test che aiuteranno a definire gli obiettivi, a preparare materie di studio e a condurre un processo di appropriazione della conoscenza a partire da ciò che i bambini sono realmente. adolescenti. I formatori troveranno anche una serie di esempi analizzati che possono essere direttamente integrati nelle loro azioni di formazione.
Autori
Direttore della pubblicazione Direttore della pubblicazione André Giordan: Fondatore del laboratorio di Didattica ed Epistemologia delle Scienze dell'Università di Ginevra, è consulente di aziende e organizzazioni innovative quanto leader di club suburbani. Attraverso la sua ricerca, ha avviato e sviluppato le scienze dell'apprendimento. Gérard De Yecchi: Ex insegnante, nato da convegni in scienze dell'educazione e formatore in Francia, ora è consulente e noto per le sue pubblicazioni sulla formazione e la scuola. Educazione scientifica Questo libro è una guida pratica. Tiene conto delle scoperte più recenti nella didattica e nell'epistemologia della scienza.
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Luciano Luciani, Santo sudicio! Trenta storie tra sporco e pulito, Carmignani Editrice, Collana Saggistica, Staffoli/Santa Croce sull’Arno (Pi), 2020, pp. 150, Euro 12,00
di Giovanna Baldini
Santo sudicio! Trenta storie tra sporco e pulito. Titolo insolito, provocatorio… Nelle pagine di questo libro l’Autore, Luciano Luciani, parla di stalle e di stelle, luoghi che l’uomo abita in modo rapsodico dalla sua apparizione sulla Terra: i trenta brevi saggi che compongono la raccolta sono un veloce compendio della storia dell’umanità, del suo faticoso progredire, delle interruzioni nel suo percorso, delle fughe in avanti, dei traguardi raggiunti.
Gli esploratori, le vite dei santi, le scoperte scientifiche… L’uomo, la sua intelligenza e le sue emozioni che cambiano le condizioni di vita, la società, i comportamenti, i modi di essere e di sentire. Poi aneddoti e curiosità sugli usi e i costumi personalissimi di uomini e donne nella storia: il fazzoletto ieri e oggi, la funzione dello stuzzicadenti, d’oro in mano alle regine, fino all’acquisizione, dopo secoli, dell’importanza dell’igiene orale.
La Morte, le pandemie, le malattie sono la costante di molte pagine del libro. L’Autore le tratta, mettendo soprattutto in evidenza le vite dei medici e degli scienziati che riuscirono a debellare con intuito e curiosità di studiosi tali flagelli epocali, periodici e ricorrenti. Molte scoperte, infatti, sono accadute per caso. Ed ecco: trovata la cura, il vaccino, la soluzione. Oggetti, città, animali, vegetali, uomini famosi.
Sembra quel gioco che facevamo da ragazzi. Quello che consisteva nello scrivere i nomi che incominciano con una lettera sorteggiata e vinceva chi ne sapeva di più e nel minor tempo.
Per es: lettera D:
Dado, Domodossola, Dingo, Dragoncello, Dante…
E via andare…
Continuando a sfogliare le pagine di questo libro utile e prezioso si incontrano racconti di uomini e donne, vicini e lontani nel tempo, le loro miserie e le loro virtù, i loro vizi e le loro grandezze d’animo, splendore e decadenza, sogni e delusioni: una specie di “Almanacco delle Meraviglie” che spiazza e affascina il lettore.
Ora lo sguardo si apre sulla rotta verso l’Australia del brigantino “Endeavour”, pilotato dal comandante James Cook che salvò l’equipaggio dalle malattie proprie delle lunghe navigazioni, imponendo alimentazione sana e igiene personale.
Ora si ferma attonito davanti alla rappresentazione di san Daniele lo stilita, barba e capelli lunghi fino a terra, in estasi sulla colonna davanti al Bosforo.
Senza dimenticare la sottoveste color bianco “sporco” di Isabella, figlia primogenita di Filippo II, che, per rispettare un voto, non si cambiò tale indumento fino alla fine della guerra contro gli olandesi!
Un libro multiforme per lettori dai multiformi interessi.
Chi fosse attirato dall’horror, per esempio, troverebbe in queste pagine pan per i suoi denti, perché almeno quattro racconti parlano di antropofagia, cannibalismo, et similia…
Una stupefacente Wunderkammer, dunque, dove, al contrario dei Bestiari medievali, fantastici e irreali, qui è tutto vero.
L’Autore, nei panni del Narratore Storico, informato e ben documentato, ha letto e raccolto, ricordato e poi di nuovo trascritto questo mondo in cui hanno titolo di apparizione l’ingordigia di un papa del Duecento, il giovane medico ungherese che capì l’importanza di lavarsi le mani prima di avvicinarsi alle puerpere e anche quel medico russo che alla fama delle aule universitarie europee preferì ritirarsi in campagna a curare i poveri.
Santo sudicio! Trenta storie tra sporco e pulito: un libro di storia minima: quella degli oggetti, dei comportamenti, dei sentimenti, degli insetti, delle piante, tutte le cose senza le quali non si farebbe l’altra storia, quella che si studia sui manuali.
A me piace più questa, perché è vicina, è bassa, parla la mia lingua, riesco a capirla.
Luciano Luciani, Santo sudicio! Trenta storie tra sporco e pulito, Carmignani Editrice, Collana Saggistica, Staffoli/Santa Croce sull’Arno (Pi), 2020, pp. 150, Euro 12,00
Il libro è in vendita presso l’Editore e si può trovare sugli scaffali di:
LuccaLibri/Libreria-Caffè letterario, viale Regina Margherita 113, Lucca;
Libreria Erasmus, piazza Cavallotti, Pisa;
Stanislas Dehaene Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine Raffaello Cortina Editore, 2019
di Maria Castelli
“Un’alleanza per la scuola di domani. Saremo in grado, in futuro, di allineare le nostre scuole ai risultati delle neuroscienze e delle scienze cognitive? Sono convinto che unendo le forze possiamo farcela. La scuola di domani dovrà riunire insegnanti, genitori e scienziati attorno a una causa comune: dare nuova vita alla curiosità e alla gioia di imparare di tutti i bambini.”
E’ con questo obiettivo che Dehaene fa il punto sulle attuali conoscenze descrivendo come impara una rete neuronale e il nostro cervello in particolare, a partire da una prospettiva multidisciplinare, che integra la ricerca nelle scienze cognitive, nelle neuroscienze, nell’intelligenza artificiale con la pedagogia.
Matematico informatico, da decenni insegnante di psicologia cognitiva sperimentale e direttore dell’unità di neuroimmagini cognitive del servizio ospedaliero francese di Orsay, l’Autore parte da una lunga lista di domande, quelle che ci poniamo interrogandoci su come funziona il cervello quando impariamo.
Come fa il cervello di un bambino a essere così efficace, fin dalla nascita e per tutta la durata dell’adolescenza? Quali algoritmi l’evoluzione ha impiantato nei nostri circuiti cerebrali, così da fargli formare una rappresentazione del mondo? Comprendere questi algoritmi ci permetterebbe di imparare meglio e più velocemente? Potrebbero ispirarci per costruire macchine dalle prestazioni migliori, intelligenze artificiali che ci imitano o che addirittura ci sorpassano? Perché certi bambini dislessici o discalculici o disprassici presentano le stesse difficoltà in campi come la lettura, il calcolo o il gesto? Come mai non riescono ad imparare di nuovo a leggere molti adulti eccellenti lettori, a seguito di un minuscolo ictus?
Anche se impegnativa, la lettura è intrigante e tiene l’attenzione sui temi affrontati, a partire da che cosa vuol dire imparare e da come impara il nostro cervello. Già un neonato, nonostante la sua immaturità, possiede una vasta conoscenza, ereditata dalla sua storia evolutiva, anche se ciò non traspare dal suo comportamento. Di oggetti, numeri, probabilità, volti, linguaggi i piccoli della specie umana avrebbero già competenze tutt’altro che trascurabili. E questo è stato evidenziato grazie ai significativi progressi metodologici delle scienze cognitive. Il nostro cervello è in grado di imparare meglio delle macchine, nonostante i recenti successi dell’intelligenza artificiale possano indurre a credere che abbiamo finalmente capito come riprodurre l’apprendimento e l’intelligenza della specie umana. Un esempio. Le reti neurali convenzionali corrispondono alle operazioni che il nostro cervello realizza inconsciamente, in due decimi di secondo, quando processa un’immagine: la riconosce la categorizza e ne attiva il significato. Il nostro cervello fa molto di più: esplora l’immagine consapevolmente, con attenzione, punto per punto, per diversi secondi, formula rappresentazioni simboliche, teorie esplicite del mondo che possiamo condividere con altre persone attraverso il linguaggio. Operazioni di questa natura, lente, ragionate, simboliche sono prerogativa della nostra specie, per il momento.
Dehaene prosegue soffermandosi sulle funzioni principali di cui il nostro cervello si è dotato nel corso della sua evoluzione e che massimizzano la velocità con cui siamo in grado di estrarre informazione dal nostro ambiente.
Si tratta dell’attenzione che amplifica le informazioni su cui ci concentriamo, del coinvolgimento attivo che chiamiamo anche curiosità, che incoraggia il cervello a valutare nuove ipotesi, del ritorno sull’errore per correggere i nostri modelli del mondo, del consolidamento che automatizza e fluidifica specialmente durante il sonno, ciò che abbiamo appreso. L’auspicio conclusivo è la conciliazione dell’educazione con le neuroscienze, al fine di ottimizzare il grande potenziale di apprendimento dei bambini, perché troppi oggi non lo realizzano appieno né in famiglia né a scuola, dove spesso le condizioni non sono adeguate.
