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Recensioni 2019

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Storia sconosciuta di ÉVARISTE GALOIS, Matematico e rivoluzionario «» Pagine fiduciose nella scienza e nella tecnica «» Il genio delle donne «» Memorie autobiografiche dalla Toscana profonda «» La coppia oggi «» I TESORI DEL MONTE PISANO «» Entomoterapia gli insetti come farmaci «» Uomini e sogni «» Lab Girl «» Storia culturale del terremoto dal mondo antico a oggi «» Il filo e la trama. Riflessioni sulla didattica nelle scienze «» Una nobile follia contro la guerra e gli eserciti «» Sillabario di genetica per principianti «» Sette abbracci e tieni il resto «» Quella volta che il santo rise «»  Passato al presente Giochi fai da te «» Un pellicano racconta la sua vita «» Il fauno scomparso «» Clicco quindi educo «» La vita di Erasmus Darwin «» ITALIA coast to coast «» Atlante ornitologico di Pisa «» Dalla forma al simbolo «» L’ordine del tempo

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Evariste Gaulois

Storia sconosciuta di ÉVARISTE GALOIS, Matematico e rivoluzionario

La vita del grande matematico narrata in un libro di Fabrizio Luccio e Linda Pagli Edizioni ETS

 

Évariste Galois, vissuto all’inizio dell’Ottocento e morto in un duello poco più che ventenne, è il fondatore dell’algebra moderna anche se i matematici suoi contemporanei non compresero l’importanza dei suoi risultati. La sua fede rivoluzionaria lo pose ai margini della società causandogli problemi di ogni genere. Il suo straordinario genio matematico, la vita tormentata e avventurosa e la misteriosa morte hanno appassionato intere generazioni. Dopo il duello il corpo fu sepolto in una fossa comune. Ma se quel corpo fosse stato d’un altro e Galois fosse segretamente sopravvissuto proseguendo nei suoi studi? Il libro porta quest’ipotesi fino a estreme conseguenze.

Fabrizio Luccio e Linda Pagli sono professori di Informatica presso l’Università di Pisa. Luccio ha insegnato in diverse università del mondo, ha scritto numerosi testi universitari, alcuni libri di divulgazione scientifica e ha diretto per trent’anni un progetto dell’Unesco sulla diffusione dell’informatica nei paesi in via di sviluppo. Pagli ha insegnato informatica – e come insegnarla – in vari paesi del nord e del sud del mondo, ha scritto testi universitari e libri di divulgazione scientifica e si occupa attivamente del ruolo delle donne in informatica. Esattamente vent’anni fa Luccio e Pagli hanno pubblicato per ETS Algoritmi, divinità e gente comune, primo testo sul significato e sul ruolo degli algoritmi nella storia e nella società.

Évariste inviò infine il manoscritto a un amico matematico, Auguste Chevalier, che gli aveva promesso di pubblicarlo privatamente; e poiché Chevalier poteva prendere contatti con i massimi matematici tedeschi, lo pregò di chiedere a costoro un giudizio sull’importanza dei suoi risultati. Poi, sul far del mattino si avviò esausto verso lo stagno della Glacière luogo concordato per il duello.

Storia sconosciuta di Évariste Galois, matematico e rivoluzionario di Fabrizio Luccio, Linda Pagli in libreria dal 10 febbraio!


  

Pagine fiduciose nella scienza e nella tecnica 

Un interessante e utile libro di Roberto Pizzi

 

 

Pagine fiduciose nella scienza e nella tecnica

 

 

 

 

Già all'indomani del massimo rigoglio della storiografia positivista non furono pochi gli studiosi che percepirono tutta l'angustia di una ricerca storica solo ristretta a fatti localizzati e datati: battaglie, trattati, mutamenti di case regnanti, politici che salgono o scendono nel favore popolare, nascita di nuove istituzioni che vanno a sostituirne altre inadeguate oppure obsolete...
Un modo di intendere la storia pur utile, pur necessario ma che finiva per perdere di vista quell'insieme organico di relazioni e connessioni insieme sociali, economiche e psicologiche che "il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo" (Braudel), da studiare non solo da un punto di vista statico, ma dinamico. Una concezione della storia che, come scrive Lucien Febvre, si deve praticare utilizzando "ciò che, appartenendo all'uomo, manifesta la presenza, l'attività, i gusti e i modi di essere dell'uomo" dove uomo sta per società umana, per gruppi organizzati.
È in tale direzione, sempre feconda di nuove scoperte, che si muove Roberto Pizzi, studioso da sempre sensibile alle manifestazioni artistiche e culturali, politiche e civili della Lucca laica: un campo d'indagine teso a valorizzare presenze se si vuole minoritarie ma tutt'altro che trascurabili nel secolare processo di definizione di un'identità collettiva e di una coscienza cittadina. In queste sue pagine lo studioso toscano, con la consueta acribia, prende in esame le più importanti espressioni socioeconomiche e tecniche che nel corso dei secoli hanno contrassegnato le manifestazioni più significative della vita della comunità lucchese e delle genti finitime della Piana, della Versilia e della Garfagnana: gli aspetti visibili e tangibili della loro storia e cultura, i materiali e gli strumenti concreti della vita quotidiana, senza trascurare gli effetti della loro ricaduta nella vita collettiva e nei luoghi in cui si è affermata e organizzata la socialità.
Diviso in tre parti – Prodotti del territorio: cibi e bevande; Industria e Artigianato; Tecnica e Scienza - il libro di Pizzi è costruito per brevi saggi che, in veloci ed esaustive incursioni, studiano il punto d'impatto tra la dimensione locale e la materialità della vita quotidiana e delle attività produttive.
Nella prima parte, la sua attenzione per i celebrati "mangiari" lucchesi si insaporisce - è proprio il caso di dirlo - con la storia del vino, della birra, dell'olio, del castagno del riso del tabacco e del caffè e della loro, non sempre facile, affermazione sulle tavole e nei costumi degli abitanti della Città delle Mura e dintorni: il racconto, mai scontato e sempre agile e godibile, ricco di inedite vicende e inopinati protagonisti, di una "banalità della serenità" da praticare ancora, auspica l'Autore, il più spesso possibile sulla "base di elementi semplici e antichi, in fratellanza d'intenti" .
Oggetti della seconda sezione del libro sono: la carta e l'arte della stampa; la seta; la lana, gli altri prodotti tessili e le relative industrie lucchesi; l'invenzione del motore a scoppio di Barsanti e Matteucci e le sue conseguenze.
Più impegnativa la terza parte - Tecnica e Scienza - introdotta da un'ampia ed elaborata riflessione sui significati assunti dai due termini nel corso della storia umana e chiusa da un’ottimistica affermazione circa il valore emancipatorio di una ricerca scientifica ancora giovane eppure capace di sempre più straordinarie acquisizioni. Questo lo spirito con cui Pizzi si inoltra nel labirinto dei complessi rapporti tra "sapere" e "saper fare", contrapponendosi con tenace misura a quelle correnti regressive, manifeste e sotterranee, del recente pensiero occidentale sempre più ostili nei confronti della scienza e della tecnologia individuate come nemiche e distruttrici dell'umanità.
Per ricchezza d'informazioni, chiarezza espositiva e serena fiducia in una scienza intrisa di impegno civile e umana fraternità, anche i due capitoli finali Applicazioni scientifiche a Lucca e Storia del vaccino e della sua introduzione a Lucca, ben si connotano come modesti ma efficaci antidoti molecolari contro ogni irrazionalistica propensione ai medioevi prossimi venturi che sembrano incombere sugli abitatori di questi tormentati anni del nuovo secolo e del nuovo millennio.

 

Luciano Luciani

 

 

 

Roberto Pizzi, Conoscere Lucca. Industria e prodotti del Territorio, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2019, pp. 180, Euro 20,00

 

 

 

 

 

Roberto Pizzi svolge da anni un'intensa attività pubblicistica sui temi della storia locale, Al centro dei suoi interessi una Lucca “di minoranza”, ma non per questo meno degna di attenzione e rispetto. Collabora con numerose pubblicazioni: “Documenti e Studi” semestrale dell'Isrec lucchese, “Actum Luce” e la “Rivista di Archeologia, Storia e Costume” dell'Istituto Storico Lucchese.

 

Tra i suoi libri ricordiamo: Squadre e Compassi della Lucchesia intorno all'Unità d'Italia, mpf 2011;  La stampa lucchese dall'Illuminismo al Fascismo. Giornali, fatti, personaggi, mpf 2013;  Conoscere Lucca. Storia e personaggi, mpf 2015

 

 

 


 

Il genio delle donne. Breve storia della scienza al femminile 

Piergiorgio Odifreddi, Il genio delle donne. Breve storia della scienza al femminile, Rizzoli, 2019, pp. 283, € 18.00

 

 

Ventiquattro storie di donne – di grandi menti femminili. Per dimostrarne l’ubiquità nel tempo storico, nello spazio geografico e anche nello spettro scientifico.

 

Nel tempo storico si va da Ipazia di Alessandria (ca 360-415) a Maryam Mirzakhani (1977-2017), passando per Ildegarda di Bingen (1098-1179) e per le molte protagoniste che affollano gli ultimi tre secoli. Nello spazio geografico va segnalata l’inaspettata – per nulla conosciuta – Chien-Shiung Wu, la cui vicenda si svolge tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti d’America. Quanto allo spettro scientifico, ci si muove tra fisica, astronomia, matematica, informatica, biologia…

 

Una “faccia nascosta del mondo scientifico”: per la scienza ufficiale, che molto spesso ha disconosciuto ed emarginato queste “grandi menti femminili”; ma anche – nota Odifreddi – per gran parte delle riviste femminili (le “riviste da parrucchiera”, verrebbe da precisare) e più in generale per i media tradizionali e per i social contemporanei, che continuano a proporre come modelli femminili “ancora e sempre le top models, come nella peggior tradizione del maschilismo d’antan”.

 

Lascio ai lettori la piacevole lettura delle ventiquattro bervi biografie – che come precisa Odifreddi “non esauriscono ovviamente la lista delle grandi scienziate esistite” – per fare invece qualche considerazione sulle conclusioni del libro. Gli ostacoli all’accesso all’istruzione che fino a tempi non lontani hanno discriminato le donne sono oggi, almeno nei paesi occidentali e asiatici, superati. In questi paesi si registra addirittura un cospicuo sorpasso delle donne diplomate, laureate e dottorate rispetto agli uomini. A questo punto, tuttavia, “il tubo perde”: l’afflusso all’istruzione superiore non si traduce ancora in una parità nell’accesso ai vertici delle carriere. Secondo Odifreddi, “per una lunga serie di motivi culturali e naturali di vario tipo: sociologico, psicologico e biologico”.

 

Dal punto di vista sociologico, secondo l’Autore, “anche dove la discriminazione è ormai venuta meno, rimangono in piedi molti altri ostacoli. Ad esempio, lo stereotipo che presenta la ricerca scientifica come un’attività tipicamente maschile tende a dissuadere le donne dall’intraprenderla”. Dal punto di vista psicologico “molte donne sembrano percepire istintivamente non solo una difficoltà di conciliazione, ma anche una vera e propria incompatibilità tra la ricerca e la maternità”. Devo dare una (piccola) tiratina d’orecchi a Odifreddi su questo punto: davvero pensa che la difficoltà di conciliare ricerca e maternità sia solo una questione di “istinto” e di “psicologia”? Davvero non c’entra nulla l’organizzazione sociale? Personalmente metterei anche questo problema nel capitolo “sociologia”, senza attribuirlo per intero alla mera percezione (distorta?) delle donne. Dal punto di vista biologico “non sembrano esserci grandi differenze nelle medie delle prestazioni matematiche e verbali degli uomini e delle donne”, solo piccole differenze a favore degli uomini, ma “piccole differenze al top delle prestazioni possono provocare grandi differenze al top delle selezioni”. Anche qui mi permetto di avanzare un dubbio: davvero le selezioni sfavorevoli alle donne dipendono da problemi biologici? Gli stereotipi culturali non c’entrano per nulla e non influenzano i selezionatori?

 

C’è un punto delle conclusioni che mi trova invece pienamente d’accordo. Scrive Odifreddi: “La rimozione degli ostacoli sociologici che vengono frapposti alle donne nella scienza porterà dunque nel tempo a un sostanziale aumento del numero di scienziate nelle carriere e nei riconoscimenti. Ma rimarrà probabilmente un residuo di ostacoli psicologici alla parità, alla luce del fatto che molte donne continueranno a non essere interessate al perseguimento di posizioni dirigenziali o di lavori accademici che pretendono un totale coinvolgimento emotivo o mentale, oltre a un orario di lavoro di ottanta ore settimanali”. Ma si tratta davvero di un limite? Non sarà invece – si chiede Odifreddi – una preziosa lezione “più da elogiare e imitare, che da criticare e rimediare”? Sarebbe davvero il caso di “domandarci se posizioni o lavori […] che richiedono un tale livello di intensità e dedizione siano aspirazioni sensate da avere in assoluto: non soltanto per le donne, ma anche per gli uomini”. Domanda davvero non banale e saggia conclusione di un bel libro.

 

 

 

Maria Turchetto

 

 

 


 

 

Una volta qui era tutta campagna. Ponte a Egola. Un'epica minima 

Una volta qui era tutta campagna Ponte a Egola: un’epica minima di Giovanna Baldini

 

 

 

Memorie autobiografiche dalla Toscana profonda

 

 

 

Memorie autobiografiche che ci giungono dal secolo scorso e dalla Toscana profonda, le pagine del libro Una volta qui era tutta campagna Ponte a Egola: un’epica minima, appena pubblicato per i tipi della casa editrice pisana ETS. Le ha scritte, secondo un apprezzabile registro piano e cordiale, Giovanna Baldini, bambina negli anni Cinquanta del Novecento, intingendo i suoi pennini negli inchiostri indelebili degli affetti familiari e amicali: ed è merito dell’Autrice aver saputo mantenere lo sguardo limpido e curioso di allora e di essere, ancora oggi, disponibile a stupirsi dei racconti di nonno Pietro, delle fole di zia Marietta o delle leggende “di paura” che tanto la inquietavano nei giorni dell’infanzia.

 

Quando “qui era tutta campagna” il mondo si presentava più semplice e più povero, ma non per questo peggiore, anzi! Si era usciti da poco da una guerra tragica che aveva sfigurato il volto del nostro Paese e gli animi degli uomini e i giovani di allora, tra loro anche i genitori dell’Autrice, seppero trovare le risorse di orgoglio, coraggio e tenacia necessarie per risalire la china e creare le premesse per una stagione di straordinarie conquiste economiche, sociali e di civiltà molte delle quali, per fortuna, resistono ancora nei nostri anni complicati e difficili. In maniera forse ingenua e disordinata, ma sempre generosa e capace di futuro, un formidabile processo di trasformazione investirà l’Italia e anche Ponte a Egola, frazione di San Miniato, in provincia di Pisa proprio sul limitare di quella di Firenze. Anche qui, una piccola comunità legata alla terra e ai suoi ritmi, così lenti da sembrare immutabili, conoscerà invece un’accelerazione e uno sviluppo straordinari, cambiandosi in pochi anni in una piccola capitale dell’industria conciaria, i cui prodotti saranno apprezzati sui mercati nazionali e internazionali. L’Autrice ci racconta quei veloci mutamenti e la loro ricaduta sul terreno della mentalità e dei comportamenti, del costume e della vita di relazione: un mondo nuovo che urgeva, batteva alle porte e faceva i conti col vecchio. La modernità si confrontava, a volte duramente e senza sconti, con la tradizione e insieme l’una e l’altra cercavano di ricomporre un equilibrio non sempre facile. Cambiavano le attività, i mestieri, le figure sociali, il paesaggio e quel lembo di regione si trasformava in quella “Toscana brutta” lamentata in una ossimorica definizione da Enzo Carli, illustre storico dell’arte pisano. Forse tale, ma certo operosa, intraprendente, attiva come trapela da questo racconto di una vicenda familiare che è insieme scrittura privata e politica, personale e sociale. Attenta, e questo è un altro dei non pochi meriti del libro, alla evoluzione della condizione femminile: a come quelle ragazzine, figlie di indomite staffette partigiane e impavide militanti comuniste  che diffondevano “L’Unità” e “Noi Donne” nonostante Scelba e la Celere, seppero crescere e porre le basi per diventare negli anni a venire donne autonome e consapevoli dei diritti e dei doveri, cittadine impegnate e protagoniste di una storia in gran parte ancora tutta da scrivere.

 

 

 

Luciano Luciani

 

  

 

Giovanna Baldini, Una volta qui era tutta campagna. Ponte a Egola. Un’epica minima, prefazione di Lia Marianelli, Edizioni ETS, Pisa 2019

 

  

 

Giovanna Baldini, nata a Ponte a Egola negli anni “poveri ma belli”, vive a Pisa.

 

Docente di lettere nei licei, è impegnata in attività di volontariato carcerario.

 

Insieme a  Vittoria Carla di Bari, Maria Letizia Verola ha curato la pubblicazione di Incontro con la legalità, La Grafica Pisana, 2010. Con la casa editrice ETS di Pisa ha pubblicato Ricette al fresco Gli 85 modi per cucinare nel carcere di Pisa; sempre con Ets nel 2015 Il tartufo Un diamante sporco di terra; nel 2014 per le edizioni Helicon insieme a Cristiana Vettori Il gusto giusto 100 ricette al sapore di legalità, libertà e democrazia.

 

 

 


 

 

 La coppia oggiLa coppia, oggi

 

In un libro l'analisi del rapporto a due nell'epoca dell'individualismo affettivo

 

 

Cos’è la coppia al giorno d’oggi? Siamo ancora condizionati dal mito del possibile incontro con la propria anima gemella, per cui ricerchiamo affannosamente questa completezza in un incontrollato desiderio di fusione, oppure viviamo da intimi estranei in una relazione “a tempo”, nel disincanto affettivo per non perdere la nostra libertà? Un’ambivalenza che oscilla tra completa dedizione e disimpegno emotivo, tra ricerca di autenticità e solitudine, oscurando la nostra capacità di riflessività nel costruire una possibile e duratura unione a due. Il volume intende offrire una panoramica esauriente dei principali cambiamenti nei sentimenti e nei legami amorosi, nella nuova cornice, dai confini incerti, della parità tra i generi; restituendo la ricchezza delle diverse letture attraverso un’analisi critica dei contributi più significativi della sociologia contemporanea.

Rita Biancheri è professoressa associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano gli studi di genere e le pari opportunità nella famiglia e nei luoghi di lavoro. In quest’ambito ha coordinato il progetto europeo TRIGGER (Transforming Institutions by Gendering contents and Gaining Equality in Research) ed è autrice di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali. Per ETS sullo stesso tema ha scritto il volume Famiglia di ieri, famiglie di oggi. Affetti e legami nella vita intima (2012).

Dal libro. Infine, i conflitti emergono in tutta la loro intensità perché diviene evidente che il partner è portatore di una serie di dissonanze e di peculiarità che mal si conciliano con le esigenze dell’altro e che, spesso, mettono in serio pericolo il futuro stesso della coppia. Alle singole individualità si aggiungono quindi due modi diversi d’intendere e vivere il rapporto a due.

L’epoca dell’individualismo affettivo. Come cambiano le dinamiche di coppia di Rita Biancheri,
Collana: sociologica (4); pp. 160, euro 15,00.

 

 

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II tesori del monte pisano animali II tesori del monte pisano piante e funghi

Silvia Sorbi e Patrizia Scaglia “I TESORI DEL MONTE PISANO” Volume I Gli animali e Volume II Le piante e i funghi. Pagine 144, Pacini editore Pisa. Cm 16,5x 24. ISBN I volume: 9788869954993 (2018). ISBN II volume: 9788869956270 (2019).

 

"I tesori del Monte Pisano" è un progetto editoriale del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, che consiste in una trilogia di gioco-guide dedicata alle ricchezze naturalistiche delle aree protette del Monte Pisano. Il primo volume (I edizione 2012, II edizione 2018) è dedicato agli animali. Il secondo volume (I edizione 2014, II edizione 2019) è dedicato alle piante e ai funghi. Il terzo volume, in preparazione, sarà dedicato alle rocce, ai minerali e ai fossili. Le gioco-guide sono realizzate con un linguaggio scientifico estremamente chiaro e semplice in modo tale da essere accessibili a tutti e da essere così uno strumento pratico e utile per promuovere e diffondere la conoscenza, la tutela e il rispetto degli ambienti naturali. Inoltre, non sono un semplice manuale da consultazione, bensì uno strumento di guida che trasforma l'escursione in un gioco di osservazione, scoperta e contatto per esplorare divertendosi le aree protette del Monte Pisano.

Le guide, infatti, contengono numerose schede illustrate dedicate agli animali, alle piante e ai funghi del Monte Pisano, a ciascuno dei quali è assegnato un punteggio che varia in base alla rarità o alla difficoltà di avvistamento.

In linea con la filosofia del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa di un apprendimento attivo attraverso il gioco e il contatto diretto con la natura, le gioco-guide sono state utilizzate anche come strumento educativo in alcune attività. Proprio in questo ambito è stato sperimentato l’uso di carte-gioco a corredo delle pubblicazioni. Il riscontro positivo di studenti e docenti ha portato alla realizzazione di due veri e propri mazzi di carte-gioco, in esclusiva al bookshop del Museo, da abbinare alle gioco-guide per scoprire, attraverso divertenti giochi a punti, la natura del Monte Pisano in qualsiasi giorno e in qualsiasi luogo!

Il progetto editoriale si completa sul web con due spazi dedicati a ulteriori informazioni e approfondimenti:

https://www.msn.unipi.it/it/sos-museo/

https://www.facebook.com/itesoridelmontepisano/

 

 

Silvia Sorbi (Lucca 1979) è una naturalista, paleontologa e guida ambientale escursionistica che lavora presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa dal 2008 occupandosi di educazione ambientale, progettazione e realizzazione di attività educative per bambini e adulti, divulgazione scientifica, promozione e valorizzazione del Museo e del territorio.

 

Patrizia Scaglia (Venezia 1982) è una naturalista, illustratrice e guida ambientale escursionistica che lavora presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa dal 2010 occupandosi di educazione ambientale, progettazione e realizzazione di attività educative per bambini e adulti, divulgazione scientifica, comunicazione, promozione e valorizzazione del Museo e del territorio.

 

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entomoterapia

Stefano Turillazzi ENTOMOTERAPIA Gli insetti come farmaci MEFISTO pagine 120, ill. ETS editore Pisa cm.14x21,  2019 ISBN: 9788846755674

 

L’entomoterapia è l’uso di Artropodi (in modo particolare Insetti) o di loro prodotti per la cura di varie malattie; affonda le sue radici nella notte dei tempi e si ritrova nelle tradizioni di molti paesi come parte integrante di quella che viene definita etnomedicina. Dell’entomoterapia fa parte la più conosciuta apiterapia, molto utilizzata anche nei paesi occidentali. Recentemente rimedi entomoterapici hanno iniziato ad essere sempre più considerati dalla medicina ufficiale e numerose sono le ricerche scientifiche effettuate su farmaci (specialmente derivati dalla medicina tradizionale cinese) che vedono come loro principale componente parti di insetti o loro prodotti. Tra questi, il veleno di varie specie ha, in modo particolare, attirato l’attenzione dei ricercatori e le sostanze con attività farmacologica che sono state ricavate da questa secrezione assommano a varie centinaia. Questo libro si propone di presentare un panorama, seppur limitato, delle pratiche entomoterapiche oggi in uso, con la speranza che le importanti indicazioni date dalla medicina tradizionale siano sempre più oggetto di approfondimento da parte della ricerca scientifica. Il milione e più di specie di Artropodi presenti sul nostro pianeta rappresenta, infatti, una fonte inesauribile di sostanze con attività farmacologica di cui si comincia, solo da poco, a comprendere le enormi potenzialità.