Interessante per tutti - molti sono i suggerimenti più o meno espliciti per mantenere il cervello in efficienza - il saggio è una lettura stimolante e incoraggiante per chi insegna, è un curioso e piacevole riscontro di osservazioni e problemi vissuti per chi è stato una vita con i bambini.
Roberta Raffaetà, ANTROPOLOGIA DEI MICROBI. Come la metagenomica sta riconfigurando l’umano e la salute CISU, Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma
di Lucia Torricelli
Che relazione c’è tra antropologia e microbiologia? Una domanda spontanea e immediata per un microbiologo abituato a studiare i microbi in laboratorio tra provette, attrezzature di alta tecnologia, algoritmi, bioinformatica, e tutto quello che sembra estraneo al metodo e al campo di interesse dell’antropologia.
È la domanda che si fece Nicola Segata, coordinatore di un laboratorio di metagenomica microbica - Segata Lab del Center for Integrative Biology dell’Università di Trento (CIBIO) - quando Roberta Raffaetà manifestò l’intenzione di frequentare il laboratorio per studiare l’antropologia dei microbi, con l’idea di coniugare la microbiologia con l’antropologia in una prospettiva multidisciplinare, partendo dal presupposto che miliardi di microrganismi abitano dentro e fuori di noi e influenzano in maniera significativa il nostro stato di salute e la salute dell’ambiente. L’approccio metagenomico, che integra la visione molecolare con la visione ecosistemica, contribuisce a rivedere il concetto di salute che è la risultante di un sistema integrato in cui interagiscono non singole unità microbiche, ma comunità di microbi.
Secondo Elisabeth Costello e colleghi, scrive Raffaetà, con le scoperte sul microbioma “il corpo umano è da considerare un ecosistema più che un ente a sé, la salute umana un prodotto dell’attività ecosistemica dei microbi e l’uomo come superorganismo”.
Se diamo per acquisito che il mondo in cui l’uomo vive con la sua storia e con le sue metamorfosi è un tutto connesso attraverso una rete di rapporti dinamici tra piante, animali, microrganismi, ambiente fisico, i microbi sono attori non secondari nello scenario della vita. Guidano il corso degli eventi, dal livello molecolare al livello ecosistemico con molteplici implicazioni sul piano culturale, socio-ambientale, biopolitico, etico. Questo sollecita uno sguardo nuovo sulla realtà del mondo che va riconsiderata da una prospettiva microbica piuttosto che antropocentrica.
Leggere il mondo oltre l’antropocentrismo è fondamentale per il futuro dell’uomo sul pianeta Terra.
Emblematica una slide che l’Autrice descrive e che Nicola Segata utilizzava per spiegare ai suoi studenti “l’approccio metagenomico in quanto approccio sistemico, ecologico e relazionale”:
“la slide aveva, al centro, una figura umana. Ma questa era piccola. Il fulcro della slide non era l’umano. Lo era invece, il reticolo di interconnessioni tra l’umano e i vari processi e le variabili come le dinamiche ecologiche, l’evoluzione filogenetica, la storia evolutiva della malattia, il genoma microbico, il genoma dei patogeni, i meccanismi di acquisizione della virulenza, la resistenza antibiotica, i meccanismi di colonizzazione e trasmissione, quelli di omeostasi, apprendimento immunitario, cooperazione metabolica e competizione per i nutrienti, le infezioni virali/cancerogene, il sistema immunitario umano, la genetica umana e il suo metabolismo” .
Immergersi nell’atmosfera del laboratorio, interagire con i ricercatori, imparare il loro linguaggio e confrontarsi su vari fronti sarebbe stato importante per valutare una possibile convergenza di metodo in un percorso mirato a superare le frontiere tra discipline, “nel tentativo di mostrare le reciproche interdipendenze e le possibili alleanze a partire dal riconoscimento e rispetto delle differenze”.
In questa ottica, che supera la rigida dicotomia tra cultura scientifica e cultura umanistica, lo studio del microbioma, con le sue ricadute su un nuovo concetto di salute, si sarebbe integrato nelle diverse declinazioni dell’antropologia.
Sembrano questi i punti cardine che Raffaetà cerca di proporre ripetutamente e con approcci diversi nei nove capitoli del libro e che giustificano la frequentazione di un laboratorio di metagenomica microbica, lo studio basato sul sequenziamento e isolamento del DNA di tutta la comunità microbica che costituisce il microbioma.
Contributi importanti a un approccio ecosistemico della salute derivano dai recenti sviluppi dell’epigenetica, una scienza emergente che ha dimostrato il ruolo fondamentale delle sollecitazioni ambientali sull’espressione genica e ha permesso di superare la visione deterministica della genetica classica. I sistemi viventi non sono il prodotto dei geni secondo un “programma” scritto sul DNA come se fosse un foglietto d’istruzioni; una serie di fattori ambientali agisce sull’epigenoma, quel 98% di DNA che non codifica proteine, e di cui si ignorava la funzione, chiamato per questo DNA spazzatura.
È stato dimostrato che lo stile di vita, l’alimentazione, l’esercizio fisico, le relazioni, l’ambiente che frequentiamo, lo stress e tanti altri fattori influenzano il nostro DNA attraverso precisi interruttori molecolari che modulano l’espressione genica, silenziando o attivando i geni senza provocare cambiamenti nella sequenza delle basi nucleotidiche, ma modificazioni reversibili (Joe¨l De Rosnay, 2019). Già nei primi anni sessanta del secolo scorso Francois Jacob e Jacque Monod avevano verificato sperimentalmente l’influenza di precisi stimoli sull’ espressione genica (Keller, 2000).
Con gli sviluppi dell’epigenetica c’è un cambio di paradigma nella ricerca biologica: aumentano i gradi di libertà dei sistemi viventi, e anche le nostre responsabilità rispetto a tutti gli altri viventi che abitano sulla Terra. Se ci immaginiamo direttori di quell’orchestra che chiamiamo genoma, è possibile intervenire entro certi limiti sulla qualità della vita e sul nostro stato di salute, ma se distruggiamo l’ambiente non possiamo parlare di salute, come suggerisce la pandemia scatenata da Sars-Cov-2, un virus subdolo e potente, che ha cancellato le nostre false certezze e ci ha ricordato che non siamo protagonisti incontrastati del mosaico della vita.
Oggi, nell’era definita Antropocene, le pandemie sono la diretta conseguenza dell’aggressione selvaggia agli ecosistemi da parte dell’uomo; una condizione che favorisce il salto di specie di virus che passano da animali con i quali hanno consolidato nel tempo un rapporto di convivenza, all’uomo che diventa nuovo territorio di conquista. (Spillover, 2012)
Per evitare ulteriori disastri è urgente impostare nuovi “rapporti biopolitici tra umani-non umani, viventi-non viventi”e una lettura critica di fenomeni complessi senza semplificazioni di comodo.
Serve una visione a lungo termine per orientarci in un mondo superveloce e globalizzato e per usare al meglio le conquiste della tecnologia avanzata.
Un libro denso con molti nuclei tematici che si intrecciano nei nove capitoli del volume e che potrebbero offrire stimoli per un dibattito a più voci: dalla storia della microbiologia alla riflessione sui limiti e i vantaggi della tecnologia applicata alle bioscienze; dalla disinformazione nella comunicazione dei risultati scientifici ai rischi di commistione tra interessi economici e salute nella medicina personalizzata; dalla necessità di una nuova coscienza ecologica all’importanza di una educazione alla democrazia e ai valori fondanti della società, e molto altro.
Non mancano pagine godibili che descrivono nei dettagli l’esperienza che l’Autrice ha condiviso con i ricercatori in un’atmosfera vivace e feconda, come emerge dalle riflessioni conclusive di Nicola Segata: “In fondo, per il lettore sarà più facile farsi un’idea del lavoro di un laboratorio di metagenomica usando il punto di vista di Roberta piuttosto che le nostre definizioni di addetti ai lavori.E con questa mia nuova sensibilità sul valore di come siamo visti e interpretati, piuttosto che per come definiamo noi stessi quello che facciamo e la materia che studiamo, sembra quasi che l’antropologia dei microbi mi abbia influenzato più di quanto credessi”.
Cristiana Vettori, Anna dei numeri. Una storia del Novecento, Edizioni Helicon, Poppi (Ar), 2020, pp. 185. Euro 14,00
Anna, tra la famiglia, i numeri e la storia
Giovanna Baldini
Tre generazioni, dall’inizio del Novecento alla metà del secolo scorso, tre famiglie che con le loro vicende private attraversano gli avvenimenti della storia d’Italia. Le trasformazioni, materiali e morali, di fine Ottocento, la Grande Guerra e l’avvento del fascismo. Il secondo conflitto mondiale, senza dimenticare la caduta della monarchia e la nascita della repubblica con il contributo decisivo delle donne italiane. Perché è di donne che parla questo libro.
La lettura dell’opera scorre piacevolmente grazie a una scrittura leggera e piana, mentre il tono evocativo è proprio di chi riporta memorie rivissute attraverso lontane voci di parenti e foto antiche color seppia, ormai ingiallite. Rimandano immagini di tavole apparecchiate che scandiscono i tempi canonici della giornata domestica; le donne di servizio, Maria, Adelina, affezionate alla famiglia come solo una volta accadeva: un’atmosfera un po’ da sogno e un po’ nostalgica, mentre l’Italia ancora giovane muoveva i suoi primi passi come Stato unitario.
L’Autrice governa con sicurezza i materiali storici e racconta il mondo fuori dalla famiglia, quello della Storia grande, con gli occhi attenti ma distaccati dei protagonisti.