 

Stefano Turillazzi è professore di Zoologia in pensione dell’Università di Firenze. Entomologo e sociobiologo ha fatto ricerche per più di quaranta anni sulla biologia degli insetti e sulle loro strategie difensive studiando in un primo tempo le vespe del genere Polistes ed espandendo poi i suoi interessi su altre vespe ed insetti sociali. Di questi ha studiato anche le caratteristiche del veleno e di altre secrezioni difensive occupandosi in particolar modo dell’azione antimicrobica di alcuni composti e dell’immunità sociale delle colonie. La sua allergia alla puntura di Imenotteri lo ha portato ad interessarsi alle reazioni allergiche sviluppate da alcuni individui al veleno e ad occuparsi, dal punto di vista entomologico, della cosiddetta immunoterapia specifica. Riguardo alle problematiche di queste terapie ha partecipato all’organizzazione di varie scuole per medici allergologi e a vari congressi delle società del settore. È autore di oltre duecento pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali e di libri in lingua italiana ed inglese sugli insetti sociali. È membro ordinario dell’Accademia Nazionale Italiana di Entomologia e socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Per ETS ha pubblicato nel 2018 Le politiche degli insetti. Incontri e scontri con gli insetti sociali.

 

 

 

 

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Uomini e sogni

 Uomini e sogni

 

Vincenzo Marsili, Uomini e sogni, collana Itinerari del sapere, Alpes editore, Roma 2019, pp. 102, Euro 12,00

 

I sogni. Materiale irrazionale, sedimento disordinato della vita diurna, sempre considerata come la sola vera, o dati illuminanti per aprire la strada alla conoscenza? Possono, i sogni, essere usati come strumento di liberazione dalla memoria dell’orrore, dalla dipendenza, dalla soggezione agli altri o alle proprie ossessioni? Sono capaci di contribuire a salvarci dalla infelicità, dall’inverno dello scontento, dalla tristezza?

È la linea di ricerca del dott. Vincenzo Marsili, psicologo analitico presso gli ospedali di Pisa e Lucca, nel suo ultimo libro, Uomini e sogni, Alpes 2019, che, approfondendo dieci casi clinici di pazienti variamente segnati dall’esperienza del “dolore dentro”, racconta come essi siano tornati a vivere un’esistenza più degna proprio grazie ai loro sogni. “Attraverso la semplicità della narrazione”, scrive l’Autore, “ho cercato di far intravvedere i problemi molto complessi posti dalla psicoanalisi e dalla ricerca filosofica riguardo alla problematica del sognare e al suo rapporto con la vita”. Per Marsili i sogni sono veri e propri fatti di vita compresi e operanti in maniera attiva dentro l’esistenza di chi soffre: essi  non imbrogliano, non mistificano, non rappresentano un travestimento d’altro, ma dichiarano il loro enunciato con la massima chiarezza possibile proprio quando l’io, distratto o disorientato dalle emozioni, vede confondersi le tracce, non capisce oppure non conosce. E tocca all’analista riconsiderare i sogni. Per comprenderli con maggiore intelligibilità, chiamando in aiuto anche altri dati a disposizione: ulteriori materiali onirici, le memorie personali e familiari, le associazioni libere... Solo così sarà possibile afferrarne tutta la ricchezza e la complessità altrimenti destinata a rimanere fuorviante, opaca e confusa.

Scritto in un linguaggio semplice, diretto, comunicativo, Uomini e sogni prescinde dagli specialismi di tanta letteratura scientifica e opta per un taglio narrativo che rende le sue pagine capaci di rivolgersi sia agli psicoterapeuti e ai pazienti in terapia, sia agli amanti della ricerca filosofica e ai lettori appassionati di racconti. Tutti i Lettori, poi, non potranno che apprezzare l’umanissima empatia con cui l’analista del libro sente dentro di sé la profonda sofferenza interiore dei suoi interlocutori, la raccoglie e la elabora per costruire un comune percorso di scoperta e conoscenza. Perché davvero, come afferma Shakespeare nella Tempesta, “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.

 

Luciano Luciani

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Lab girl

Hope Jahren Lab Girl La mia vita tra i segreti delle piante Codice edizioni, Torino 2018

  

 La “ragazza di laboratorio” è Hope Jahren, geobiologa americana che attualmente insegna all’università di Oslo. Ha finora dedicato la sua ricerca agli alberi e alla Terra che li ospita e questa è la sua autobiografia appassionante, divertente, intima.

Le storie raccolte nel libro raccontano la curiosità, le intuizioni, il lavoro paziente e tenace necessari per scoprire come le piante funzionano, ma un libro non è semplicemente “un insieme di storie”, come Jahren scrive. E qui c’è un piacevole intreccio di concetti e informazioni di Biologia comunicati con grande semplicità e chiarezza, di vita universitaria e di laboratorio, di considerazioni personali, di vita famigliare, che trattengono chi legge di pagina in pagina.

L’autrice ci accompagna dalla sua infanzia in una piccola città del Minnesota, dove, giocando nel laboratorio dell’università gestito da suo padre, “sotto i banchi fino a quando non fui grande abbastanza per giocarci sopra”, impara la meraviglia delle scienze in modo naturale, con gli occhi ben aperti, toccando, parlando e pensando come fanno i bambini. E’ lì che decide di diventare una scienziata e che il laboratorio sarà per lei un posto sicuro dove stare, dove potrà continuare ad essere “la bambina che è in me”.

Studia all’università del Minnesota, facendo tanti lavori diversi per arrotondare la borsa di studio. Poi ci sono i numerosi viaggi sul campo e il lavoro in università diverse, dal Midwest alla Norvegia, dall’Irlanda al Polo Nord e alle Hawaii. E con il supporto irrinunciabile del collega ed amico Bill, ogni volta attrezza e conduce un nuovo laboratorio per ricercare intorno a domande come:

Perché crescono o non crescono le piante?

Come fanno?

Quando?

Quanta acqua assorbono dal suolo?

Hanno memoria, ma come funziona?

In ogni capitolo c’è qualche pagina dedicata ad una struttura o ad una funzione delle piante, con linguaggio e argomentazioni di grande chiarezza. A proposito delle radici… “Nessun rischio è più terrificante di quello che corre la prima radice…Una volta spuntata la prima radice, la pianta non avrà mai più nessuna speranza, ancorchè flebile, di potersi spostare in un luogo meno freddo, meno secco, meno pericoloso…. La radice spinge verso il basso prima che cresca il germoglio, e non c’è quindi possibilità che il tessuto verde produca nuovo nutrimento per diversi giorni o addirittura settimane…. Bisogna scommettere il tutto e per tutto, e perdere significa morire. Le probabilità di successo sono meno di una su un milione…”. Chi a suo tempo ha letto con piacere “La mia famiglia e altri animali” di Gerald Durrel, si lascerà coinvolgere di buon grado da questo nuovo diario di vita e di scienza.

Jahren parla apertamente del disturbo bipolare che da sempre l’accompagna e del rapporto con sua madre che non l’ha certo aiutata. Il racconto della sua vita, lascia trasparire fra le righe la capacità e la forza di trasformare un problema in un’opportunità, pur in un contesto di lavoro non certo facile per la ricerca di base, come si sarebbe portati a pensare di un paese come l’America.

 

Maria Castelli

 

Una breve intervista all’autrice, scelta fra le tante in rete:

https://www.youtube.com/watch?v=BAiNfuNoGgQ

 

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Storia culturale del terremoto dal mondo antico a oggi

Emanuela Guidoboni, Jean-Paul Poirier Storia culturale del terremoto dal mondo antico a oggi Universale Rubettino

 

Per la prima volta è delineata la storia culturale del terremoto, in un percorso che dalle antiche civiltà mediterranee conduce fino ad oggi. Perché ancora rovine alle soglie del terzo millennio? Le domande, le interpretazioni, le scelte che si sono susseguite attorno al terremoto parlano delle paure, del peso sociale ed economico delle distruzioni e della fatica delle ricostruzioni. Il pensiero teorico sul terremoto, per due millenni incardinato nella spiegazione di Aristotele e nelle sue varianti, ha avuto certezze e dubbi, in una secolare dipendenza da visioni religiose, poi affrancato fra inquietudini e tragici conflitti.
Numerosi testi di fonti, qui selezionati con cura esperta, sono fruibili come veicoli di conoscenza diretta per intravvedere universi mentali del passato. Questo viaggio nel tempo è scandito dal succedersi di grandi terremoti accaduti nel mondo e in Italia, seguendo il filo rosso delle risposte sociali, politiche e culturali, le cui tracce gettano una luce nuova sui problemi del presente, in una affannosa contiguità.

Bologna 2 dicembre 2019 ore 15, Sala Ulisse, via Zamboni 31 Classe di Scienze Fisiche
Presentazione del libro di Emanuela Guidoboni e Jean-Paul Poirier
STORIA CULTURALE DEL TERREMOTO dal mondo antico a oggi (Rubbettino 2019

Introduce il Presidente dell’Accademia, prof. WALTER TEGA
Presiede la Vicepresidente prof. RITA CASADIO
Ne discuteranno con gli Autori :
prof. FRANCO FARINELLI, ordinario di Geografia della Comunicazione
prof. GIAN BATTISTA VAI, Accademico Benedettino emerito

 

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il filo e la trama 

Eleonora Aquilini Il filo e la trama. Riflessioni sulla didattica nelle scienze PM edizioni 2018, 198 pagine, EAN: 9788899565787

 

Un libro e molto altro

 

 

 

Trasferiamo in questa sezione la recensione del libro di Eleonora Aquilini, Il Filo e la Trama, per l’ampiezza e la varietà dei temi trattati, che ne fanno un utile contributo alla riflessione non solo sul libro, ma più in generale sulla didattica delle scienze.

 

“C’è un filo che sta nelle storie che conosciamo da sempre: è quello che Arianna dà a Teseo, che permette di sconfiggere il Minotauro. La storia ci affascina perché è un filo che fa uscire dal caos e consente di orientarci”. Così inizia il Filo e la Trama di Eleonora Aquilini che, come si legge nel sottotitolo, propone una riflessione sulla didattica nelle scienze. E prosegue: “Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenza, reti di relazioni che tengono uniti, che danno senso”. Ecco, questo è proprio ciò che fa questo volume: dare valore al lavoro degli insegnanti.

 

L’autrice [1]  propone una riflessione sulla didattica delle scienze, e della chimica in particolare, fornendo le coordinate per orientarsi nella professione insegnante attraverso una raccolta di suoi articoli scritti fra il 2001 e il 2018.
I suoi contributi sono ampi, coerenti e organizzati in cinque parti che approfondiscono i temi concernenti gli adolescenti, la classe, il linguaggio, i processi psicologici - verso i quali mostra uno spiccato interesse - e l’insegnamento scientifico. È proprio l’insegnamento scientifico il nucleo tematico attorno al quale ruotano tutte le riflessioni dell’autrice, perché: “Imparare le scienze non è naturale, fondamentalmente perché la rete di senso che sostiene i concetti che apprendiamo nella vita quotidiana ha caratteristiche diverse da quella che sorregge la conoscenza scientifica”.
Questa affermazione, sono certo, trova d’accordo tutti i docenti di scienze di qualunque ordine e grado, ma, conoscendo il peso della tradizione nell’insegnamento delle scienze, la didattica che poi molti praticano non va nella direzione di rendere “naturale” l’insegnamento scientifico. La scuola ha un’enorme massa inerziale e spostarla dal proprio movimento rettilineo uniforme è molto difficile, infatti, come sostiene l’autrice: “La resistenza al cambiamento nei modi di insegnare nella scuola media superiore è eroica” e a questa considerazione se ne aggiunge subito un’altra che si lega strettamente: “…la causa degli insuccessi dei nostri alunni è sempre considerata esterna, estranea al nostro modo di insegnare”.
Il peso del sapere accademico schiaccia la scuola preuniversitaria che spesso si trova a ripercorrere gli stessi sentieri, semplificati e banalizzati, tracciati dai manuali universitari. La mancanza di riflessione diffusa nella scuola italiana su cosa insegnare agli studenti più piccoli e a quelli più grandi, ha come conseguenza “il salto di passaggi essenziali dal punto di vista del significato e il risultato è un collage di parole chiave con ‘ponti’ logici solo grammaticali”.
Nel testo si chiariscono i differenti approcci che meglio si adattano alla scuola di base e agli studenti della secondaria di secondo grado: un procedimento induttivo, che si rende concreto nella costruzione di definizioni operative per gli studenti più piccoli, e, quando andando avanti nel curricolo le definizioni operative non sono più sufficienti e il procedere non può più essere induttivo, una riflessione storica ed epistemologica per portare gli studenti a comprendere come è stato possibile formulare una nuova teoria.

 

Il testo è denso di riflessioni che permettono al docente ricercatore, una specie purtroppo rara nella nostra scuola, di trovare la strada per costruire percorsi didattici che accompagnino gli studenti verso apprendimenti efficaci. “Similitudini, metafore, allegorie e modelli scientifici” è il titolo del capitolo che in compagnia di Jorge Luis Borges e di Italo Calvino, permette di tracciare un parallelo fra la similitudine, la metafora e l’allegoria e i tre modi di rappresentare la realtà di Jerome S. Bruner: l’esecutivo, l’iconico e il simbolico. Questo parallelismo non può essere ignorato da chi insegna scienze, infatti “Riflettendo su quello che apprendono alunni di 14-15 anni, pensiamo che l’introduzione precoce di modelli produca una confusione fra realtà e il modello stesso, anzi una sostituzione della realtà con il modello”, e questo non è privo di conseguenze nefaste poiché “… i modelli diventano allegorie di cui si è persa la chiave interpretativa […] che permette di ristabilire la similitudine.
Così per alunni di 14 anni il panettone con le uvette è l’atomo di Thomson, e i modellini fatti di asticciole e palline sono le molecole e così via”. Tanti, troppi libri di testo, in ambito scientifico e tecnologico, pongono il mondo microscopico alla base di una comprensione del mondo macroscopico, come se, fornite alcune informazioni su elettroni, atomi, molecole, gli studenti, anche i più piccoli potessero spiegarsi il mondo macroscopico. Siamo nuovamente al “collage di parole chiave con ‘ponti’ logici solo grammaticali” e a un dogmatismo che fa passare la voglia “di sapere e di comprendere”. E come potrebbe essere altrimenti se, come evidenzia l’autrice, nei libri c’è spazio principalmente per definizioni che presentano le sole conclusioni del lavoro degli scienziati e trattano la scienza come una disciplina astorica.

 

Il mondo scolastico di Eleonora Aquilini non è fatto soltanto di riflessioni storiche ed epistemologiche, ma contiene un vissuto che è abitato dai suoi studenti, da Paolo, Giulia, Luca, Mirco, Nicolas, Gigi, Feyza, Mesut, Boris, Thomas, Alex (un alunno terribile), e da tanti altri che hanno interessi “da un’altra parte”. Nel loro cammino professionale i docenti possono incontrare classi difficili e difficilissime ma aldilà delle tante strategie che si possono e si devono mettere in atto, dalla lettura del testo si comprende che la via maestra di avvicinarsi a Paolo, Giulia, Luca e a tutti gli altri, è quella di seguire “percorsi d’insegnamento che costruiscano dei significati accessibili, che siano una base per un sapere successivo”.

 

Dal testo emerge con chiarezza l’importanza delle relazioni umane, della necessità di prendersi cura degli studenti e, se il lavoro del docente è “passione” e non “routine”, allora l’insegnamento necessità della narrazione, poiché “Le discipline hanno infatti una loro razionalità che insegna ad essere razionali” e “la razionalità delle discipline scientifiche deve passare attraverso la narrazione, strettamente connessa all’interpretazione, prima ancora che con la spiegazione”. L’insegnante sta al centro di una complessità che ha molti punti focali quando, fra le altre cose, adatta gli apprendimenti alle età degli studenti, ma non tutti gli insegnanti “arruolati” ne sono consapevoli.

 

Pur presentando una raccolta di articoli, il tratto distintivo del volume è quello di costruire un flusso narrativo, talvolta autobiografico, che esplora il rapporto fra la didattica della scienza e tutte le altre condizioni al contorno: i libri di testo, la formazione universitaria dei docenti, il Consiglio di Classe, gli adolescenti e la classe. Prendendo spunto dal testo, si deve concludere che purtroppo in quasi vent’anni di riflessioni poco è cambiato. La dittatura dei libri di testo è sempre presente, così come l’insegnamento enciclopedico e rigidamente tecnico. Gli studi universitari che non permettono di acquisire una cultura ampia e storicizzata sono un altro dei vincoli che condiziona la professione docente e le tante conoscenze che sono essenziali per il ricercatore universitario, diventano un vincolo per il docente. Se poi il docente insegna nella scuola secondaria, allora pedagogia e didattica sono anche un fastidio di cui è necessario liberarsi. Pochi sono, allora, i docenti che trasformano radicalmente il modo di insegnare. 

 

Il libro di Eleonora Aquilini è sempre appassionato, anche quando tratta di un mago della scienza come Richard P. Feynman. Il famoso premio Nobel, in un suo viaggio in Brasile, mise all’indice l’insegnamento nozionistico fornito agli studenti universitari brasiliani, basato su una didattica priva di significato e fondata su definizioni puramente verbali. Questo non è un problema della sola società brasiliana, anche le nostre moderne comunità democratiche hanno necessità di una scuola con effettive capacità educative, soprattutto quando, come si puntualizza nel libro, l’istruzione si rivolge alle fasce più povere che hanno l’esigenza di compiere un salto nel livello d’istruzione. È dunque necessario lavorare sul curricolo, ma piuttosto che riflettere sul curricolo “si preferisce improvvisarsi psicologi e psicoterapeuti”. È evidente che una riflessione sul curricolo non è banale, sarebbe stato necessario avviare i laboratori di ricerca e sperimentazione didattica, ma come correttamente afferma l’autrice, questi nella scuola superiore non esistono, e così si continua a pensare che sia sufficiente motivare gli alunni senza una reale ristrutturazione dei temi da trattare, poiché “Mettere in discussione la disciplina che abbiamo studiato significa mettere in discussione noi stessi, quello che sappiamo, quello che siamo”. Ponendosi in questa ottica il testo fa comprendere come per il docente di chimica la “molecola” sia più importante dell’effettiva capacità di astrazione degli studenti.

 

Nelle ultime pagine sembra avvertirsi lo scoraggiamento di una docente che tanto si è impegnata sul fronte dell’insegnamento scientifico e che si sente un po’ come quei viandanti che non “hanno il coraggio” di andare oltre, ma subito prevalgono la passione e l’amore per la scuola e le ultime righe sono dedicate ad altri viandanti che hanno trovato la via e che operano quotidianamente affinché i loro studenti sviluppino intelligenza, spirito critico e iniziativa. Il percorso non è facile ma questo libro permette a tutti noi, docenti-viandanti che camminiamo nella scuola, di trovare o di ritrovare la strada.

 

 Leonardo Barsantini

 

 

 

 

Docente di chimica nella scuola secondaria di secondo grado, ma attiva anche nel Gruppo di Ricerca nella Didattica delle Scienze del CIDI e nella Divisione Didattica della Società Chimica Italiana, oltre che curatrice della rubrica "il filo e la trama" su questa rivista, da cui provengono anche alcuni dei contributi raccolti nel volume

 

 

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Una nobile follia contro la guerra e gli eserciti

150 anni fa, Una nobile follia contro la guerra e gli eserciti

Il primo romanzo antimilitarista nella storia letteraria dell’Italia unita

 

Alto, stralunato, la lunga barba incolta, gli abiti perennemente stazzonati. Povero come poteva esserlo soltanto un giovane poeta della bohème milanese negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia. Si chiamava Iginio Tarchetti (San Salvatore Monferrato 1839 – Milano 1869) e per vivere scriveva racconti e romanzi pubblicati a puntate sulla stampa d’opposizione dell’epoca.  Oggi di questo letterato si ricordano più le stranezze che i versi o le pagine in prosa. I suoi rari biografi raccontano della sua vita nel capoluogo lombardo, romanticamente dissipata; dei suoi amori tormentati e, negli ultimi anni della sua breve esistenza,  della sua fissazione: girare per i viali dei cimiteri milanesi, attività che lo aveva reso familiare a custodi e becchini, tutto preso nella lettura delle lapidi tombali. Per non parlare del vezzo che aveva di presentarsi agli appuntamenti “con i topi bianchi che erano la sua passione: gli sbucavano fuori dalle tasche o gli si fermavano incantati sulle spalle, le orecchie tese come conigli” (Schettini).

A un personaggio così eccentrico e bizzarro dobbiamo il primo romanzo antimilitarista della  letteratura dell’Italia unita, pubblicato in assoluta controtendenza rispetto al senso comune del suo tempo, quando erano ancora caldi gli ‘eroici furori’ risorgimentali. In un paese tanto malamente organizzato e socialmente ingiusto quanto impegnato a celebrare  l’epopea della propria unità, Una nobile follia del Tarchetti, apparso in appendice  sul giornale “Il Sole” in ventisette puntate tra il novembre 1866 e il marzo 1867, si propose fin da subito come vero e proprio incunabolo dell’ideologia pacifista proprio negli anni in cui l’esaltazione patriottica si trasformava in vieto nazionalismo. Suo obiettivo polemico il militarismo e di conseguenza l’esercito.

Il romanzo racconta la storia di Vincenzo D., giovane colto e sensibile, amante della natura e dell’arte, innamorato della propria donna, incapace di violenza, che viene chiamato a prestare il servizio militare: “Incominciò la mia notte: notte immensa, tenebrosa, terribile… Fui soldato. Questa parola esprime tutto. Affetti, memorie, doveri, aspirazioni, diritti, indipendenza, dignità conculcata – assoldato, tenuto a soldo, venduto”.

Nelle esperienze della vita militare del protagonista l’assimilazione dolorosa e forzata della disciplina coincide con il progressivo annullamento della propria personalità: “così si uccide un uomo e si forma un soldato, - la nazione lo tollera, vi ha di più, la nazione applaude, illusa come un fanciullo insensato alla vista dei pennacchi azzurri, delle sciabole lucide, e del suono delle trombette: i pochi onesti fremono e tacciono”.

Ridotto a una macchina per uccidere, Vincenzo parte per la guerra, quella di Crimea (1852 – 1855) e il 16 agosto 1855 partecipa alla battaglia del fiume Cernaia. Tarchetti descrive questa vicenda bellica, che nei manuali di storia viene ancora oggi presentata come ‘strategica’ nella politica estera cavouriana di inserimento del piccolo regno di Sardegna nella grande politica europea, come quello che in realtà fu: un macello, un massacro crudele e insensato, privo di ogni elemento eroico ed estetico. Lo scrittore non tace nulla al lettore, insistendo, anzi, sugli aspetti più macabri, ripugnanti di quello scontro armato: “Allora viene emanato un ordine terribile: - innalzare una trincea di cadaveri. - Ci accingiamo unanimi e impazienti a questo lavoro. I cavalli feriti o morti sono trascinati pel campo e collocati d’innanzi alle nostre linee, i corpi dei russi e dei sardi sovrapposti ad essi, e disposti a larghi strati incrociati; noi li cerchiamo frettolosi per la pianura, e non abbiamo tempo a riconoscere se non sieno ancora spirati… Noi ci collochiamo dietro quel vallo di carne; ci afferriamo ai capelli o ai piedi dei morti, e spariamo contro il nemico, spingendo le nostre carabine negli spazi esistenti tra l’uno e l’altro cadavere”.