Il libro è diviso in larghi periodi storici che nel secolo scorso segnarono tappe importanti della vicenda nazionale e della famiglia.
Nel 1900, Giovanni Bonelli, di origini meridionali, fresco di laurea in ingegneria, arriva a Verona, Stazione di Porta Nuova, con il suo primo incarico nelle Ferrovie dello Stato.
Giovanni è uno di quelli che crede nelle “magnifiche sorti e progressive”, ha fiducia nel futuro, combatte i pregiudizi del passato e anche quelli dei suoi genitori. Questa filosofia lo accompagnerà sempre e su queste idee educherà i figli: Anna, la primogenita, sarà la sua allieva migliore.
Il giovane ingegnere sposa Olga Viterbi, veneta e di famiglia ebrea, in contrasto con i pregiudizi dei genitori, soprattutto la madre. Lo sostengono le sue convinzioni positivistiche e razionali. Nascono tre figli: oltre ad Anna, la protagonista del libro, Ida e Pietro, il maschio tanto desiderato, che morirà di spagnola.
Le pagine di quegli anni raccontano di una famiglia agiata, attenta alla formazione dei figli per prepararli ad affrontare la vita.
Chi si occupa di tutto è l’ingegnere che protegge la famiglia e dei figli cerca di intuire caratteristiche e desideri per indicare loro la strada. Solo Anna si distingue, perché fa dello studio, del conseguimento della laurea in matematica e del lavoro successivo d’insegnante, una bandiera di personale autonomia.
Da adulta, infatti, in pieno regime fascista, comincia a prendere le distanze dalla mentalità comune e compie scelte che non compromettono mai la sua libertà di pensiero, pur senza contrastare un marito, sempre più sostenitore della politica di Mussolini.
Perché “Anna dei numeri” si sposa. Laureata in matematica nel 1920, orgogliosa del traguardo raggiunto e insegnante in una scuola superiore, prima a Montefiascone e poi a Poppi, non riesce a sfuggire alle convenzioni dell’epoca, sempre combattute per formazione culturale: la donna ha gli stessi diritti dell’uomo ed è libera delle proprie scelte.
Si sposa con Gino, bravo ragazzo e bravo docente, facendo felici madre e parenti tutti. Non si sa, invece, se Anna sia stata altrettanto felice nella nuova dimensione di moglie, madre e docente là a Poppi, nel Casentino, mentre in Italia il regime fascista detta valori e comportamenti individuali e collettivi.
In quegli anni, così pieni di soddisfazioni legate al suo impegno scolastico – non si stanca di ribadire ai genitori dei suoi studenti che anche le figlie hanno diritto all’istruzione – Anna comincia e riflettere: la sua intelligenza e la sua determinazione alla fine la salvano dal conformismo dilagante.
Nel libro la figura di questa giovane donna spicca per libertà interiore e lucidità. Nei giorni della guerra ascolta Radio Londra e comincia a capire. Non sarà complice di “quella ignobile guerra voluta dal duce e da quell’altro pazzoide tedesco, suo alleato”, pensa.
Marisa, la figlia, invece, non mantiene l’autonomia della madre: non termina gli studi un po’ per la guerra e un po’ perché preferisce inseguire l’amore. Sposa Vittorio e dalla loro unione nascerà Cristiana, autrice di queste pagine. poi Paolo e Mariarosaria.
Chissà se le nipoti dell’Autrice riprenderanno in mano la storia di famiglia e continueranno a raccontare…
“Il cielo è di tutti”, la terra è di tutti. Gianni Rodari, l’educazione e i diritti dell’infanzia a cura di Mirca Benetton, pp. 288, euro 27,00
A 100 anni dalla nascita di Gianni Rodari, l’educazione e i diritti dell’infanzia per un mondo solidale e sostenibile
La poesia e la “pedagogia” di Gianni Rodari possono essere lette come espressioni di riconoscimento, sostegno e valorizzazione dell’infanzia e dei suoi diritti per la costruzione di un mondo sostenibile e solidale. I diversi interventi che costituiscono il volume evidenziano, da angolature diverse, come Rodari possa insegnare ancora molto sul versante pedagogico-educativo relativamente alle possibilità di rendere i bambini attori protagonisti del loro progetto di vita. Sul versante delle politiche educativo-sociali, Rodari aiuta a riconoscere i bambini quali cittadini portatori di diritti e responsabili del mondo, del pianeta Terra; sollecita allo stesso tempo gli adulti, e le diverse agenzie educative, alla costituzione di un patto intergenerazionale in cui ciascuno sappia prendersi cura di sé e dell’altro nel rispetto reciproco, per un’educazione all’umanesimo ecologico-sociale. Il richiamo di Rodari è estremamente vivo e attuale, diventa anzi quasi un monito affinché la pedagogia non si assopisca rispetto all’educazione di un’infanzia “postmoderna” non autenticamente riconosciuta, e quindi poco rispettata nel suo essere, nel suo esistere e nel suo divenire.
Mirca Benetton è Professoressa associata di Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata dell’Università di Padova, dove insegna Pedagogia dell’infanzia, dell’adolescenza e diritti dei bambini e Pedagogia del ciclo di vita. È membro del Consiglio direttivo del Centro Interdipartimentale di Ricerca in Pedagogia e Psicologia dell’infanzia (CIPPI) della stessa università. Fra le sue monografie: Preadolescenza e scuola. Profilo pedagogico-educativo di un’età incerta [2012]; Allenamento per la vita. L’educazione-sportivo-motoria for life [2015]. Al suo attivo figurano inoltre numerosi contributi in opere collettanee e in riviste scientifiche relativi, in particolare, alla pedagogia del corso di vita in una dimensione ecologico-sostenibile.
La rilettura dei suoi scritti può insegnare molto sul versante educativo in merito alle possibilità di rendere i bambini attori protagonisti della loro crescita. La sua pedagogia sottolinea, infatti, l’importanza di porre al centro dell’agire educativo l’infanzia nella sua specificità, promuovendone la partecipazione, l’espressione
creativa e le inedite potenzialità. Si tratta di un’infanzia che è radicata in un determinato contesto ambientale e sociale, per cui le questioni rilevanti e gli aspetti problematici che in esso emergono hanno una diretta ripercussione sul progetto di vita di ogni bambino e di ogni bambina.
LA CHIMICA NEI MUSEI: CREATIVITÁ E CONOSCENZA - PISA, 22 novembre 2019
Libretto dei riassunti delle relazioni
Indice dei contenuti
Libretto dei riassunti delle relazioni
Indice dei contenuti
1. “Introduzione alla giornata studio sulla Rete dei Musei di Chimica” di Luigi Campanella e Valentina Domenici
2. "L’arte nei musei della scienza" di Luigi Campanella
3. "I musei scientifici come luogo privilegiato per la progettazione e la realizzazione di attività educative STE(A)M" di Valentina Domenici
4. "Progetto integrato Hydran e-learning (Energia e Ambiente)" di Angelo Natalucci
5. "Industria Chimica e Cultura Industriale" di Vittorio Maglia
6. "Il patrimonio storico chimico dell'Università di Torino. Una mostra, e non solo, in ricordo di Icilio Guareschi" di Mara Fausone
7. "Pile e batterie: un excursus storico" di Fabio Vischio, Vito Divino e Maurizio Loiodice
8. "Dalla chimica come bene culturale alla chimica per i beni culturali... e ritorno" di Francesca Modugno e Maria Perla Colombini
9. " L’esperienza del Museo di Chimica “Primo Levi” nelle attività divulgative: l’importanza della qualità dell’aria" di Alessandro Bacaloni e Susanna Insogna
10. "Museo di Chimica: Scuola di Scienza e di Vita" di Giovanni Petrillo, Paolo Piaggio, Anna Cardinale e Roberto Mosconi
11. “Quanti sono i chimici esperti della storia della loro disciplina?” di Gianfranco Scorrano
Continua con gli abstract degli interventi
Iulian Emil Murgoci, Il Passatore. Diabete e vita “asocial", Abra Books Narrativa, Vicenza 2020, Euro 12,00
Il secondo libro autobiografico di Iulian Murgoci
Li chiamano runners, corridori, non risparmiandoci neppure in questo caso l’anglismo di moda. Piccola minoranza sino a pochi anni fa, oggi corrispondono a una porzione rilevante della popolazione. Corrono tutti: gli uomini e le donne, gli adolescenti e gli anziani, gli impiegati di banca e i percettori di reddito di cittadinanza, le partite Iva e i dipendenti pubblici… Periferie e centri storici, viali e ville comunali, lungofiumi e lungolaghi sono attraversati a tutte le ore da decine, centinaia, migliaia di amanti della corsa e dei suoi presunti benefici. Dicono, infatti, che faccia bene alla salute. E così, in nome di una buona qualità dell’esistenza, li vediamo, questi forzati salutisti, corricchiare, trotterellare, galoppare sulle brevi e brevissime distanze e camminare di buon passo per tratti appena appena un po’ più lunghi. Zelanti interpreti degli attuali stili di vita, sudati, sbuffanti, ansimanti, scaracchianti, col linguaggio di un corpo messo a dura prova, significano a noi, inveterati lentopedisti, tutto il senso di una fatica tanto improba quanto probabilmente inutile.