Nel feroce corpo a corpo successivo all’ultima carica della cavalleria russa contro lo schieramento sardo, Vincenzo D. colpisce mortalmente un nemico, un giovane ufficiale polacco di sentimenti patriottici e liberali, e assiste alla sua agonia: “- Oh vivi - esclamai gettandomi sopra di lui - vivi -; e prorompendo in lacrime, tentai di abbracciarlo, quasi avessi potuto infondergli con quell’amplesso la vita giovine e vigorosa che ardeva in tutte le mie fibre. Ma a mezzo atto me ne trattenni: egli aveva richiusi gli occhi, e il sangue gli usciva in maggior copia dalla ferita, fui atterrito: dopo un istante incominciò a delirare…”. Una terribile esperienza che favorisce la fuga dal campo di battaglia, la diserzione del protagonista a cui dopo la perdita della donna  amata non resterà che la pazzia e il suicidio.

La pubblicazione di Una nobile follia suscitò sensazione e scandalo e valse al suo giovane autore una certa fama, sia pure ‘maledetta’. Tarchetti divenne agli occhi di settori minoritari, ma importanti, di opinione pubblica italiana il “corifeo di una battaglia contro il conformismo e la tradizione più gretta rappresentata dall’istituzione militare in nome di un ideale umanitario, ideologicamente imprecisato, ma ricco di una forte carica suggestiva, proprio in quanto, al tramonto dell’epopea risorgimentale, dopo Lissa e Custoza, rimetteva in discussione quello che era stato considerato uno degli elementi fondamentali della riscossa nazionale” (Ghidetti).

Nello stesso anno della pubblicazione di Una nobile follia in forma di libro (1869), Iginio Tarchetti lasciava questo mondo.

 

Luciano Luciani

 

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sillabario di genetica

Guido Barbujani, Sillabario di genetica per principianti, Bompiani 2019, pp.272, € 18

 

nei 280 caratteri di un tweet non è possibile sviluppare un ragionamento scientifico

  

Si intitola “sillabario” e si rivolge a “principianti”: in realtà non è un libro semplice. E non perché non sia chiaro: perché è completo, per quanto può esserlo un testo divulgativo. È per principianti, non per orecchianti. Non concede scorciatoie.

Orecchiare è un vizio endemico nell’era di internet. Con internet godiamo di un accesso vasto, facile e gratuito al sapere, ma si tratta di un’informazione frammentata e poco controllata. Internet ci ha abituati ad accontentarci di una conoscenza piuttosto superficiale, fatta di pezzetti, sunti, sintesi, pillole, memi.

Già, i memi. Quando Richard Dawkins (Il gene egoista, 1976) se ne venne fuori con questa trovata dei memi, intesi come unità culturali minime capaci di propagarsi e replicarsi con lievi variazioni nei cervelli umani in modo analogo ai geni, pensai che fosse una sciocchezza. Certo, per l’orlo dei pantaloni o il modo di piegare i tovaglioli sarà anche così, ma la cultura e la conoscenza sono un’altra cosa: sistemi complessi e coerenti – anche se non esenti da errori e contraddizioni – la cui acquisizione è faticosa, così come ne è faticosa la modifica.

Oggi tendo piuttosto a pensare che si trattava di una sinistra profezia. Apprendiamo sempre più spesso per memi – per unità minime, frammenti, sunti, pillole. E bisogna aggiungere che internet non è un ambiente dominato dal caso: ci sono media e social che enfatizzano, spettacolarizzano, terrorizzano o più semplicemente usano e sfruttano le informazioni indirizzandone la diffusione.

Nel campo della genetica questa informazione “memetica” può fare danni particolarmente gravi. Perché un conto raccontare la storia della “fotografia del buco nero” e colpire la fantasia, tutt’altro conto fomentare l’“effetto Angelina Jolie” per vendere test genetici, o più in generale creare l’illusione che la nostra salute sia facilmente e deterministicamente prevedibile, o ancora demonizzare gli OGM (“organismi giornalisticamente modificati”, come li definisce il biologo e genetista Carlo Alberto Redi in una lunga recensione al libro di Barbujani nel domenicale La lettura del Corriere della sera dell’8/9/2019).

Sono dunque molto grata a Guido Barbujani per aver smascherato nel suo Sillabario le varie “post verità” (come si chiamano oggi le bufale) legate alla visione determinista della genetica, spiegando che non esistono geni che ci rendono intelligenti, belli, criminali, omosessuali e via dicendo. E gli sono grata per la grande chiarezza con cui affronta il complesso tema del rapporto tra malattie e geni, così come per il rigore con cui espone il dibattito sull’ingegneria genetica, mostrandone gli aspetti ideologici e gli argomenti fragili ma anche i dubbi fondati e i problemi irrisolti. Ma soprattutto gli sono grata per aver ribadito che “molti aspetti della nostra vita, e dei meccanismi genetici che nella nostra vita giocano un ruolo così importante, non si possono banalizzare più di tanto perdendone di vista la complessità, altrimenti si scivola nell’approssimazione […]. Ragionando in maniera approssimativa si può anche prevalere in una discussione al bar o su twitter, ma non si possono fare le scelte lungimiranti di cui, invece, l’umanità e il pianeta hanno bisogno” (p. 246). È la conclusione del libro, che va letto tutto, dall’inizio e senza scorciatoie: perché non ci sono scorciatoie per procurarsi una conoscenza adeguata – non specialistica, semplicemente di base ma sufficiente a comprendere.

 

Maria Turchetto

 

 

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7abbracci

L’ultimo romanzo di Stefano Tofani

 

Sette abbracci e tieni il resto

 

Come i più riusciti eroi letterari e cinematografici di Stephen King – quelli, per intenderci, di Stand by me e di It / prima parte – anche Ernesto ha dodici anni e già addosso le stimmati dolorose del perdente: lo stesso soprannome che lo identifica tra i coetanei, Quattrocchio, è tutto un programma; poi, genitori separati e poco attenti a un figlio arrivato per caso; una scuola noiosa, frequentata controvoglia con professori lontani e insignificanti e compagni di scuola bulli e grossolani... Segnato dalla goffaggine propria dell’età, da una timidezza congenita e da un tasso di autostima tendente a zero, Ernesto è un bambino solo che vive, però, una vita interiore ricca di fantasie, desideri, speranze di qualcosa che, prima o poi, intervenga a cambiare la sua condizione. Ne parla con Lucio, un coetaneo disabile dalla lingua tagliente: ma sarà davvero un amico? Ne ragiona di notte con Fefè, un pescatore prodigo di consigli che lo tratta alla pari, da grande. Ma l’unico adulto che gli abbia davvero dimostrato un affetto “senza se e senza ma”, la nonna, è morta nell’incidente d’auto che ha reso Ernesto claudicante e ancora più solo a regolare i conti col mondo grande e terribile. Le cui spine sono ancora più puntute perché il nostro preadolescente è segretamente innamorato di Martina, bellissima e indifferente compagna di classe: un amore, il suo, purissimo e totale di quelli che si possono concepire solo nella terra di nessuno tra l’infanzia e l’adolescenza. Quando la coetanea, inopinatamente, sparisce (rapita? Fuggita? Finita per disgrazia “in un fosso, nel mare, in un pozzo: non ci voglio nemmeno pensare”?), Ernesto, pur impacciato e maldestro qual è, si trasforma in un vero e proprio eroe indagatore e dà fondo a tutte le sue risorse di pazienza, acume e (chi lo avrebbe mai detto?) faccia tosta. Grazie alla forza indomabile degli umiliati, ritrova Martina, ma la realtà non è mai come appare: c’è sempre un doppio fondo di verità, quasi mai migliore, più spesso volgare e sempre al di sotto delle nostre aspettative.

Tofani, alla sua terza prova romanzesca e dopo il riuscitissimo Fiori a rovescio, Nutrimenti 2018, è bravo a leggere la nostra contemporaneità - le sue contraddizioni, il suo caos affettivo ed esistenziale, le sue violenze piccole e grandi, palesi o nascoste - con gli occhi di un problematico adolescente dei nostri giorni, oscillante tra deliri di onnipotenza e comportamenti infantili, tra ansie di autonomia e bisogno di protezione. Costruito per brevi capitoli il romanzo - rivolto ai giovani Lettori, ma non solo - racconta di un tempo difficile e complicato in cui anche ai più deboli, ai più vulnerabili, ai più fragili è richiesto di contare esclusivamente sulle proprie deboli forze, mentre la scrittura, scabra ed essenziale ma capace di improvvise accensioni, esempla il pensiero di Ernesto: depresso, ma comunque capace di curiosità e di sviluppare non comuni doti di resilienza. Pregi di non poco conto in una stagione vacua e superficiale, frivola e futile: e quindi cattiva, addirittura spietata soprattutto con quelli che non riescono, con quanti restano indietro.

A loro, ci interroga Ernesto, chi ci pensa?

 

Luciano Luciani

 

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Rizzoli, Mi 2019, pp. 220, Euro 16,00

 

Stefano Tofani è laureato in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Pisa e lavora per il Comune di Lucca. Nel 2013 ha pubblicato L’ombelico di Adamo, Perrone editore, Roma, vincitore del Premio Villa Torlonia. Nel 2018 per Nutrimenti è uscito il suo secondo romanzo, Fiori a rovescio.

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Franco Fantozzi, Quella volta che il Santo rise, Carmignani editrice, Pisa 2019, Euro 13,00 €

Uno scanzonato - ma non troppo - private eye di provincia

 

Franco Fantozzi, Quella volta che il Santo rise, Carmignani editrice, Pisa 2019, Euro 13,00 €

 

Allora la Città Murata può vantare ancora un altro “sceriffo”, ovvero l’ennesimo eroe indagatore che, vuoi per soldi, vuoi per un’apprezzabile etica professionale, non può sopportare che il Male si aggiri per le strade e le piazze di Lucca e nei suoi immediati dintorni. Non è un poliziotto e nemmeno un carabiniere, neanche un giornalista e neppure un magistrato: è un private eye, un investigatore privato, mestiere più adatto a scenari metropolitani che a città di provincia al di sotto dei centomila abitanti. Però, i fattacci - ve lo siete già dimenticato il Mostro di Firenze? - accadono anche in Toscana e i suoi misteri, le sue trame efferate, i suoi feroci primi attori non sfigurano di sicuro con i truci protagonisti degli scenari mega-urbani di Roma, Milano, Parigi o Londra...
Certo, la storia noir in salsa lucchese, sia pure abilmente elaborata dall’Autore, mantiene fin troppo riconoscibili sapori locali che però, per dirla come si usa da queste parti tra il Serchio, le Apuane e il mare, non “stuccano” perché fanno identità e sollecitano l’appartenenza. Così, non ci disturbano il gergo indigeno di Frenk, il protagonista in scena dalla prima all’ultima pagina che racconta in prima persona; certi giochi di parole un po’ insistiti; location alquanto risapute e riferimenti a fatti e personaggi noti solo agli autoctoni e per di più di una certa età. La novità di queste pagine sono altre e riscattano a pieno certi eccessi di tipicità: per esempio, le doti ESP (extra sensory perception) del Nostro investigatore privato. Ovvero, i suoi personalissimi canali di informazione estranei alla scienza e fuori da ogni metodo scientifico: Frenk Maniscalchi, infatti, titolare della rinomata Agenzia Frenkenson, ormai oltre la mezza età e già nonno di nipoti grandicelli, parla con la gatta Lucrezia, tutt’altro che avara di dritte utili per la soluzione dei casi, anche se piuttosto sibilline, e, udite,udite, conversa niente meno che col Volto Santo, il Cristo nero e ligneo conservato nel duomo di San Martino e da quasi un millennio venerato dai Lucchesi e non solo. Se, poi, a tali formidabili aiutanti dell’eroe ci aggiungete il servizio informazioni garantito dalla Similanza, una simpatica banda di drop out che agisce sempre in bilico sul sottile confine tra legalità e illegalità, anche il più scettico dei Lettori, oltre a essere conquistato da questa storia “al limite” tra ironia e dramma, non potrà nutrire dubbi circa la necessaria vittoria del Bene sul Male, dell’onestà sul crimine. Così, nei canonici tre giorni - tempo limite datosi dal Maniscalchi per la soluzione di tutti i suoi casi – il Nostro, lucense incarnazione dell’indimenticabile, ma meno simpatico, Hercule Poirot, risolve il difficile caso della morte enigmatica e violenta di un noto industriale dolciario produttore del rinomato in tutto il mondo Brucellato Delight. Trionfa, come si conviene a ogni buon poliziesco, la verità, ma lo sguardo che questa vicenda permette di gettare sui nostri tempi malmostosi non è per nulla consolante: antiche pulsioni, il denaro, la gelosia, il potere, il tradimento, si coniugano secondo nuove modalità. L’Autore, travestito da intrattenitore, le registra e prova a individuarne le oscure motivazioni: non tragga in inganno la sua maschera cordiale, bonaria, ottimista... Serpeggia tra le pagine, apparentemente disincantate, tutta la fatica che costa cercare di tenere a bada il caos. Frenk Maniscalchi per farlo usa le armi che può, che sa, quelle proprie degli uomini: la razionalità, un innato senso di giustizia, la conoscenza di cosa è sbagliato, una profonda pietas... Questa particolare battaglia la vince, ma, ne siamo sicuri, altre ne verranno, più sode, puntute, taglienti.

 

Luciano Luciani

 

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giochi per strada

Giochi di una volta versus videogames: chi vincerà?

 

Antonio & Jacopo Tolomei, Passato al presente Giochi fai da te, pp. 32, s.i.p.

 

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Tu dici videogames - quei giochi elettronici così vivaci, rumorosi e colorati ormai  diffusissimi tra bambini e adolescenti - e pediatri, pedagogisti e psicologi scuotono la testa e storcono la bocca. Perché esistono dei rischi concreti nell’uso, e soprattutto nell’abuso, di questi nuovi media che, a quanto pare, diminuiscono le inibizioni, aumentano l’aggressività, incrementano i livelli di ansia con conseguenze gravi nella vita di tanti ragazzi: una  chiusura solipsistica all’interno di un mondo fittizio e una perdita di contatto con la vita vera; un acutizzarsi dei comportamenti violenti e ostili per non parlare delle difficoltà nel sonno e di uno stato diffuso di iritabilità e affaticamento. Sono i regali avvelenati della contemporaneità, così come l’abbiamo voluta e costruita per i nostri figli: abbiamo donato loro realtà che non esistono, virtuali, che nascondono e allontanano dalla loro esperienza quelle vere, reali, concrete... E forse è giunto il tempo di cominciare a elaborare antidoti capaci, se non di contrastare, almeno di affiancare positivamente l’ “irrealismo” dei videogames e le conseguenze negative che tanti fatti di cronaca ci consegnano quasi quotidianamente in tutta la loro gravità: crisi isteriche e atti di violenza nei confronti degli adulti che tentano con fatica di interrompere la spirale di dipendenza indotta dall’uso di strumenti apparentemente ludici, ma in realtà stranianti e pervasivi.

 

È il problema che probabilmente si sono posti i lucchesi doc Antonio e Jacopo Tolomei, rispettivamente padre e figlio, in questa loro bella e utile pubblicazione, Passato al presente. Giochi fai da te, che mira a ritrovare alcuni dei giochi con cui una volta si divertivano - e non poco - i bambini. Quelli che i ragazzini di due generazioni fa - più o meno - costruivano con le proprie mani, impegnandosi tanto nella progettazione, quanto nella loro realizzazione, utilizzando materiali poveri, di uso quotidiano, “di riporto”, recuperati una volta esaurita la loro funzione primaria: vecchi giornali, filo di ferro, cassette per la frutta, scatole di cartone, chiodi, spaghi, elastici, manici di scopa... E poi colla, forbici, olio di gomito, pazienza e tanta, tanta fantasia. Prendevano vita così i trampoli e gli aquiloni, le trottole e i caleidoscopi, il carrettino e la pentolaccia: divertenti in sé e capaci di svolgere una funzione importante nel complessivo sviluppo della sfera cognitiva e della personalità del bambino.

 

La solita lode del buon tempo andato, potrebbe obiettare qualcuno... E se anche fosse? Non tutto quello che ci giunge dal passato è da respingere. Anzi. Il mondo di appena ieri è pieno di tante e tante buone pratiche che potrebbero essere rispolverate con non poco vantaggio pubblico e privato. E questo piccolo libro che si rivolge non solo ai ragazzi di oggi, ma anche a quelli di qualche anno or sono, oggi genitori e nonni, insegna piacevolmente “come si fa”: non solo a costruire semplici giocattoli, ma anche a restituire un’anima alle cose. E poi, come è noto, saper rivivere con attenzione e rispetto il passato è vivere due volte.

  

Luciano Luciani

 

 


  

Un pellicano racconta la sua vita 

Un pellicano racconta la sua vita

Per la prima volta tradotta in Italia un'opera poco nota di Albert Schweitzer

 

 

Un pellicano racconta la sua vita di Albert Schweitzer, Anna Wildikann. Traduzione e cura di F. Charlotte Vallino, ETS edizioni Pisa pp. 128 Ill. euro 16,00

 

Un Pellicano racconta la sua vita rimane sovente nascosto nel vasto numero delle opere di Albert Schweitzer, dato che non affronta -almeno all’apparenza- i grandi temi che lo resero tanto noto nel mondo e che gli meritarono anche il Premio Nobel per la Pace. Ha infatti per protagonista, realmente esistito, un
uccello nato tra i canneti di un grande fiume africano, nel cuore di una natura lussureggiante. Un Pellicano, allevato con i suoi due fratelli da Albert Schweitzer nel villaggio-Ospedale che aveva creato a Lambaréné. I tre piccoli furono chiamati Lohengrin, Tristan e Parsifal. Lohengrin e Tristan, diventati dei vigorosi giovani pellicani, volarono via. Parsifal volle rimanere accanto al suo salvatore di cui divenne il compagno inseparabile, il “Pellicano del dottor Schweitzer”. Attraverso il racconto autobiografico del Pellicano eroe del libro, il lettore percepisce la personalità di Albert Schweitzer ma soprattutto entra in contatto con il nucleo fondamentale del suo pensiero, e permette di comprendere con immediatezza cosa significhi, all’atto pratico, l’etica di ‘Rispetto per la Vita’.

Albert Schweitzer, filosofo, teologo, musicista e musicologo, medico. Una figura che si staglia sullo sfondo culturale del Novecento. Per la sua umanità e il suo coraggio, la sua azione di dottore in Africa -a Lambaréné nell’allora colonia francese del Gabon-, il suo impegno per la pace nel mondo, il suo ruolo di primo piano nella campagna internazionale contro le armi nucleari. E inoltre quale pioniere delle idee di salvaguardia della natura e di difesa degli animali. È ben difficile richiamare con poche parole tutto quello che Albert Schweitzer è stato e ha fatto.

 

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fauno scomparso 

Cristiana Vettori, Il fauno scomparso, Edizioni Helicon, Arezzo 2018, pp. 198. Euro 14,00

 

 

 

Un romanzo giallo e rosa shocking

 

  

 

Se dovessimo identificare “cromaticamente” questo romanzo di Cristiana Vettori diremmo tra il giallo - inteso come romanzo d’indagine - e il rosa shocking, perché vicenda raccontata con gli occhi di una giovane donna. Quelli di Emma, giovane scrittrice di guide turistiche, casentinese di nascita e pisana d’adozione, che nel corso di una permanenza a Poppi, sua  terra d’origine, - per una, come si suol dire, pausa di riflessione da un compagno che è insieme “troppo” e “troppo poco” - si imbatte nel mistero del Fauno: ovvero, la scultura di un  giovanissimo Michelangelo, svanita nel nulla nella tragica estate del ‘44, durante la ritirata dei tedeschi dalla Toscana, incalzati dalle truppe Alleate.

 

A distogliere Emma dal suo lavoro di competente compilatrice e dai pensieri di una storia d’amore problematica per non dire traballante, interviene una strana presenza: un uomo affascinante, di mezza età e dall’accento tedesco, che da qualche settimana, sistematicamente e in grande solitudine, batte il paese dei conti Guidi, frequentandone la biblioteca, il castello, le chiese, i palazzi... È Peter, nipote di un ufficiale della Wehrmacht di stanza nel Casentino durante gli anni della guerra innamoratosi di una bella casentinese figlia di un partigiano, poi ritrovata fortunosamente e sposata negli anni immediatamente successivi al conflitto. Ma sono solo le memorie familiari a riportare Peter in quell’area della Toscana interna e in quel borgo unanimemente reputato tra i più belli d’Italia? O ci sono altre ragioni, recondite e meno confessabili? Certo è che in quel terribile agosto di 75 anni prima, numerosissime opere d’arte di eccezionale valore - Botticelli, Raffaello, Tiziano, Michelangelo, Beato Angelico... -  provenienti dai musei fiorentini e incassate per sottrarle alle violenze della guerra furono sistemate nel castello che aveva ospitato Dante, nelle ville e nei monasteri dei dintorni per poi prendere la via della Germania nazista. Tutti tornati poi in Italia quei capolavori, tranne la maschera di Fauno, opera di un Michelangelo ancora adolescente, di cui sembra non essere rimasta  nessuna traccia. E Peter è un volgare avventuriero o un uomo sinceramente preoccupato delle ferite lasciate ancora aperte dalla guerra e impegnato in una lodevole opera di risarcimento?

 

Tra le perplessità dei compaesani e qualche chiacchiera - si sa il paese è piccolo e la gente mormora -, la protagonista e il suo nuovo accompagnatore tentano di mettere insieme lacerti di informazioni, ricordi di chi c’era, memorie di memorie e molti “sentito dire”... Per poi ripiegare, malinconicamente, sulla constatazione della impossibilità di ritrovare, almeno al momento, il Fauno michelangiolesco. Condividono, però, i due un impegno: fare il possibile per impedire che si rinnovi il clima di odii e di inimicizie che appena ieri aveva sfigurato il volto del Novecento. Mai più guerre tra i popoli d’Europa, mai più violenze, frutti velenosi di ideologie intolleranti e totalitarie. E, come avviene nei migliori romanzi di formazione, la protagonista, l’Emma che ritorna a Pisa, non è più la stessa che ne era partita. È una donna cresciuta: più consapevole del suo ruolo nel mondo, meno vincolata da obblighi sentimentali, più capace di scegliere, volta per volta, le tappe e i modi della propria esistenza. Più forte e più libera.

 

 

 

L’Autrice, Cristiana Vettori, docente, psicologa, curatrice di antologie di poesie e narrativa, racconta bene e ci partecipa con utile leggerezza una storia di stringente attualità, collocata tra un passato recente e la contemporaneità, densa di moniti per un futuro che tutti noi percepiamo procedere in direzione di un abisso, le cui forme non riusciamo neppure a immaginare.