Ma un breve libro autobiografico di un giovane autore romano di origini romene, Iulian Murgoci, col racconto della sua passione per questo sport, la corsa a piedi, rivaluta, anche ai nostri occhi scettici, la pratica fisica eroicamente nobilitata da Filippide due millenni e mezzo fa e che ogni quattro anni in occasione delle Olimpiadi ci regala sempre non poche emozioni. Ci comunica, Iulian, il suo personale approccio e il suo entusiasmo per il running: utile per rimodellare un corpo, il suo, che non gli piace e con cui convive a fatica; per reagire, a colpi di prestazioni sempre migliori, a bassi, bassissimi, livelli di autostima; per uscire dall’umor nero dello sconforto e della depressione che l’hanno già portato a gesti insensati di autolesionismo. L’Autore, con pagine di un dettagliatissimo e straziante iperrealismo letterario, ci aggiorna momento per momento sulla sua situazione esistenziale, fisica e psicologica. Ci racconta la scoperta della corsa come terapia, i suoi piaceri, le emozioni e le soddisfazioni che una tale gara con se stessi e con gli altri può regalare. Ma correre può bastare a restituire senso, direzione e significato alla propria vita? Certo, i buoni risultati aiutano, danno morale, contribuiscono a contrastare almeno per un po’ il sentimento sempre in agguato dell’inadeguatezza… E quando poi l’Io narrante, Iulian, dopo una lunga e minuziosa preparazione, partecipa, con un ottimo piazzamento, all’ultramaratona intitolata al Passatore, romantico brigante romagnolo della metà dell’Ottocento, cento chilometri con partenza da Firenze e arrivo a Faenza, lungo le severe strade dell’Appennino, al Nostro sembra di toccare il cielo con un dito perché sta per entrare nell’Olimpo riservatissimo dei grandi runners.
Ma si sa la vita non fa quasi mai regali, anzi! E prima o poi ti presenta sempre il conto che talvolta risulta essere salatissimo. Soprattutto quanto tu quella vita l’hai provocata con eccessi, comportamenti sregolati, e condotte al limite. E così quel corpo, per troppo tempo costretto a tempi, distanze e prestazioni d’eccellenza ti abbandona e ti lascia ancora una volta fragile, malato, vulnerabile. Per Iulian inizia così la vera gara: quella per continuare a vivere e ritrovare un equilibrio psicofisico che sembra perduto per sempre. E anche qui fatiche e sofferenze, le tue e quelle di chi ti vuole bene, salite e discese dietro le quali si nasconde la morte o la sua succedanea, la malattia invalidante. Ma Iulian è uno tosto e non molla. Neppure quando la disperazione comincia spesso, troppo spesso, a fare capolino tra le pieghe di giorni ospedalieri sempre uguali, in mezzo a terapie provate e abbandonate perché inadeguate, alle prese con un organismo e un cervello che non ne vogliono sapere di trovare una stilla di requie. Poi, a poco a poco, Iulian riesce a fare pace col proprio corpo: lo aiutano i medici e gli infermieri, una madre vigile e inflessibile nel rispetto delle terapie, l’amata cagnetta Nadine e la solidarietà e la condivisione di tanti e tanti altri compagni di sfortuna.
Oggi Iulian appare un uomo nuovo: non lo spaventa un’impegnativa patologia diabetica che gli impone controlli continui e snervanti e non poche complicatezze alimentari. I pensieri autolesionistici sembrano lontani, ormai alle sue spalle. Ha anche ripreso a correre, sia pure con moderazione. Durante i lunghi giorni d’ospedale si è guardato spesso intorno e ne ha ricavato l’impressione di un mondo solo apparentemente “social”, ma nel profondo egoista, fatuo, narcisista a cui il nostro giovane scrittore non vuole arrendersi. E scrive: “non credete anche voi che lo slogan “andrà tutto bene” uscito fuori durante il lockdown dovrebbe prendere la forma di un abbraccio reale, braccia strette attorno alle nostre spalle in maniera fraterna anziché postare foto in rete?”
Una domanda retorica. Certo che sì, Iulian.
Luciano Luciani
Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, ISBN 978-88-6380-711-0, Corbaccio, Milano, 2013, pp. 342, € 18,90
Devo subito dire che da un autore tanto attento ai processi mentali – da oltre vent’anni si occupa di “cambiamenti cerebrali indotti dall’apprendimento” come direttore del Centro per le Neuroscienze dell’Università di Ulm – mi sarei aspettata più ordine e soprattutto maggiore gerarchia nell’argomentazione. L’indubbio interesse che riveste l’esposizione – molto chiara – della fisiologia dei processi di apprendimento, della loro complessità e dell’impatto che su di essi esercitano le tecnologie rischia infatti di perdersi in una condanna senza appello di ogni tipo di supporto digitale. Computer, lavagne interattive, videogiochi, calcolatrici elettroniche, navigatori satellitari, smartphone, e-book sono comunque, per Spitzer, “macchine per ostacolare l’apprendimento”, che “ci sottraggono lavoro mentale”, rendendoci “dementi” in senso stretto, cioè provocando un declino delle nostre competenze cognitive. Un allarme così generalizzato rischia, a mio avviso, di risultare inefficace.
Dal momento che Spitzer tiene molto al concetto di “profondità” – ci tornerò sopra – proporrei in prima istanza di distinguere alcuni allarmi che mi sembrano abbastanza “superficiali” da altri che considero più significativi e da altri ancora davvero “profondi”, a proposito dei quali l’autore, grazie alle sue specifiche competenze, ha davvero qualcosa da dirci ben al di là del senso comune.
Il senso comune, in effetti, è sufficiente a farci capire senza particolari prove sperimentali che molte ore passate davanti al televisore o impegnate nei videogiochi rimbecilliscono – rendono “dementi” – bambini, ragazzi, adulti e anziani. E con il semplice buon senso possiamo senz’altro capire che i soggetti più a rischio in questo senso sono i bambini delle classi povere, parcheggiati e sedati in questo modo in mancanza di alternative. Facilmente intuibile anche che le eccessive permanenze davanti agli schermi provochino sovrappeso (Spitzer è giustamente molto preoccupato dall’aumento del cosiddetto “diabete senile” in età pediatrica, cfr. cap. 6) e disturbi del sonno (importantissimo, come l’autore spiega nel cap. 12, nei meccanismi di apprendimento).
Più interessante è l’esame del modo in cui i media digitali vengono proposti nelle scuole: pochi, oltre agli addetti ai lavori, sono attenti a questo problema. L’introduzione dei nuovi strumenti tecnologici per la didattica è ampiamente influenzata – come si può ben immaginare – dagli interessi delle imprese produttrici. Le novità in questo campo vengono presentate con entusiastici e avveniristici battage pubblicitari. È sempre successo, avverte l’autore, fin dai tempi di Edison che nel 1913 annunciava la prossima obsolescenza dei libri, destinati “nel giro di una decina d’anni” ad essere sostituiti da supporti audio; cinquant’anni dopo fu la volta della televisione e dei sussidi audiovisivi; ora è il momento dei computer e dell’e-learning. Il ricorrere del fenomeno dovrebbe tranquillizzare l’autore – le rivoluzioni annunciate si sono realizzate in misura molto ridotta. Ma Spitzer è davvero allarmato dall’elettronica, che appare particolarmente pervasiva e invasiva.
La spinta all’introduzione delle tecnologie digitali nelle scuole è certamente molto forte e molto forzata dagli interessi commerciali in gioco e comporta il dirottamento di risorse destinate all’istruzione che potrebbero essere più utilmente impiegate. Ed è certamente vero che i dati relativi agli effetti di tali tecnologie sull’apprendimento e sul rendimento scolastico sono per lo più poco affidabili perché provengono dall’industria informatica: non esistono quasi studi indipendenti e le voci critiche vengono spesso boicottate. Questo induce a una scarsa prudenza nell’uso dei nuovi strumenti, soprattutto nelle scuole per l’infanzia e nelle scuole primarie dove, secondo l’autore, rappresentano “un’istigazione alla dipendenza” e peggiorano l’apprendimento (cap. 3).
L’analisi dei meccanismi dell’apprendimento, con cui Spitzer argomenta quest’ultima affermazione, rappresenta la parte di gran lunga più interessante del libro. Il cap. 2 spiega come l’apprendimento cambia il cervello, nelle sue componenti minuscole – i neuroni e le sinapsi – come nell’organizzazione delle aree cerebrali. Le aree stimolate dall’apprendimento crescono (in volume) perché i neuroni moltiplicano i punti di contatto e le ramificazioni; nell’ippocampo si formano nuove cellule nervose che per sopravvivere devono collegarsi alle strutture cerebrali esistenti. Per realizzarsi in modo duraturo, questi processi richiedono un impegno complesso che coinvolga più aree percettive e motorie, “uno sforzo mentale e fisico e un’interazione attiva con l’ambiente”. È appunto la quantità di aree, neuroni, sinapsi coinvolti che determina la profondità dell’elaborazione e, di conseguenza, l’efficacia dell’apprendimento e della memorizzazione. È il processo di “apprendimento permanente” a preservarci dalla “demenza”: “il cervello si modifica in base all’utilizzo. Se […] non viene utilizzato, l’hardware neuronale viene smantellato”. E i fondamenti di un efficace utilizzo del cervello “risiedono in una buona istruzione nell’infanzia e nell’adolescenza”.
La preoccupazione principale dell’autore riguarda dunque il fatto che l’utilizzo di sussidi digitali finisca col proporre ai bambini e ai ragazzi compiti cognitivi troppo semplici: trascinare con le dita una parola su un touchscreen risulta “superficiale” rispetto a ricopiarla, la pratica del copia-e-incolla è meno “profonda” rispetto a leggere e scrivere (cap. 3), ed è importante imparare a contare con le dita, associando cioè una competenza fortemente astratta a un compito motorio. Così come è importante la compresenza di stimoli emotivi: far ascoltare in età infantile – letteralmente, “non parlante” – un CD in cinese non avrà alcun effetto sull’apprendimento di questa lingua, mentre la presenza di un maestro che interagisce anche a livello espressivo e affettivo risulterà efficace. Il lavoro in gruppo è fondamentale per l’apprendimento, ma i contatti e i confronti reali risultano migliori rispetto a quelli mediati dai social.