 

 

 

Luciano Luciani

 

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Clicco quindi educo

Stefania Garassini CLICCO QUINDI EDUCO ETS Pisa

Genitori e figli nell’era dei social network


70 pg; cm.14x21 2018 ISBN: 9788846754356

 

Recuperare la fiducia nella propria capacità di educare, anche in uno scenario in cui la diffusione delle tecnologie digitali sembra renderlo sempre più difficile. È il messaggio – rivolto a genitori ed educatori – che lega tutti i contributi di questo volume, nato per raccogliere gli interventi della giornata di studio realizzata da Aiart Milano in collaborazione con l’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi. Studiosi, insegnanti, giornalisti esperti del settore e genitori analizzano opportunità e problemi posti dall’uso degli strumenti fornendo conoscenze e spunti d’azione. Nella convinzione che i “nativi digitali” non siano realmente esperti come si dice e si crede, e che, piuttosto, adulti e ragazzi abbiamo di fronte le stesse sfide. Da affrontare insieme, con spirito aperto.

 

Stefania Garassini, presidente della sezione milanese di AIART. Giornalista, è docente di Editoria Multimediale e Digital Journalism all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 1993 ha fondato «Virtual», prima rivista in Italia dedicata agli aspetti culturali della diffusione delle tecnologie digitali. È autrice di Dizionario dei new media (Cortina, 1999), coautrice di Digital Kids (Cortina, 2001) e di I nuovi strumenti del comunicare (Bompiani 2001). Collabora con «Domus» e «Avvenire».

 

 

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Erasmus Darwin secondo suo nipote

Charles Darwin, La vita di Erasmus Darwin (a cura di Leonardo Ursillo), Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2018, collana Epistemologia, pp. 240, € 20

 

Nel 1879 Charles Darwin scrive una biografia del nonno Erasmus, per completare un breve scritto di Ernst Krause apparso sulla rivista tedesca Kosmos valendosi di scritti e lettere in suo possesso e per riscattarne la memoria rispetto alle “grossolane accuse” di ateismo che ricevette “non appena la tomba gli si chiuse sopra, come è destino di molti uomini celebri dotati di forte e marcata personalità”.

Charles non conobbe il nonno Erasmus, ma se ne sente erede nel senso biologico del termine: “fin dai miei primi anni ho nutrito il più forte interesse nel collezionare oggetti di storia naturale, e questa inclinazione fu certamente innata o spontanea, probabilmente ereditata da mio nonno”. E nell’Autobiografia scrive che l’opera di suo nonno aveva preparato “il terreno favorevole a quella dottrina che più tardi, in forma diversa, ho pubblicato nell’Origine delle specie”.

Mimesis propone ora, nella collana Epistemologia, questo curioso scritto di Charles Darwin, finora inedito in Italia, con una bella introduzione di Leonardo Ursillo, traduttore e curatore dell’opera, che ha il pregio di contestualizzare il pensiero di Erasmus Darwin nella cultura del XVIII secolo, mostrandone il ruolo nel dibattito sul trasformismo.

 

Erasmus Darwin era un medico stimato e uno studioso appassionato – un “naturalista”, come si diceva all’epoca. Interessato innanzitutto alla botanica, fondò la Lichfield Botanical Society e si dedicò alla traduzione inglese di alcune opere di Linneo. Le sue osservazioni, raccolte nel poemetto Gli amori delle piante (1789), sono a volte notevoli: ad esempio, quelle relative ai “rudimenti”, parti o organi incompleti e non funzionali, che rappresentano una preziosa testimonianza del modificarsi nel tempo degli organismi viventi. “Vi sono, negli animali e nelle piante – si legge in una nota del poemetto – alcune appendici apparentemente inutili o incomplete, le quali sembrano mostrare che hanno subito dei cambiamenti graduali del loro stato originario”. Il nipote Charles darà grande importanza all’argomento, cui dedicherà un paragrafo dell’Origine.

Nelle osservazioni di Erasmus prende forma anche l’idea della lotta per la sopravvivenza. La natura non è un mondo perfetto e armonioso, ma un “mondo in guerra” in cui ciascuna pianta e animale è dotato delle sue armi: caratteri non immutabili ma formati e modificati come risposta a uno stato di conflitto permanente. È in questo insieme di riflessioni che Erasmus Darwin matura la sua idea del trasformismo delle specie, giudicata dal nipote Charles una “previsione del progresso del pensiero moderno”.

 

L’opera più importante di Erasmus Darwin è tuttavia la Zoonomia (1794). Nell’ampia introduzione, Leonardo Ursillo sottolinea in primo luogo l’importanza dei capitoli dedicati ai rapporti tra percezione, sensazione e formazione delle idee: vengono spiegati “nei termini delle operazioni di un sistema di materia” in movimento, seguendo le indicazioni di Hume e Berkley. La conseguenza di questo approccio materialista è l’idea di uniformismo del vivente: i fenomeni della vita organica, anche i più complessi come il pensiero, obbediscono alle medesime leggi, per cui non è possibile stabilire cesure definitive tra piante, animali, uomini. I vegetali mostrano chiari segni di sensibilità, come quando chiudono “petali e calici nelle ore fredde del giorno”, un movimento che “deve attribuirsi alla sensazione sgradevole” e non semplicemente a un riflesso automatico. Gli animali sono in grado di apprendere e di agire in modo non stereotipato per far fronte a circostanze inconsuete, dando risposte “intelligenti”, per cui – come scriverà il nipote Charles nell’Origine dell’uomo – “la differenza tra l’uomo e gli animali superiori, per quanto grande, […] è certamente di grado e non di genere”.

Come scrive Ursillo, “per molti dei contemporanei [di Erasmus Darwin] la ragione veniva ancora vista come un’esclusiva prerogativa dell’essere umano ed elargirla anche al regno vegetale e animale, con le giuste gradazioni, era una scelta in parte già riscontrabile in alcune correnti del pensiero filosofico settecentesco, ma assai difficile da far accettare”. Buffon, ad esempio, sosteneva l’assoluta incommensurabilità tra uomo e animale: “l’uomo è un essere razionale, l’animale è senza ragione […] e poiché non vi sono esseri intermedi tra l’essere razionale e l’essere senza ragione, è evidente che l’uomo è di una natura completamente diversa da quella dell’animale”. E avvalorava tale posizione con l’uso, per lui esclusivamente umano, del linguaggio. Erasmus Darwin era invece persuaso dell’esistenza di un “linguaggio naturale” che permette anche agli animali di comunicare le emozioni, attraverso suoni, atteggiamenti, gesti. Anche questo è un punto ripreso dal nipote Charles nell’Origine dell’uomo: certo, “l’uso abituale del linguaggio articolato è […] peculiare dell’uomo”, ma anche l’uomo può usare, “in comune con gli animali inferiori, grida inarticolate per esprimere il suo sentimento, aiutato da gesti e movimenti dei muscoli del volto”. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali del 1872, del resto, rappresenta la sintesi matura di questa idea uniformista: “sebbene a livello rozzo e primordiale, gli animali possiedono le nostre medesime capacità”.

 

Scrive Ursillo a conclusione della sua introduzione: “In epoca vittoriana e nel tardo Settecento, qualcuno certamente rise di simili teorie ridicolizzando Erasmus e relegando le sue riflessioni a intenti assolutamente fantasiosi, ma lui, come scrisse Dickens, li ‘lasciò ridere e non ci fece caso, perché era abbastanza saggio da sapere che nulla di buono succede su questa terra, senza che qualcuno, sulle prime, si prenda il gusto di riderne’”.

 

Maria Turchetto


  

 

Italia coast to coast

ITALIA coast to coast  

 

Simone Frignani - Terre di mezzo Editore 3° edizione aggiornata

 

Il bagno all’alba nella baia verde di Portonovo, per poi ritrovare l’abbraccio delle onde al tramonto nel fascino di Orbetello: in mezzo diciotto giorni a piedi (o nove in bici), attraversando l’Italia centrale dal Conero alla laguna che collega la Maremma all’Argentario, da mare a mare. La sintesi dell’Italia coast to coast è in questa semplice e geniale ispirazione. L’idea di questo nuovo cammino è di Simone Frignani, tra i maggiori esperti del settore, ideatore del Cammino di S. Benedetto sulle orme del padre del Monachesimo occidentale da Norcia a Montecassino. “Sono di Maranello” precisa con la sua schietta simpatia ed evidenziando già il suo andare controcorrente proprio nel paese della Ferrari. La sua passione non è la F1, perché al contrario ama muoversi lentamente: camminare o pedalare lungo sentieri e sterrate di tutta Italia. Immerso nella natura, lasciando che lo spirito si liberi da ogni preoccupazione. Insomma, è ambasciatore del passo lento, quello naturale che fa conoscere i territori, incontrare le persone, ritrovare se stessi. Sorprese di un’Italia che sa ancora recuperare bellezza e nuove proposte. Non si tratta di promuovere una pratica sportiva, il cammino è prima di tutto un’esperienza da vivere con i propri passi, i propri ritmi e i propri limiti. I frutti sono soprattutto sul piano emozionale e relazionale: pace, accoglienza, amicizia e generosità. Si raccolgono cammin facendo, incrociando sguardi e storie di altri “coaster” o dei locali che osservano il lento incedere dei nuovi pellegrini.

Difficile misurare il successo di questo nuovo cammino, di cui la guida cartacea – uscita nel febbraio 2014 – è già alla terza edizione. Il cammino Italia coast to coast va percorso da est verso occidente, perché questa è la direzione del Sole e degli uomini che si spostano, come confermano le storie bibliche di Abramo dalla Mesopotamia alla terra dei Cananei e dei Magi venuti dall’Oriente o epopee recenti come la corsa all’oro nel Far West. Con quale tracciato unire le due sponde italiche è scelta che l’autore così riassume: “In Italia i possibili percorsi da costa a costa, o, per utilizzare l’espressione più diffusa, i potenziali coast to coast, sono pressoché infiniti. Tra tutti, ne ho elaborato uno che ritengo particolarmente interessante sotto il profilo culturale, storico, religioso e naturalistico. Un percorso tra due monti protesi nel mare: l’uno, il Conero, sentinella a oriente, a scrutare, oltre il blu dell’Adriatico, i lidi d’Illiria che a lungo furono luogo d’incontro, non sempre pacifico, tra molti popoli; l’altro, l’Argentario, vedetta a occidente, a vigilare su quel Tirreno che vide fiorire le grandi civiltà degli Etruschi e dei Romani.”

Un “tuffo” nella storia soprattutto di quell’Italia delle origini, dove accanto alla crescente potenza di Roma troviamo tracce e memoria delle numerose popolazioni italiche, come Piceni, Galli, Umbri ed Etruschi. Scrigni di un’Italia trascurata dai flussi turistici di massa e considerata “minore”, in cui proprio il piacere della (ri)scoperta riesce a donare sensazioni uniche. Un cammino fortunato, che è nato bene. Nonostante l’assenza di una segnaletica specifica, nessun camminatore si è perso. Al tracciato originario, elaborato sovrapponendo e collegando percorsi già presenti, non sono servite modifiche, anche se qualche aggiustamento è in programma per migliorarne la fruibilità, appropriandosi della pista papalina per risalire da Portonovo, per evitare la strada asfaltata, o puntando a una partenza dalla città di Ancona, per sfruttare meglio i collegamenti ferroviari. Dovrebbero essere Comuni e Regioni a farsi carico della segnaletica e dell’organizzazione dei posti tappa per l’accoglienza dei pellegrini e per la promozione del cammino: la Toscana si è impegnata, le Marche sembrano interessate. Intanto il Parco del Conero ha già inserito il tracciato tra i percorsi di pubblico interesse nella propria carta di accessibilità per garantirne a tutti la libera fruizione. E se, ammirando il paesaggio o le fioriture sopra Portonovo, incrociate camminatori diretti a Orbetello, adesso sapete che il sogno è diventato realtà. Al richiamo di un bagno dall’Adriatico al Tirreno non è facile resistere.

 

Recensione di Gilberto Stacchiotti, già direttore del Parco del Conero

 


 

 

Atlante ornitologico di Pisa

Atlante ornitologico di Pisa

Grazie a questa iniziativa sono oggi disponibili le mappe aggiornate della distribuzione delle specieed i trend delle popolazioni faunistiche, con l’obiettivo, tra gli altri, di delineare i piani di conservazione di quelle rare. Un lavoro che non illustra solo l’evoluzione dell’avifauna cittadina negli anni, ma che assume anche un valore più ampio proponendosi come modello per la comprensione delle dinamiche degli ecosistemi urbani.

L’atlante costituisce una base scientifica per gestire le problematiche causate dai piccioni e dai gabbiani reali e rappresenta un’occasione speciale per far conoscere la natura ai pisani, agli studenti ed ai turisti, guardando ai “servizi ecosistemici” delle aree verdi che, come noto, svolgono importanti funzioni per migliorare la vivibilità urbana.
L’avifauna funziona da “indicatore ambientale” e quindi è utile per orientare le scelte urbanistiche, permettendo ai cittadini di trarre beneficio dalla biodiversità ed agli insegnanti di svolgere iniziative di educazione ambientale.

La ricerca è stata pubblicata in un volume di oltre 200 pagine, come monografia della rivista Ecologia Urbana – www.ecologia-urbana.com.

Interverranno:

Marco Dinetti, Responsabile Ecologia urbana Lipu - Leonardo Cocchi, COT – Centro Ornitologico Toscano - Alessandro Moretti, Ornitologo - Paola Ascani, Redazione Ecologia urbana e Volontaria Lipu

 

Incontro a ingresso libero. Vi aspettiamo!

 

Per informazioni:

Museo di Storia Naturale  Tel. 050.2212970/80 www.lipu.it www.ecologia-urbana.com 

 


 

Dalla forma al simbolo

Dalla forma al simbolo
Per la prima volta in Italia il trattato di Jacob Klein sulle origini dell’algebra moderna Edizioni ETS Pisa

 

«Non c’è uno studio di storia della filosofia, della scienza o di “storia delle idee” che vi si avvicini neanche lontanamente per valore intrinseco. Se non una prova, segno ne è il fatto che sembra averlo letto sì e no mezza dozzina di persone». Così Leo Strauss descrive il libro dell’amico Jacob Klein, pubblicato fra il 1934 e 1936 con il titolo Die griechische Logistik und die Entstehung der Algebra, qui per la prima volta tradotto in italiano. Con un’analisi estremamente raffinata, Klein mostra come la matematica moderna esautori la concezione greca del sapere e del nostro rapporto con l’esperienza, sostituendo a una visione di forme date una tecnica articolata simbolicamente.

Jacob Klein (1899–1978), nato in Russia da famiglia ebraica, studia e si forma in Germania dove è allievo di E. Husserl, N. Hartmann e M. Heidegger, nonché amico di figure come H.-G. Gadamer, H. Jonas, A. Koyrè, G. Krüger e, soprattutto, L. Strauss. Trasferitosi nel 1938 negli Stati Uniti, dal 1940 sino alla morte insegna al St. John’s College di Annapolis. Oltre che di questo libro, è autore di A Commentary on Plato’s Meno (1965) e Plato’s Trilogy: “Theaetetus”, “The Sophist” and “The Statesman” (1977). Alcuni dei suoi saggi più significativi sono stati raccolti nel volume Lectures and Essays (1985).

Dalla post-fazione di Paolo Zellini
Il trattato di Jacob Klein sulle origini dell’algebra moderna, Die griechische Logistik   und die Entstehung der Algebra (1934-1936), apparso in inglese nel 1968 col titolo Greek mathematical Thought and the Origin of Algebra, è giustamente celebre e prezioso per chiunque voglia comprendere la genesi e lo sviluppo delle idee che hanno ispirato i matematici sia antichi sia moderni. Come ha ricordato in tempi più recenti   Reviel Netz, quel trattato rimane ancora il migliore strumento per analizzare la differenza tra matematica antica e moderna. Una differenza certo evidentissima, che balza subito agli occhi di chi getti un solo sguardo a un testo di Euclide o di  Archimede, da   una parte, e a una pagina di calcoli algebrici di François Viète o di Isaac Newton   dall’altra. 

Dalla forma al simbolo. La logistica greca e la nascita dell’algebra di Jacob Klein, a cura e traduzione di Iacopo Chiaravalli.
Collana: Dialectica. Figure del pensiero filosofico (5) diretta da Alfredo Ferrarin

 

 


 

 

  

L'ordine del tempo

Carlo Rovelli L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017

 

Recensione di Lucia Torricelli

 

 

Un denso volumetto rimasto a lungo ai primi posti nella classifica dei libri più venduti, nonostante la complessità dell’argomento. Si parla del mistero del tempo che “…ci inquieta da sempre, muove emozioni profonde. Così profonde da nutrire filosofie e religioni”. Nella prima parte del libro è smontata l’idea di tempo a noi familiare. Si arriva a un mondo senza tempo. Da questo mondo senza tempo, in un percorso a ritroso, ritroviamo la dimensione del tempo così come noi la percepiamo nella quotidianità.

Un viaggio avventuroso, pieno di sorprese, non privo di ostacoli. Rovelli riesce a conquistare la curiosità del lettore non specialista per la non comune capacità di raccontare con entusiasmo contagioso i misteri della natura e di coniugare il rigore scientifico con immagini e metafore che possano agevolare la comprensione di concetti impegnativi e controintuitivi. Le riflessioni sulla natura umana e i frequenti riferimenti alla filosofia, alla poesia, alla letteratura, all’arte, alla scienza, rendono ancora più suggestiva la narrazione della fisica del tempo.

Dalla lettura delle prime pagine scopriamo che la realtà profonda del mondo è diversa da quella che percepiamo quotidianamente alla nostra scala. Nella fisica moderna il tempo non è la corrente uniforme e rettilinea di eventi che sperimentiamo con gli orologi e i calendari; scorre più lentamente in pianura e più velocemente in montagna, come aveva già intuito Enstein e come si potrebbe verificare con orologi da laboratorio sensibilissimi. Non c’è un orologio cosmico che batte lo stesso tempo in tutto l’Universo. Ogni evento ha il suo tempo e i diversi tempi interagiscono tra loro. La differenza tra passato e futuro non è quella che noi sperimentiamo; la percezione del fluire del tempo dal passato al futuro è solo un’approssimazione che dipende dalla nostra incapacità di mettere a fuoco gli infiniti dettagli della realtà microscopica del mondo. Il presente ha senso solo vicino a noi, come fosse confinato in una bolla. Quello che per noi è il presente potrebbe essere passato in un’altra parte dell’universo.

Il tempo non scorre, si sfalda, si frantuma in una miriade di tempi diversi; nei buchi neri non esiste più; s’intreccia con lo spazio nello spazio-tempo. Una rete flessibile e dinamica di eventi che s’influenzano a vicenda forma la trama di una realtà cosmica su cui ci affacciamo dal nostro piccolo angolo di mondo.

Ancora più lontana dalla nostra percezione è la natura del tempo descritta dalle strane leggi della meccanica quantistica che governano il mondo a scala microscopica: un tempo granulare, fatto di quanti, come sono fatte tutte le cose del mondo. “A piccola scala la teoria descrive uno spazio-tempo quantistico, fluttuante, probabilistico e discreto. A questa scala c’è solo il pullulare furibondo dei quanti che appaiono e scompaiono”. Uno scenario che disorienta e affascina, aperto a continui percorsi di ricerca.

 

Nella parte conclusiva di questo avvincente libretto ritroviamo il tempo che percepiamo nella nostra esperienza quotidiana e che definisce la nostra identità, tra eventi passati e aspettative future. Cominciamo a capire, attraverso le ricerche dei neuroscienziati, che il tempo è dentro di noi, nelle sinapsi del nostro cervello e nei circuiti neurali che l’evoluzione ha plasmato e che ci mettono in relazione con il mondo di cui siamo parte. In questo senso abbiamo la sensazione del fluire del tempo.  “…alla fine -forse- il mistero del tempo riguarda ciò che siamo noi, più di quanto riguardi il cosmo (…). E’ la memoria che salda i processi  sparpagliati nel tempo di cui siamo costituiti. In questo senso noi esistiamo nel tempo”.

  

 

Altri libri sullo stesso tema

 

Edoardo Boncinelli, Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima, Editori Laterza, Roma-Bari, 2003

Tempi ciclici, tempo rettilineo e irreversibile, tempo finito o illimitato, tempi brevi e tempi lunghi della vita individuale e dell’evoluzione. Tempi che disegnano il futuro dell’Universo e della vita. Nulla è possibile prevedere. Il tempo condiziona e colloca nello spazio tutti gli eventi della realtà conosciuta e non conosciuta.

 

 

Benjamin Libet, Mind Time. Il fattore temporale della coscienza, Cortina, Milano, 2007

Un’indagine sui meccanismi consci e inconsci della mente in relazione al fattore tempo. Le ricerche sperimentali sull’attività mentale dimostrano che allo stato cosciente vi è consapevolezza di eventi già iniziati a livello inconscio. Lo scarto di tempo che intercorre tra la consapevolezza di un’azione e l’attivazione inconscia, già in atto, di quell’azione è un elemento cruciale per sconfinare nelle implicazioni filosofiche delle neuroscienze. E tutto si gioca su una minima frazione di tempo!

  

Étienne Klein, Il tempo non suona mai due volte, Cortina, Milano, 2008

Riflessioni interessanti sulla misteriosa natura del tempo nelle dispute tra scienziati e filosofi.

“ il nostro tempo quotidiano, quello che sentiamo scorrere, che lascia il segno sui nostri volti, è lo stesso di quell’entità matematica cui ricorrono gli scienziati?

 

Werner Kinnebrock (presentazione di Remo Bodei), Dove va il tempo che passa.Fisica, filosofia e vita quotidiana, il Mulino, Bologna, 2013

Che cosa succede al tempo che passa? Lo stesso Enstein lo domandò a Gödel durante una passeggiata a Princeton. Il tempo è continuo o finito? Può andare all’indietro? Ci sono un tempo soggettivo e un tempo oggettivo? Che dire della percezione del tempo nelle esperienze di risveglio dal coma?

  

Stefan Klein, Il Tempo. La sostanza di cui è fatta la vita, Bollati Boringhieri, Torino, 2015

Un viaggio “nell’esplorazione di una delle attività più raffinate della mente alla quale partecipano incredibilmente quasi tutte le funzioni del nostro cervello”.

 

Arnaldo Benini, Neurobiologia del tempo, Cortina, Milano, 2017

Il tempo è dentro di noi o è una realtà esterna? Mentre i fisici negano l’esistenza del tempo a livello di fenomeni estremi, neuroscienziati, filosofi, psicologi cognitivi mettono il tempo al centro del fenomeno della vita, una dimensione indispensabile per orientarci nella realtà, una dimensione che si è imposta per ragioni evolutive e che è regolata dai circuiti neurali. Nulla avrebbe senso se non fosse riferito al tempo. Vi sono conferme sperimentali che è il cervello la sede di questo ineffabile elemento da cui derivano tutte le attività mentali. C’ è un’alterazione del senso del tempo in soggetti che hanno subito danni cerebrali.  La neurobiologia del tempo è uno dei meccanismi fondamentali della coscienza.

 

Dean Buonomano, Il Tuo cervello è una macchina del tempo, Bollati Boringhieri, Torino, 2018

Un itinerario tra neuroscienze, fisica, filosofia, biologia evoluzionistica per dire ancora una volta che è nella sofisticata architettura del nostro cervello il segreto del tempo che percepiamo e che scorre tra passato, presente, futuro, il cervello umano non solo è in grado di percepire il tempo: lo inventa”.