Resta un dubbio sul fatto che la tecnologia digitale sottragga – sempre e comunque – stimoli e competenze, senza nulla aggiungere o, quanto meno, sostituire. In questo senso, sul giudizio totalmente negativo che ne dà Spitzer mi sento di esprimere qualche riserva, mentre sulla prudenza che suggerisce riguardo al suo uso nell’infanzia non posso che essere d’accordo.
Maria Pia Pieri, I giorni dell’Ombra e della Luce (1943 – 1945). Tra Barga e Nozzano, Tralerighelibri, Lucca 2020, pp. 100, Euro 14,00
Una memoria autobiografica di Maria Pia Pieri
Scava dove sei!
Una trentina d’anni fa - ma forse sono di più. Avete notato come da una certa età in poi la percezione del tempo si faccia sempre più personale e rapsodica? - un gruppo di giovani storici anglosassoni, in polemica con l’accademia universitaria del loro Paese che li aveva sprezzantemente definiti “storici col sacco a pelo”, al termine di un proprio convegno dai connotati assai poco formali, se ne uscì con un’indicazione di lavoro al tempo stesso semplice ma foriera di grandi novità. Suonava così: “scava dove sei!” Ovvero, evita le grandi ricostruzioni storiche, gli affreschi capaci di abbracciare secoli di fatti e personaggi e rivolgiti invece a studiare e narrare le tue radici, la tua gente, la tua città, il tuo borgo, il tuo passato… Attento sì alle vicende della Grande Storia, ma con l’occhio, l’orecchio e, perché no, il cuore solleciti e partecipi soprattutto verso le manifestazioni apparentemente secondarie, gli atti minori o addirittura minimi dell’esistenza collettiva: che so, il cibo e le strategie amorose, i divertimenti e le pratiche religiose, le attività produttive e le manifestazioni artistiche singolarmente intese e/o variamente intrecciate tra loro.
È quello che fa Maria Pia Pieri che scava dove è, o meglio dove era, negli anni terribili e tragici compresi tra il 1943 e il 1945. Viveva l’Autrice la sua vita di bimba proprio sulla Linea Gotica, a Barga nella media valle del Serchio, in una delle aree più delicate, contrastate e contese dello scacchiere militare italiano in quel tempo di ferro e di fuoco: il nostro Paese, spaccato in due, veniva conteso tra due potenti eserciti e gli italiani erano l’un contro l’altro armati in nome di una diversa appartenenza politica e ideologica.
Indaga nella memoria propria e in quella della famiglia Maria Pia, e rievoca i tremori dei rastrellamenti tedeschi che portavano via gli uomini abili, padri e fratelli, verso destinazioni ignote e paurose; l’esperienza dello sfollamento con tutti i suoi disagi, il freddo, la fame, la notte illuminata dalla luce incerta dei bengala, per sfuggire ai bombardamenti Alleati e ai cannoneggiamenti tedeschi, alla ricerca di una solidarietà spesso faticosa di chi aveva già poco o pochissimo: una condizione di precarietà assoluta, acuita per di più da una mamma in avanzato stato di gravidanza che proprio in quei frangenti perigliosi metteva al mondo il figlio più piccolo; e poi, l’arrivo degli Alleati, tanto simpatici e cordiali gli americani, quanto rigidi e severi gli inglesi. E Maria Pia non dimentica la Battaglia di Natale del dicembre ’44, ovvero una pericolosa controffensiva tedesca che fu sul punto di rimettere i nazifascisti sulla strada per Lucca e che la bambina di allora rielabora come il tempo in cui le morì il nonno paterno, ormai incapace di trovare le forze per reagire alle sofferenze di una guerra che si prolungava oltre ogni sopportazione e che si svolgeva feroce fin quasi sulla porta di casa.
Racconta bene Maria Pia di quegli anni tremendi e lontani. E lo fa non solo grazie a una scrittura limpida e incisiva, ma perché riesce - ed è questa a nostro parere la qualità migliore del libro - a mantenere gli occhi chiari e ingenui, ma aperti e coraggiosi, di una ragazzina di neppure dieci anni, della piccola borghesia dei commerci, che andava a scuola dalle suore in una piccola città di provincia più di settant’anni fa. A lei, d’improvviso, inopinatamente, come alla intera sua generazione, toccò il duro confronto con i disastri di una guerra devastante che t’invade la vita quotidiana, la tua e quella dei tuoi familiari, coetanei, amici, compaesani e in cambio ti lascia solo macerie materiali, rovine morali, povertà, miserie…
Ebbene sì, qualche volta la vita e la Storia ti mettono all’angolo.
Spesso mi sono chiesto come, in virtù di quali risorse di coraggio, di quali sacrifici, di quali audacie, a quegli uomini e a quelle donne usciti dalle distruzioni del conflitto sia stato possibile attraversare il gorgo limaccioso lasciatoci in eredità dal fascismo e risalire la china verso impensabili traguardi di civiltà e vita sociale. Mi permetto di suggerire che questo potrebbe essere l’argomento di un prossimo, auspicabile, nuovo libro di memorie autobiografiche di Maria Pia Pieri.
Luciano Luciani
HELGOLAND di Carlo Rovelli Adelphi, Milano,2020
E’ la storia di quei fisici geniali, aperti ad audaci avventure intellettuali, che nei primi decenni del secolo scorso rovesciarono l’immagine del mondo che conosciamo, mentre cercavano di decifrare il linguaggio criptico della meccanica quantistica, la nuova fisica che metteva in discussione tutte le certezze della fisica classica.
Si andava delineando lo scenario enigmatico di una nuova realtà fatta di onde di probabilità, indeterminazione, strani comportamenti di particelle fantasma che sembrava non avessero identità definita, tra fenomeni di dualismo onda-particella, dialogo a distanza, presenza simultanea in luoghi diversi…
La miscela incandescente di ipotesi ardite e di interpretazioni contrastanti alimentava un serrato dibattito nel gioco di squadra in cui via via si cimentavano Heisenberg, Bohr, Born, Schro¨dinger, Pauli, Jordan, Dirac e altri; sullo sfondo Enstein.
Rovelli trascina il lettore nel travaglio di idee che agitava le loro menti mentre cercavano di penetrare “ uno dei più vertiginosi segreti della Natura che l’umanità abbia mai intravisto”.
Il racconto inizia con Heisenberg, giovane fisico ventitreenne, che nell’assoluta solitudine della ventosa isola di Helgoland, nella confusione mentale che lo tormentava giorno e notte in modo ossessivo, continuava a pensare al bizzarro comportamento degli elettroni nel nucleo atomico ipotizzato dalle formule di Niels Bohr, il grande fisico danese che da anni cercava di carpire, insieme ad altri, i segreti dell’atomo.
Secondo il modello di Bohr, spiega Rovelli, gli elettroni orbitavano intorno al nucleo su precise traiettorie, a precise distanze, con determinate energie, e stranamente saltavano da un’orbita all’ altra. A quale forza obbedivano? Perché saltavano? Come si muovevano? Niente era chiaro, nonostante questo schema concettuale funzionasse perfettamente nella previsione dei fenomeni atomici.
Heisenberg era coinvolto nel problema quando si ritirò sull’isola di Helgoland. Dopo notti agitate e insonni provò a orientare la sua indagine non su una ipotetica e determinata traiettoria dell’elettrone intorno al nucleo atomico, ma su quanto si poteva osservare dall’esterno: frequenza e intensità della luce emessa nel salto da un’orbita all’altra. Ripartì dalle formule di Bohr utilizzando tabelle di numeri tecnicamente chiamate matrici che avrebbero indicato non una posizione definita dell’elettrone su una traiettoria, ma diverse possibili posizioni nel salto da un’orbita all’altro.
Un cambio di prospettiva, un’idea rivoluzionaria che avrebbe infranto il modello strutturato dell’atomo di Bohr. “L’idea destinata a sconvolgere l’intera fisica, l’intera scienza, la nostra intera conoscenza del mondo. L’idea che l’umanità, credo, non ha ancora digerito”.
«Erano più o meno le tre del mattino quando il risultato finale dei miei conti fu davanti a me. Mi sentivo profondamente scosso. Ero così agitato che non potevo pensare di dormire. Lasciai la casa e mi misi a camminare lentamente nell’oscurità. Mi arrampicai su una roccia a picco sul mare, sulla punta dell’isola, attesi il sorgere del sole…»
«D’un tratto non ho più avuto dubbi sulla coerenza della nuova meccanica quantistica che il mio calcolo indicava.
«Ero profondamente allarmato. Avevo la sensazione che attraverso la superficie dei fenomeni stavo guardando verso un interno di strana bellezza; mi sentivo stordito al pensiero che ora dovevo investigare questa nuova ricchezza di struttura matematica che la Natura così generosamente dispiegava davanti a me».
“Ma questo è la scienza, un’esplorazione di nuovi modi di pensare il mondo…È la forza visionaria di un pensiero ribelle e critico capace di modificare le sue stesse basi concettuali, capace di ridesegnare il mondo da zero”.
…la teoria dei quanti ha chiarito le basi della chimica, il funzionamento degli atomi … il colore del cielo, i neuroni del nostro cervello…È alla base delle tecnologie più recenti: dai computer alle centrali nucleari … Non ha mai sbagliato. È il cuore pulsante della scienza odierna. Eppure resta profondamente misteriosa. Sottilmente inquietante. Ha distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite , senza chiarire come dobbiamo invece pensare il mondo… Enstein, che pure ne aveva anticipato le idee mettendo Heisenberg sulla strada, non l’ha mai digerita; Richard Feynman, il grande fisico teorico della seconda metà del XX secolo, ha scritto che nessuno capisce i quanti…
La teoria descrive la realtà a scala microscopica. Una realtà granulare e probabilistica, fatta di eventi discontinui e fluttuanti che interagiscono in modo intermittente. Noi non siamo in grado di percepire tutto questo. Nel nostro mondo tutto ci sembra continuo e determinato, senza increspature. Ma questa è una visione approssimata e sfocata (La realtà non è come ci appare, Rovelli 2014).
“Alla nostra scala il mondo è come un oceano agitato dalle onde osservato dalla luna: una piatta superficie di una biglia immobile”.
…Se la stranezza della teoria ci confonde, ci apre anche prospettive nuove per capire la realtà. Una realtà più sottile di quella del materialismo semplicistico delle particelle nello spazio…
Quale realtà? Una nuova realtà fatta di eventi che si influenzano a vicenda in una fitta rete di interazioni, spiega Rovelli. Nulla ha senso al di fuori di questa rete. Non esistono proprietà di oggetti indipendenti; le caratteristiche di ciascun evento si definiscono solo nell’interazione con un altro oggetto o un altro evento e noi facciamo parte di questa rete.
È il nucleo concettuale della teoria dei quanti, la migliore descrizione della natura di cui al momento disponiamo.
Il dibattito iniziato nel secolo scorso continua e coinvolge scienziati e filosofi.
Il libro si chiude con una nota poetica, tipica del lessico effervescente e appassionato di Rovelli:
“…L’interconnessione delle cose, il riflettersi l’una nell’altra, splende di una luce chiara che la freddezza della meccanica settecentesca non riusciva a catturare.
Anche se ci lascia esterefatti. Anche se ci lascia un senso profondo di mistero.”
Lucia Torricelli
Nicola Anaclerio, Maria Elena Rodio PIANTE E INSETTI, Orme Editori, giugno 2020, Pagine 160, ISBN: 8867101587
Alleanze, ostilità, inganni orchestrati dall’evoluzione
Si conoscono un milione di specie di insetti e quasi trecentomila specie di piante (inclusi muschi, licheni e felci). Si tratta nel complesso del 72% di tutte le specie viventi fino a oggi descritte e classificate. Chi ci presenta i due gruppi di organismi, come fanno Nicola Anaclerio e Maria Elena Rodio in questo libro ricco di informazioni e spunti interessanti, prende in esame un campione oltremodo rappresentativo delle forme viventi sulla Terra. I due Autori, illustrando cosa fanno insieme piante e insetti, riescono a definire un quadro vasto e pressoché esaustivo delle relazioni tra gli organismi. Perché nelle relazioni tra piante e insetti troviamo tutto l’incredibile concerto di trame ecologiche che caratterizza la biosfera. E interessarsi delle relazioni ecologiche, che possono esprimersi in alleanze, ostilità o inganni, significa veramente decifrare, comprendere, apprezzare, interiorizzare e, alla fine, amare le reti che interconnettono gli organismi negli ecosistemi. Per un insegnante di Scienze Naturali è fondamentale entrare in una connessione empatica con gli organismi di un prato, di un bosco, di un giardino, e lo studio proposto dagli Autori sulle relazioni tra insetti e piante è lo strumento migliore per riuscirci. Il tutto sostenuto e corroborato dalla linfa del pensiero evoluzionistico, con citazioni dirette dei lavori di Darwin sull’argomento. A conclusione del libro, per rendere ancora più coinvolgente e complessa la rete ecologica di connessioni, viene inserita la variabile antropica. L’uomo piega i componenti degli ecosistemi alle proprie esigenze, trovandosi poi a stabilire nuove alleanze e nuove ostilità con piante e insetti, a seconda delle convenienze. Sono analizzati casi dolorosi come quello della Xylella, ma alla fine il libro si conclude con esempi vantaggiosi di relazioni triangolari piante-insetti-uomo.
Stefano Piazzini
Nicola Anaclerio
Nato a Bari, laureato in Scienze Forestali e Ambientali e specializzato in entomologia e fitopatologia. Insegna scienze naturali presso il Liceo Scientifico Benedetto Varchi di Montevarchi (Ar). È presidente dell’associazione culturale “LiberiLibri” di Cavriglia (Ar) e membro del consiglio direttivo dell’ANISN (Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali) di Firenze.
Maria Elena Rodio
Nata a Brindisi, laureata in Scienze e Tecnologie Agrarie. Specializzata in fitopatologia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Virologia Vegetale lavorando all’Università Politecnica di Valencia. Nel 2006 ha vinto il premio internazionale “Antonio Ciccarone” per giovani fitopatologi del bacino del Mediterraneo. È insegnante di matematica e scienze presso l’Istituto Comprensivo Dante Alighieri di Cavriglia (Ar).
Piante e insetti
2020 – p. 288 – € 23,90 – Formato 15 x 21 – ISBN 9788879756983
- la prospettiva antropologica da cui l’Autrice affronta lo studio del mondo microbico
- lo sguardo ravvicinato al metodo sperimentale attraverso la frequentazione di un gruppo multidisciplinare di ricerca in un laboratorio di metagenomica microbica dell’Università di Trento.
Nicola Segata, coordinatore del laboratorio che aveva ospitato Roberta Raffaetà, racconta nella prefazione la storia e i risultati positivi di questa felice contaminazione tra antropologia e ricerca di laboratorio.
La lettura integrale del libro fornirà ulteriori elementi per una presentazione più approfondita. (Lucia Torricelli)
Liliana Dell'Osso, Contagi Editore: ETS, 2020, ISBN: 8846758412, pp. 160 Ill., 15.00€
Con la quarantena è arrivata anche per noi l’occasione di una riflessione
Eredi di un mondo igienico, costretti dal Covid-19 al lockdown, abbiamo l’impressione che il “contagio” sia la categoria definitoria dell’attualità. Nulla di più falso. Il contagio è una categoria totale della nostra cultura. Nasce dal senso del tatto, dalla conseguenza della prossimità fra oggetti, nel mondo. Esso interessa i corpi, i saperi, le idee, gli oggetti. Questo studio cerca di esplorare il mondo dei contagi, quello che si è riscoperto fra incredulità, allarmismi e fake news quando la pandemia ci ha avvolto. Quello che, dall’antica Grecia sino ai virus informatici, ha definito la nostra cultura, fra metafore e scienze. Quello che, nella traiettoria vitale di un artista come Edvard Munch, ha fornito ispirazioni per opere capaci di sintetizzare degli aspetti universali dell’anima. Il mondo dei contagi è il mondo in cui viviamo. In esso osservatore e fenomeno osservato, medico e malattia, possono andare a sovrapporsi. Nessun uomo, neppure il terapeuta, è immune alla dimensione onnicomprensiva del contatto.
Liliana Dell'Osso è Professore Ordinario di Psichiatria e Presidente del Collegio Nazionale dei Professori Ordinari di Psichiatria, Direttore della Clinica Psichiatrica e della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Pisa. È autrice/coautrice di oltre 800 pubblicazioni su riviste scientifiche, prevalentemente internazionali, di Manuali e di numerosi saggi tra cui: L'altra Marilyn. (Le Lettere, 2016), L’abisso negli occhi (ETS, 2016), La verità sulla menzogna (ETS, 2017), Il Caso Coco Chanel (Giunti, 2018), L’ombra dell’autismo (FrancoAngeli, 2018), Genio e follia 2.0 (FrancoAngeli, 2019), Fatti di quotidiana follia (Giunti, 2019). Fa parte dei Top Italian Scientists (che comprende gli scienziati italiani a più alto impact factor), della Top Italian Women Scientists e del club 100esperte.it.
Mirella D'Ascenzo Andiamo a scuola...all'aperto! Pagine 290 cm.14x22, 2018 ISBN: 9788846753786
COVID-19, potrebbe essere l’occasione invece per ripensare il nostro modello di scuola
Mirella D'Ascenzo ha recentemente pubblicato un libro Per una storia delle scuole all'aperto in Italia dove illustra questa esperienza di didattica Outdoor nel mondo. L'argomento è diventato di stringente attualità se, a causa dell'emergenza sanitaria, si sta pensando di riaprire la scuola ma in condizioni di sicurezza, e lo spazio aperto potrebbe essere una soluzione percorribile.
Nel volume si evince che le scuole all'aperto sono ai primi del Novecento per alunni gracili e si diffusero in tutto il mondo, accomunate com'erano da pratiche igieniche e didattiche svolte in prevalenza open air. Nel percorso di ricerca dell'autrice si delineano le aree e i network di diffusione a livello internazionale nonché i legami con il coevo movimento dell’éducation nouvelle.
Lo sguardo si concentra poi sulle diverse esperienze italiane, decisamente poco note finora, e analizza quelle realizzate nella città di Bologna, i protagonisti, gli intrecci, le reti di relazioni e il ruolo delle insegnanti per il rinnovamento dei metodi e dei contenuti dell’insegnamento. Fonti ed immagini inedite evidenziano la cultura scolastica prodotta in queste originali istituzioni educative poste ad intersezione della storia sociale dell’infanzia, della scuola e delle pratiche didattiche, capaci, ancor oggi, di rilanciare la sfida del rapporto tra bambini, scuola e natura, con rinnovata passione educativa, tesa tra passato e futuro.
Mirella D’Ascenzo è professoressa associata di Storia dell’educazione e di Storia della scuola presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Ha pubblicato diversi volumi tra cui: La scuola elementare in età liberale. Il caso Bologna (1859-1911)[1997]; Tra centro e periferia. La scuola elementare a Bologna dalla Daneo-Credaro all’avocazione statale (1911-1933) [2006]; Alberto Calderara. Microstoria di una professione docente tra Otto e Novecento [2011]; Col libro in mano. Maestri, editoria e vita scolastica tra Otto e Novecento [2013]; Dalla parte delle maestre. La stagione pedagogica di Virginia Predieri (1931-2009) [2016].
Maria Cristina Addis e Alessandro Prato (*), Le forme della persuasione e il sistema dei media ETS editore Pisa ISBN: 9788846756558 pp. 144, euro 14.00
In un libro si analizzano le dinamiche e le strategie che soggiaciono a intrecci
Il volume sviluppa, attraverso una serie di saggi, una riflessione sulla persuasione e sui modi in cui si manifesta all’interno dei media. Questi ultimi divengono luogo privilegiato di studio dei rapporti di reciproca interdipendenza tra le forme della comunica- zione di massa e i sistemi di potere che la innervano, seguendo una prospettiva che potremmo definire gramsciana, in base alla quale i mezzi d’informazione sono pensati come terreno di scontro di forze politiche e economiche. Da un lato si analizzano le strategie che sono utilizzate nel discorso pubblico per controllare la formazione delle opinioni e indirizzarle. Dall’altro lato si illustrano gli strumenti per valutare queste strategie, riconoscendo quelle che si basano su procedimenti scorretti e meramente manipolatori, smascherando gli errori e gli abusi di cui è intrisa tanta parte del discorso pubblico contemporaneo.
(*) Con scritti di Maria Cristina Addis, Paolo Bertetti, Maurizio Boldrini, Paolo Braga, Massimiliano Coviello, Alessandro Lovari, Stefano Montes, Alessandro Prato.
La peste è colpa? È punizione divina? È espiazione dei propri peccati? Male sociale che ci riporta sulla terra, oppure ci annuncia proprio l’imminente fine della vita? Destino o maledizione?
La peste: colpa, peccato o destino?
Edizioni ETS ripropone lo studio di Anna Di Veroli, un percorso per capire la concezione della peste nei classici italiani della letteratura
Cos’è la peste? Malattia, inganno, punizione divina o necessità alla quale l’umanità non può sottrarsi? Qual è la spiegazione della ciclica presenza di un morbo che nei secoli ha sterminato molti popoli? Qual è il mistero che essa racchiude? Ogni volta, apparentemente annientata, la peste torna poi a rigenerarsi nel tempo, più forte e prolifica. Ma questa metafora del male che si nasconde nel cuore degli uomini e che mai si può cancellare definitivamente, che senso ha? Molti scrittori, nei secoli, si sono interrogati sulla peste come metafora patogena e hanno cercato, appiattiti da una falsa coscienza generata da un credo comune, di trovare una valida motivazione ad essa. Oggi l’interrogativo rimane. Forse la peste non ha un senso, o forse è la speranza di ricominciare, la rinascita dell’uomo salvato, il niente e il tutto. Questo studio accompagna il lettore a percorrere i famosi scritti di alcuni importanti letterati italiani come Boccaccio, Petrarca, Manzoni, Leopardi, ora in versi ora in prosa, che hanno trovato nella tragica vicenda della peste lo spunto di creazione delle grandi opere che tutti noi conosciamo e che sono patrimonio della nostra cultura italiana.
Anna Di Veroli è docente di Letteratura Italiana e Letteratura per l’infanzia presso l’Università ECampus. Ha pubblicato L’Unità d’Italia negli Scrittori Siciliani dall’Ottocento ad oggi (Aracne 2013), Il Parco Nazionale del Circeo: Storia e Progetti di sviluppo (Cesd 2013). Scrive abitualmente articoli scientifici su riviste di settore come il Vega Journal dal 2013.
La letteratura si è spesso soffermata su riflessioni metafisiche riguardanti la predestinazione o l’espiazione, dalla notte dei tempi; ancora oggi la scienza non è riuscita a soddisfare l’inquietudine nascosta dietro alla domanda che il religioso, il poeta, lo scrittore, il filosofo o semplicemente l’uomo si è posto nei secoli: perché la Peste?
La peste. Colpa, peccato e destino nella letteratura italiana di Anna Di Veroli, pp. 86, euro 10,00, 2014.
Ilaria Capua Salute circolare. Una rivoluzione necessaria EGEA Editore, Collana: Cultura e società, 2019, 118 pagine, EAN: 9788823837386
Recensione di Francesca Civile
Un suggerimento di lettura (i tempi consentono largamente!). Questo libretto di facile e accattivante lettura contiene una ricostruzione di alcune tappe fondamentali di storia della medicina, che la Capua percorre – in forma di intervista, preceduta e seguita da considerazioni filosofiche di U. Curi - mettendo a fuoco alcune una sua idee-base: la salute come equilibrio di relazioni tra realtà biologiche interne ed esterne (ambiente, cibo, clima, ma anche contesto sociale e relazioni interumane) da Ippocrate ai nostri giorni. La parte principale, e più corposa, del testo, è questa, che si snoda nei capitoli che lei numera da 7 a 0. Attirano la sua attenzione i personaggi le cui “scoperte” sono legate al loro essere uomini ( poche le donne…) di molteplici identità culturali e geografiche, che hanno visto cose nuove cercando attraverso il confronto spregiudicato con la tradizione e con la casualità, spesso. Personaggi che lei chiama NL, “non lateralizzati”; “Il NL sa che destra e sinistra sono solo in testa, sono una congettura e non una caratteristica intrinseca delle cose”. Fracastoro, Vesalio, Leewenhoeck… sono anche persone che hanno incrociato la ricerca biomedica con altre arti, linguaggi, competenze tecniche, dall’incisione alla costruzione di lenti. Il riferimento implicito è alla Struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn: una nuova impostazione si condensa, a volte per caso, comunque in una fase in cui il paradigma tradizionale non basta più a rispondere a domande e osservazioni nuove. In questa situazione occorre la libertà mentale per mettere alla prova ipotesi apparentemente stravaganti e certamente impopolari, al primo impatto. La vaccinazione di Jenner, le cellule di Virchow, le muffe di Fleming hanno alle spalle questa apertura mentale, che serve poi ad ampliare gli orizzonti della scienza e del senso comune.
Lettura piacevolissima, utilizzabile anche in ambito scolastico, mi ha lasciato un po’ delusa la più breve parte sulle sfide attuali. La Capua enuncia alcuni percorsi possibili e necessari, dal suo punto di vista di studiosa di virus (e di epidemiologia, mi pare). Certo, i big data a nostra disposizione (insomma, qualcuno ne ha la disponibilità!) potrebbero velocizzare straordinariamente lo studio e la previsione di patologie individuali e di massa, dello spostamento delle epidemie, delle condizioni ambientali e climatiche che possono favorire o rallentare i meccanismi patologici; lì potremmo trovare risorse per dare il massimo di trasparenza e di generalità all’informazione sanitaria, E allora, mi chiedo, come mai pare che questi big data li usino solo i pubblicitari delle grandissime aziende per proporci cose da comprare? La Capua, in effetti, ha mostrato concretamente che cosa va fatto, rendendo di pubblico accesso, nel 2006, la sequenza genetica del ceppo africano di un virus influenzale da lei “srotolato”. D’altra parte vede e riconosce che c’è anche una difficoltà strutturale nella ricerca biomedica, che si potrebbe far risalire addirittura a Galilei e contemporanei: è il processo di verticalizzazione e di specializzazione che è seguito alla nascita della scienza moderna; probabilmente, con una struttura di questo tipo, la enorme disponibilità di dati rappresenta un rischio di ulteriore settorializzazione. Quella visione d’insieme che aveva consentito a Ippocrate e agli altri studiosi della salute e della malattia di vedere l’essere umano come un tutto più o meno armonico, e la sua collocazione nel mondo naturale come una rete di relazioni che incidono su salute e malattia, si è andata trasformando nella conoscenza estremamente dettagliata di una piccola sezione, e nella crescente difficoltà di affacciarsi sulle specializzazioni altrui. Probabilmente ci sono anche problemi di concorrenza e di finanziamenti, che limitano la naturale necessità dei ricercatori di comunicare tra loro, di mettere in comune i loro risultati. Insomma, mi pare che, almeno in questo libro, la brava Capua glissi un pochino su complicazioni e contraddizioni delle conoscenze scientifiche, specie mediche, del nostro tempo.
Dovrei e vorrei leggere altro di suo. Ilaria Capua è una professionista brillante, una buona comunicatrice, anche su alcuni problemi posti alla virologia e alla epidemiologia dalla diffusione del Covid19 ho sentito qualche sua intervista di recente, seria e ben argomentata come non tutti i suoi colleghi riescono a fare in questi giorni. Qui, da un lato collegava l’esplosione della pandemia al salto del virus da un animale selvatico all’uomo, un processo analogo a quello che, in epoca molto antica, ha portato il morbillo dai bovini allevati dai primi agricoltori agli umani, e a quello grazie al quale Jenner, a fine ‘700, ha utilizzato il siero delle mucche ammalate per mettere a punto il vaccino per il vaiolo. Processo facilitato e accelerato da processi di diversissimo tipo, come le modificazioni dell’habitat naturale di parecchi animali, il mercato legale e illegale di animali selvatici, la densità abitativa delle grandi metropoli, l’aumentata velocità degli spostamenti di merci e di persone in tutto il mondo. E insomma, anche nel nostro caso, la salute è circolare.
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Paul Valéry racconta il genio e lo eleva a modello dell'uomo europeo
Il testo fu scritto come introduzione al saggio Leonardo o dell’arte di Leo Ferrero. Valéry ha contribuito in modo decisivo a rendere il genio di Leonardo modello dell’uomo europeo. In questo saggio, alla filosofia astratta, che non riconosce di essere un gioco linguistico e un genere letterario, Valéry contrappone la filosofia come arte del pensare. Leonardo ha la pittura per filosofia e sviluppa un esercizio della mente in cui interagiscono sensibilità e ragione, parola e disegno.
Ma per Leonardo il linguaggio non è tutto. Neanche il sapere non è tutto per lui; forse per lui non è che un mezzo. Leonardo disegna, calcola, costruisce, decora, usa tutti i modi materiali che piegano e mettono alla prova le idee e che offrono loro occasioni di rimbalzi imprevisti contro le cose, così come oppongono loro resistenze estranee e condizioni di un altro mondo che nessuna previsione, nessuna conoscenza preliminare permette di abbracciare in anticipo in un’elaborazione puramente mentale. Sapere non è cosa sufficiente per questa natura molteplice e volontaria; è il potere a interessargli. Non separa il comprendere dal creare. Non distingue volentieri la teoria dalla pratica, la speculazione dall’accrescimento della potenza esteriore, non distingue il vero né dal verificabile, né da quella variazione del verificabile che sono le costruzioni di opere e di macchine.
La traduzione è accompagnata da uno scritto di Antonietta Sanna sulla persistenza del mito di Leonardo nel pensiero di Valéry, da uno studio di Danilo Manca sulla lettura valéryana della filosofia di Leonardo e i suoi esiti in campo filosofico (Benjamin, Jauss, Blumenberg, Merleau-Ponty, Derrida) e da una ricerca bibliografica sui saggi dedicati al Leonardo di Valéry.
Danilo Manca è docente a contratto di Fenomenologia ed Ermeneutica presso l’Università di Pisa. Si occupa di fenomenologia, filosofia classica tedesca, estetica e filosofia della letteratura. Ha pubblicato per Edizioni ETS La disputa tra ispirazione e composizione. Valéry fra Poe e Borges (2018).
Antonietta Sanna è docente di Letteratura francese presso l’Università di Pisa. Si occupa di questioni di genetica testuale, del rapporto fra testo e immagine e di multilinguismo. Ha dedicato numerosi saggi all’opera di Paul Valéry, tra cui Un certain théâtre (1997), Leonardo da Vinci. Interpretazioni e rifrazioni da Giambattista Venturi a Paul Valéry (2012), Paul Valéry traducteur de Léonard de Vinci (2019). Membro dell’ITEM/ENS-CNRS di Parigi, collabora all’edizione dei Cahiers di Paul Valéry.
Leonardo e i filosofi di Paul Valéry, ETS - Pisa pp. 112, euro 12.00.
Paolo Mazzarello, Il professore e la cantante – La grande storia d’amore di Alessandro Volta, Giunti Editore S.p.A./Bompiani, 2020, € 13,00.
Esiste un Olimpo della Scienza ancora più esclusivo dei Premi Nobel. Tanto ristretto, che conta solo diciotto membri e non se ne vedono, per il momento, prospettive di allargamento. Mi riferisco agli scienziati eponimi delle unità di misura impiegate nel Sistema Internazionale. Le sette grandezze fondamentali e le diciannove principali grandezze derivate sono misurate in unità di misura che in diciotto casi su ventisei prendono il nome, con iniziale minuscola, di uno scienziato, la cui opera è risultata fondamentale nel relativo campo di ricerca. Accanto ai nomi di sei scienziati inglesi, quattro francesi, quattro tedeschi, uno statunitense, un croato e uno svedese, c’è anche il nome di un italiano, Alessandro Volta. Il volt, con una lieve ma forse non inaspettata elisione che trova analogo solo nel farad, è l’unità di misura del potenziale elettrico. Il riconoscimento tributato al grande scienziato comasco contribuisce a risollevare il nostro orgoglio nazionale, altrimenti costretto alla marginale consolazione offerta dalla costante di Avogadro, non a caso relegata nella tabella di minore importanza delle «altre grandezze derivate», fra moduli e coefficienti vari.
La rilevanza dell’opera scientifica di Volta rischia di attrarre tutta l’attenzione dedicata alla figura dello scienziato sulla sua attività di ricerca. Sono lasciati fuori del cerchio di luce dell’indagine storica aspetti della personalità e vicende private solo apparentemente secondari nel processo di maturazione delle idee scientifiche. Con il libro Il professore e la cantante – La grande storia d’amore di Alessandro Volta Paolo Mazzarello guida il lettore, con perizia degna di un anatomopatologo, nei dettagli della ricostruzione storica del contrastato amore sbocciato tra il professore universitario Alessandro Volta e la cantante lirica Marianna Paris. Il libro si distingue non solo per l’accuratezza e la ricchezza delle fonti che sostengono la ricostruzione storica, ma anche per la capacità di attenta descrizione dell’ambiente storico e sociale nel quale Volta era inserito. Se sulla qualità della ricostruzione storica non esistevano dubbi, visto anche il ruolo accademico dell’Autore presso la stessa Università di Pavia in cui Alessandro Volta aveva insegnato ed effettuato ricerche, lo squarcio aperto sul comportamento sociale della specie umana in Lombardia nel Secolo dei Lumi offre scorci inattesi.
La rigida suddivisione castale che modellava la società lombarda nella seconda metà del Settecento piegò alla propria logica anche una figura di rilievo culturale e sociale come quella di un professore di una delle più prestigiose Università europee, nel cuore di una regione aperta agli scambi e agli influssi culturali di tutto il continente, sottoposta in quel frangente storico all’illuminato dominio dell’Impero Asburgico. La rigorosa logica castale si esercitava in particolare sulla contrazione dei matrimoni, combinati entro una rete di famiglie di rango equivalente. Il controllo non era probabilmente altrettanto rigido, da quanto si intuisce, nei confronti dei flussi genici, in particolare quelli veicolati dai gameti maschili. Una tolleranza, quest’ultima, destinata comunque a bloccarsi sulla soglia del riconoscimento della prole generata con appartenenti a ceti sociali inferiori.
La parabola dell’amore impossibile del professor Alessandro Volta per una donna di origini non patrizie e dalla professione all’epoca sconveniente occupò l’arco di un lustro. Nella primavera del 1789 avvenne il primo incontro tra i due, nell’autunno del 1794 Volta convolò a nozze con Teresa Peregrini, soggiacendo alle imposizioni della propria famiglia, inflessibilmente espresse dal maggiore dei fratelli, l’arcidiacono Luigi. Gli eventi storici che proprio in quegli anni diedero il via a un’epocale trasformazione dell’Europa rimasero quasi inavvertiti da un Alessandro Volta impegnato in una impresa degna di Sisifo contro le convenzioni sociali del tempo.
La frustrazione e la disperazione dell’innamorato costretto alla coercizione dei propri sentimenti portarono Volta a reindirizzare le proprie energie verso l’indagine scientifica, stimolata in quegli anni dalle notizie che giungevano da Bologna sulle strabilianti scoperte effettuate da Luigi Galvani. La sagacia sperimentale e la solida impostazione scientifica di Volta superarono le suggestive ma ingenue intuizioni di Galvani sull’origine della cosiddetta «elettricità animale», fino alla realizzazione del primo apparecchio capace di impiegare l’energia potenziale chimica per generare un potenziale elettrico e pertanto una forza elettromotrice, quelle stesse grandezze che oggi misuriamo, per l’appunto, in volt.
Il breve riassunto condensato in poche righe può dare un’idea generale del filo conduttore del libro, ma non rende merito all’ammirevole bravura di Paolo Mazzarello nel fare immergere il lettore nello spirito dell’epoca. Frequenti citazioni di documenti originali sono, infatti, incastonate in una narrazione che conserva la forbita eleganza settecentesca della corrispondenza che Volta intrattiene con parenti, colleghi ed amici. Una corrispondenza nella quale le imposizioni esercitate e i coraggiosi tentativi di sottrarsene lasciano trasparire un esercizio inflessibile del potere e del prestigio sociale per garantire il rispetto della gerarchia sociale. Si trattò di una battaglia senza esclusione di colpi, condotta epistolarmente con un linguaggio colto e raffinato, senza però mai mascherare la durezza dello scontro. Qualsiasi confronto con la comunicazione via touchscreen che caratterizza i nostri giorni è troppo impietoso per essere tentato.
Fabio Fantini
IL CASO DI G.
La patologizzazione dell'omosessualità nell'Italia fascista
Gabriella Romano ETS -Collana: studi culturali (11) pag. 124 cm.14x21, 2019 ISBN: 9788846755605
Il 22 novembre 1928 un medico venne convocato d’urgenza in un commissariato di polizia di Torino. Un uomo di 45 anni, G., era appena stato arrestato per aggressione e minacce nei confronti di suo fratello. Tra i due c’era stata una lite violenta per una questione di soldi. Il dottore lo visitò al commissariato alle ore 18 e dichiarò che G. era affetto da psicosi grave tale da renderlo pericoloso a sé ed agli altri; per questo ritengo necessario ed urgente il suo ricovero in ospedale manicomiale. «Pericoloso a sé e agli altri» è un’espressione precostituita: corrisponde a ciò che la legge sull’internamento richiedeva. Durante il regime fascista le procedure d’internamento seguivano ancora la Legge n. 36 del 1904, il cui articolo 1 diceva che dovevano essere internate: le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo o non siano o non possano essere convenientemente custodite.